Ogni anno alla stessa ora: il corpo che ricorda, la mente che rimuove

Ci sono date che tornano a bussare. A volte non ce ne accorgiamo subito: un’inquietudine sottile, un malessere che non trova “cause”, un sogno ricorrente, un evento che arriva “sempre nello stesso periodo dell’anno”.

E’ come se qualcosa intorno a noi ricordasse.

E’ proprio in questo frame teorico che si inserisce quella che definiamo sindrome dell’anniversario, concetto introdotto da Jacques e Françoise Lebovici e che si inserisce nel campo della psicoanalisi e della psicologia sistemica. L’ipotesi è che per alcune persone o famiglie, esista una memoria inconscia delle date. Di conseguenza, esistono momenti che riattivano il vissuto di un trauma, di una perdita, di un evento critico generando reazioni somatiche e comportamentali apparentemente immotivate. Sembrerebbe dunque che l’inconscio individuale e familiare conservi una “memoria delle date”.

Lettura sistemico-relazionale

Nel lavoro clinico, la sindrome dell’anniversario ci invita a spostare lo sguardo dal tempo cronologico al tempo relazionale. Il calendario, in tal senso, non è solo una sequenza di giorni, ma una vera e propria trama simbolica. Ogni data può rappresentare un nodo in cui il passato torna a farsi sentire. Il nostro corpo e la nostra mente riportano in auge ciò che l’inconscio, spesso, ha confinato nel rimosso. Dunque, quando un evento familiare “difficile” rimane non elaborato, il sistema tende a mantenerne viva la traccia, come se attraverso la manifestazione di sintomi o eventi che si ripetono, il non-detto trovasse una via per essere riconosciuto. In termini sistemici la definiamo “lealtà invisibile“, una forma di fedeltà a ciò che è rimasto in sospeso.

Come si manifesta?

  • Un sintomo psicosomatico può manifestarsi sempre nello stesso periodo dell’anno.
  • Incidenti, scelte sbagliate o eventi ripetitivi che sembrano essere casuali, ma si verificano puntualmente a ridosso di una data significativa.
  • Umore che cambia, che spesso si fa “cupo” senza un apparente motivo.

Nella pratica clinica è frequente notare come il corpo diventi l’archivio muto di ciò che non viene narrato, dunque parla un linguaggio che le parole non sono ancora in grado di esprimere.

Rendere visibile l’invisibile

Il lavoro terapeutico, consiste spesso, in questi casi, nel ricostruire la linea temporale familiare individuando i legami e i significati impliciti che ne derivano. Quando la connessione tra presente e passato diventa consapevole, si apre uno spazio di libertà dove ciò che precedentemente veniva agito, ora può finalmente essere pensato e “portato fuori” con parole e simboli. Dare parola alle storie che ci attraversano, riconoscere la loro presenza nel nostro calendario interiore significa riconnettere il tempo alla vita.

Riconoscere questa sindrome è il primo passo per legittimare il bisogno umano di continuità e di significato. Quando il tempo smette di ripetere e torna a fluire, il passato può finalmente appartenere al passato ed il presente continuare ad aprirsi al futuro.

Bibliografia

  • Bowen, M. (1978). Family Therapy in Clinical Practice. New York: Jason Aronson.
  • Cigoli, V., & Scabini, E. (2006). Famiglia: Relazioni, legami, discontinuità. Milano: Raffaello Cortina
  • Boszormenyi-Nagy, I., & Spark, G. (1973). Invisible Loyalties: Reciprocity in Intergenerational Family Therapy. New York: Harper & Row.