DUE corpi e DUE anime
di Ludovica Autelitano
Io non sono un luogo comune.
Io sono il luogo dell’anima dove risiedono sia rumori che suoni.
Ho le dita delicate, fai attenzione.
Con le mani ho accarezzato ma anche colpito, a torto, a ragione.
Mia nonna mi diceva
“hai occhi che sono due stelle”
e io, quelle stelle, le ho fatte correre per il mondo
in cerca delle tue.
Io sono sapori
sapore del latte materno
di birra
di torte fatte in casa e cioccolato amaro.
In me abita tutto e il contrario di tutto.
Ecco.
E’ in questo luogo che io ti accolgo.
Ti accolgo nella mia storia, ti scelgo mentre sulle mie spalle porto il generoso peso del mio albero genealogico e ti porto con me perché stare insieme non sia celebrare un corpo e un’anima, ma avere imparato dove inizia uno e finisce l’altro. Mi rendo conto che quanto detto supera le aspirazioni fusionali insite nella promessa amorosa e nelle fantasie di ciascuno ma potremmo, forse dovremmo, chiederci: “Cosa scelgo io di quest’uomo, di questa donna?”, “Chi sono io per lui? Chi è lei per me?”.
Un padre? Una madre? Che padre? Che madre? Un amico o forse una Casa? Un salvagente? Un approdo? Ah, ecco…Un/una compagno/a! Ma cos’è? Che fa? Come si comporta? Come scrive Salvador Minuchin in “Famiglia e terapia della famiglia”, “Ogni coppia ha una sua storia specifica; per alcune non viene mai il momento in cui si sentono “sposati”. Così il processo, dal rito di passaggio in presenza di un giudice di pace o simili, al tempo in cui vi siete sentiti realmente sposati può andare avanti per un pezzo. Alcune persone divorziano senza essere state neppure sposate”. Come può avere ragione d’essere l’idea di Minuchin? Scoperchiando il vaso di Pandora è possibile riscontrare come la coppia nasca sul malinteso, su quello che non si è detto all’inizio, con lo sguardo, tra le pieghe dei primi sorrisi, nel cuore dell’implicito che crea il legame. E, cosa, esattamente, non ci si è detti?
Che non si sarebbe rimasti uguali.
Che sarebbero cambiati gli sguardi, le parole, gli obiettivi…i bisogni. Insomma, ci si sarebbe evoluti.
Io e te non siamo quelli di un tempo, siamo un’altra Io e un altro Te e, dopo tutto questo tempo, ci andiamo ancora bene? “Senti – bisognerebbe domandarsi – quando ci siamo conosciuti a te piaceva il mare, chè per caso ti piace ancora? O adesso preferisci la montagna?”. Eppure queste domande non vengono fatte, tra le bollette e gli impegni, le coppie dimenticano di RI-guardare sé stesse e rilanciare il patto che le aveva unite all’inizio. Così passano i mesi e gli anni e un giorno, girandosi, ci si può scoprire diversi, troppo diversi ed è quello il momento della scelta: posso accettare che tu sia diventato altro da quello che avevo scelto? Posso accettare che il nostro patto di coppia debba trasformarsi come naturale evoluzione del legame? Posso accettare di essere io stesso/a cambiato/a?
Dipende. Da cosa? Da cosa ci aveva uniti poiché, come scrive Angelo, “Quanto più le relazioni nella famiglia di origine sono prive di elementi conflittuali irrisolti, tanto più la scelta del partner è libera nel senso che i vincoli, le preclusioni, la necessità di legarsi a un particolare tipo di partner sono molto meno presenti”.
Spesso, infatti, facciamo con il partner quello che prima facevamo con i genitori. Non litighiamo più con la mamma perché adesso litighiamo con il fidanzato, smettiamo di lottare con un padre autoritario e continuiamo la stessa lotta con il marito. Invece di perseguire interventi strategici volti a cambiare l’Altro, la psicoterapia di coppia è essenziale per favorire uno spazio dialogico che sappia evidenziare sia la circolarità delle dinamiche relazionali che la verticalità e cioè: “Dove abbiamo imparato la relazione”? Chi ci ha insegnato a progettarla in un modo piuttosto che in un altro?
Esiste un momento nella vita di coppia in cui ciò che ci aveva attratto all’inizio viene messo in crisi dal disvelamento, da ciò che non è riuscito a seguire il flusso del cambiamento.
La psicoterapia di coppia è questo: aprire la porta che conduce ai nostri bisogni e avere il coraggio di capire dove ci porta