Gli Accadimenti e la loro Narrazione. Come gli eventi si trasformano nel racconto

L’opera di D.P. Spence: “Verità narrativa e verità storica

di Alberta Casella

da Psicologinews Scientific

narrazione

Il filo conduttore dei miei articoli fin qui pubblicati riporta costantemente alla comunicazione tra persone, alla difficoltà di intendersi, alle modalità per chiarirsi.

Questo argomento, oltre ad essere pane quotidiano nella vita di tutti noi nelle interazioni con il partner, l’amica o chiunque altro soggetto, è anche l’argomento centrale della pratica psicoterapeutica e conoscerne le implicazioni può aiutare, se non a risolvere, almeno a comprendere, il perché di molte incomprensioni interpersonali.

Altri autori hanno approfondito questo affascinante argomento e saranno trattati nei prossimi articoli, mantenendo un filo conduttore coerente che accompagni il lettore nell’approfondimento della comunicazione tra le persone

Riprendo, quindi, il discorso degli articoli precedenti dando spazio ad un autore a me caro, Donald P. Spence il quale, nel 1982, con il suo libro “Verità narrativa e verità storica”, cercò di controbattere il pensiero freudiano con una nuova teoria della narrazione che si concretizzò, poi, nel costruttivismo.

Ad oggi, la scrittura di Spence, continuamente antinomica tra verità narrativa e storica e piuttosto ridondante, appare datata ma la sua idea resta, a mio avviso, affascinante è utile.

Brevemente proverò a illustrarne i contenuti di base, fornendo qualche connessione con altri autori e la pratica psicologica, rimandando, poi, il lettore appassionato ad un più esaustivo studio.

Talvolta, quando le persone parlano tra di loro, è problematico intendersi giacché ciascuno si esprime con un lessico che è il riflesso delle sue esperienze e delle sue memorie.

Nella conversazione, chi ascolta traduce le parole dell’altro nel suo personale contesto associativo ed immette, quindi, qualcosa di sé nel senso del discorso.

Spence intende illustrarci le inevitabili difficoltà che si incontrano quando vogliamo mettere i pensieri, le immagini in parole.

Spesso è impossibile descrivere esattamente quanto abbiamo visto nella realtà o in un sogno poiché le immagini visive, collegate a sottili sensazioni ed emozioni, sfuggono a qualsiasi descrizione verbale precisa e le parole rimangono, comunque, vaghe ed approssimative.

I problemi che l’autore evidenzia nel corso della sua analisi portano a conclusioni evidenti: risulta chiaro che, a seconda delle parole e dello stile linguistico che usiamo per descrivere un particolare evento o ricordo, plasmiamo in modo differente il passato o meglio lo “inventiamo” con l’uso stesso del linguaggio.

E’questa, un’idea particolarmente affascinante in quanto postula che il dialogo continuamente reinventa e trasforma gli eventi narrati, restituendoli cambiati nei loro particolari; ne è esempio qualsiasi conversazioni quotidiana tra amici dove il racconto di accadimenti avvenuti nell’arco della giornata muta a seconda delle persone cui il protagonista li racconta ed a seconda di quante volte egli lo ripeta.

Questa trasformazione è, appunto, ciò che Spence pone nei termini di verità storica e verità narrativa, intendendo, per la prima, i veri accadimenti della vita del paziente, per la seconda, il modo in cui essi vengono espressi da quest’ultimo e capiti dal terapeuta: “Spence radicalizza tale bipolarità (…) da una parte c’è la verità storica del paziente, quello che è veramente accaduto al paziente, mentre dall’altra c’è la verità narrativa che viene costruita nel lavoro analitico”.

E’ importante, quindi, sottolineare come la stessa verità storica, che si suppone il paziente porti nei racconti, divenga automaticamente verità narrativa, nel momento stesso in cui essa viene elaborata in parole, espressa sotto forma di discorso coerente, elevata a dignità di realtà: “una volta che una certa costruzione ha acquisito verità narrativa, diventa non meno vera di qualunque altro tipo di verità; questa nuova realtà diventa parte significante della cura psicoanalitica”.

Accade, cioè, che la nuova realtà rimpiazza l’originale creando così nuovi ricordi peraltro inconfutabili in quanto nessuno, e meno che mai il paziente stesso, potrà portare elementi che li paragonino al vero passato della sua vita; dal momento che non disporremo mai di una vera copia originale di quel dato sogno o ricordo raccontato, dobbiamo affidarci solo alla ricostruzione di esso fatta durante l’analisi.

“La costruzione verbale che noi creiamo non solo plasma il passato, ma anzi, essa stessa diventa il passato”. I motivi di tale trasformazione sono spesso inconsci, legati a nuclei affettivi collegati all’avvenimento da narrare; non è da escludere, però, un comportamento v o l o n t a r i o , quando i l soggetto volutamente maschera la verità non volendola divulgare e rendere pubblica agli altri.

Il postulato freudiano della ri-scoperta nel passato degli accadimenti della vita sembra divenire, allora, puramente accademico; la tecnica freudiana confida nel potere di chiarire il passato del paziente e teorizza che il suo compito primo è quello di “svelare” la natura degli accadimenti passati e degli eventi che la persona ha “sotterrato” nella sua memoria al fine di rendere la realtà più accettabile, ma, al contempo, entrando in un circolo vizioso nevrotico che non gli permette di riconoscere le cause dei suoi sintomi.

Quest’analisi viene definita come “archeologica” in quanto si prefigge di ritrovare le cause nel vero passato del paziente: successivamente anche Freud ammette l’impossibilità di ricostruire “come un mosaico” la realtà della vita passata del soggetto, relegando la questione della verità storica, su un piano secondario rispetto all’importanza della ricostruzione fatta dall’analista resa valida, nel lavoro terapeutico, su un piano più specificatamente emotivo.

Nonostante che le posizioni di Freud e di Spence sembrino diametralmente opposte ed inconciliabili, Ricoeur cerca per esse un punto di incontro affermando che, parallelamente all’impegno narrativo, è d’obbligo per l’analista un impegno “esplicativo” rappresentato da u n l i v e l l o d i a n a l i s i t e o r i c a metapsicologica che comprenda in sé l ’ i n t e r a r e t e ovvero l a t e o r i a , l’interpretazione, i l trattamento terapeutico e la narrazione.

In tal modo egli auspica una visione più completa ed unitaria del processo di spiegazione analitica, pur ammettendo che i problemi d’interpretazione delle narrazioni del paziente rimangono, comunque, i n s o l u b i l i e che è praticamente impossibile stabilire cause certe per determinati eventi; può accadere, quindi, che, in questo modo, si favorisca l’instaurazione d i un procedimento circolare che porta il t e r a p e u t a a c o n v a l i d a r e c o n procedimenti logici esattamente ciò che egli aveva intuito con i suoi preconcetti sul paziente.

BIBLIOGRAFIA

AMMANITI M. e STERN D . N . : Rappresentazioni e Narrazioni, Laterza, Roma-Bari, 1991

FREUD S. (1937): Costruzioni in Analisi in Opere, vol.XI

SPENCE D. (1982): Verità Narrativa e Verità Storica, Martinelli, Firenze, 1987