L’INTELLIGENZA NELLE EMOZIONI
di Giada Mazzanti
“mamma ho preso 8 nel compito di matematica”
“ohh ma quanto è intelligente il mio bambino”
Vi ricorda qualcosa? Probabilmente è una conversazione che potrebbe esservi capitata nel corso della carriera scolastica. Comunemente si associa il concetto di intelligenza al successo scolastico/accademico ma il costrutto si riduce soltanto all’ottenere delle buone prestazioni?
Tale quesito se lo sono posti diversi studiosi nel corso del tempo: lo stesso Darwin, suo cugino Galton, Binet che costruì dei test mentali per dedurne l’età, detta età mentale; Stern, partendo dall’indice individuato da Binet, trovò il modo per renderlo universale per ogni età tramite il “quoziente intellettivo”; esso consiste nel dividere l’età mentale del soggetto per la sua età cronologica e moltiplicare il risultato per cento. Per poi arrivare a Gardner con la teorizzazione delle intelligenze multiple e a Sternberg sull’intelligenza triarchica.
Queste teorie permettono la costruzione di test che vanno ad analizzare solo l’aspetto cognitivo dell’intelligenza considerandola come un costrutto monolitico scisso sia dalle emozioni che dalla motivazione. La sfera emotiva e motivazionale però influenzano la prestazione intellettiva e sono profondamente relati sia al QI sia alla costruzione della personalità; infatti, gli studi sulla meta-cognizione hanno evidenziato come una scarsa percezione di efficienza intellettiva si ripercuota sia sulla stima di sé e sia sull’autoefficacia causando una scarsa prestazione.
Per tutti questi motivi quando si valuta l’intelligenza è bene considerare sia la massima prestazione cognitiva, sia l’intelligenza usata nei contesti quotidiani ma anche considerare quei fattori che possono essere accostati alla personalità come motivazione, meta-cognizione, comprensione delle emozioni, stili cognitivi e interpersonali e apertura mentale.
Ma cosa si intende per emozione? Qual è la differenza con il sentimento?
Sono due concetti fondamentali che spesso, nella quotidianità vengono confusi e non ci si riflette a sufficienza. Con “emozione” si intendono tutti gli stati affettivi intensi e di breve durata, danno luogo anche a comportamenti mentre i sentimenti sono stati affettivi di minore intensità più durevoli nel tempo e sono condizioni interne che danno azione e motivano un comportamento (Lazarus, Folkman 1984)
Il primo studioso della funzione dell’emozione è stato Darwin considerandola come strumento di sopravvivenza della specie, da lui molti si sono affacciati allo studio del costrutto facendo sì che si creasse una eterogeneità di approcci teorici; essi però concordano nel considerare l’emozione come un processo che coinvolge tutto l’organismo a livello psicofisiologico, cognitivo e comportamentale che permette l’interazione organismo-ambiente ovvero l’adattamento del soggetto rispetto agli stimoli, al contesto e alle interazioni sociali.
L’emozione nell’ottica evolutiva è fondamentale fin dall’inizio della vita per la costruzione della personalità; detto ciò, si può dire che nel bambino, tale competenza, sia indice di benessere e sia anche relata all’ambito della socializzazione e apprendimento.
Emerge, dunque, che l’intelligenza emotiva è legata all’apprendimento, vediamo in che modo.
Come dimostrano studi neuroscientifici (Mercenaro 2006), l’emozione è legata al pensiero, memoria e apprendimento nel senso che ogni apprendimento è marcato emotivamente. Altri studiosi ancora (Gottman, Declaire 1997; Dwyer 2002) evidenziano che anche i bambini aventi una buona competenza emotiva e inseriti in un ambiente di apprendimento sicuro ottengono risultati migliori nell’acquisizione delle conoscenze, non solo ma riescono a stabilire relazioni sociali migliori e gestiscono meglio le situazioni frustranti.
Grazie a queste evidenze emerge, non solo la parzialità nella modalità valutativa dell’intelligenza come sola performance cognitiva ma anche la non completezza dell’educazione scolastica che tende a potenziare lo sviluppo cognitivo a discapito di quello affettivo. Viene a delinearsi il bisogno di ridefinire la pedagogia scolastica, essa dovrebbe considerare il tema della conoscenza emotiva come motore dell’apprendimento e della formazione di personalità. se non si tenesse di conto dell’area emotiva il rischio che ne deriverebbe sarebbe che l’incapacità di capire e gestire il proprio stato emotivo intralcerebbe il funzionamento delle abilità conoscitive.
Ovviamente non va dimenticato che nel processo di apprendimento è fondamentale che vi sia un buon rapporto tra studenti e insegnati; infatti, il sentirsi accettati nel gruppo e stimolati dall’insegnate permette di aumentare la motivazione e apprendere in modo proficuo. Come si nota, l’apprendimento scolastico è analogo all’intero processo educativo, avviene solo se viene investita l’intera persona nelle sue relazioni con l’insegnante e con i compagni di classe (Csikszentmihalyi 1992, Blandino, Granieri 1995).
La modalità più lampante per implementare le competenze nell’ambito emotivo e quindi per tenere sempre presente l’intelligenza emotiva sono l’attuazione di progetti, soprattutto nelle scuole primarie ma non solo, volti all’alfabetizzazione emotiva sia degli alunni ma anche degli insegnanti.
Bibliografia
Blandino G., Granieri B. (1995). La disponibilità ad apprendere. Dimensioni emotive nella scuola e nella formazione degli insegnanti. Raffaello Cortina, Milano.
Dwyer B.M. (2002). Training strategies for the twenty-first Century: using recent Research on learning to enhance training “innovations in education and teaching International”, 39(4):265-267.
Gottman J., Declaire J. (1997). Intelligenza emotiva per un figlio. Rizzoli, Milano.
Lazarus R.S., Folkman S. (1984). Stress, Appraisal and coping, Springer. New York.
Mancini G., Trombini E. (2011). Salle emozioni all’intelligenza emotiva. Espress Edizioni, Torino.
Mercenaro S. (2006). La mente emotiva. Carocci, Roma.
Passer M., Holt H., Brember A., Sutherland E., Vliek M., Smith R. (2013). Psicologia generale. La scienza della mente e del pensiero. McGrawHill Education.