Man-made trauma: la realtà del male umano
In seguito alle esperienze traumatiche reali con cui il Novecento si è dovuto misurare, come guerre, stermini, pulizie etniche, torture, il concetto di trauma reale viene ripreso con nuova forza, tanto da spingere gli studiosi verso una riformulazione del concetto di trauma. Insieme agli aspetti relazionali del trauma, nella seconda metà del Novecento l’interesse della clinica si è focalizzato sugli aspetti di realtà del trauma, in contrasto con la teoria freudiana classica che, nonostante vari andirivieni, definiva come oggetto privilegiato psicoanalitico l’aspetto fantasmatico del trauma.
Le più recenti teorizzazioni relative alla realtà del trauma si sono concentrate su come la mente possa sopravvivere ad eventi traumatici, in particolar modo quando ad attuare tali azioni sono altri esseri umani: il man-made trauma.
Che cosa accade nell’individuo, ma anche nella società, quando l’evento che ha portato al trauma è reale e riguarda una volontà di violenza e distruzione perpetrata da un essere umano o da una comunità su un altro individuo o gruppo?
Questo è ciò che vivono migliaia di migranti forzati e vittime di guerra, costretti ad abbandonare il loro Paese di origine a causa di violenze e azioni brutali messe in atto da mano umana su altri esseri umani. Tali soggetti sono vittime di violenza, soprusi, torture, conflitti, incarcerazioni, persecuzioni, che minano la fiducia nell’altro e nel mondo.
Nei traumi dovuti a mano umana, è di fondamentale importanza il concetto di relazione umana: il man-made trauma, nei suoi vari livelli di gravità, rompe la “diade empatica”, la connessione io-tu, si rompe una fondamentale connessione con un oggetto interno buono, la fiducia tra esseri umani, si perde la fiducia nell’Altro (Mucci, 2014).
La traumatizzazione, quando è di tipo interpersonale, come nel trauma causato per mano umana, indebolisce o distrugge la possibilità successiva di instaurare relazioni di fiducia nel futuro.
La fiducia nell’altro e nel mondo è proprio ciò che viene distrutto nella traumatizzazione estrema messa in atto da un altro essere “come me”, è in questo modo che il trauma attua la “rottura della diade empatica” (Mucci, 2014).
La traumatizzazione causata da man-made disasters diretta in modo sistematico contro altri esseri umani, come stupri, torture, atrocità di guerra, è endemica in alcune parti del mondo. Ciò costringe milioni di persone a migrare verso nuovi Paesi con la speranza di trovare un posto sicuro. La violenza organizzata degli Stati, la guerra e gli attacchi terroristici creano individui traumatizzati, famiglie distrutte, gruppi e comunità destabilizzati. Questo tipo di traumatizzazione estrema causa destabilizzazione nella capacità di simbolizzare esperienze emotive, incluso il dare significato alla vita dopo l’esperienza traumatica (Rosenbaum e Varvin, 2007).
Il modo in cui esperienze estreme influenzeranno individui e gruppi, dipenderà dalla severità, dalla complessità e dalla durata degli eventi traumatici, così come dal contesto, dalla fase di sviluppo e dalla relazione con l’oggetto interno. Inoltre, la gravità della traumatizzazione dipenderà dalla misura in cui le prime associazioni traumatiche vengono attivate, così come dal sostegno e dal trattamento offerto dopo l’evento, e dalle risposte della società a tali eventi in generale (Varvin, 2017).
Bibliografia
Mucci, C. (2014). Trauma e perdono. Una prospettiva psicoanalitica intergenerazionale. Milano: Raffaello Cortina Editore.
Rosenbaum, B. e Varvin, S. (2007). The influence of extreme traumatization on body, mind and social relations. International Journal of Psychoanalysis, 88, 1527-1542.
Varvin, S. (2017). Our relations to refugees: between compassion and dehumanization. The American Jourrnal of Psychoanalysis. Paper presentato alla European Psychoanalytic Federation Conference, The Hague, Aprile 2017.