Il silenzio grande
di Antonella Buonerba
“Il silenzio grande” è il titolo di un bellissimo film di Alessandro Gassman ambientato in una prestigiosa dimora napoletana, villa Primic. Più che ad un film, mi è sembrato di assistere ad una rappresentazione teatrale, sia per la profondità dei dialoghi dei protagonisti, sia perché le scene si svolgevano in pochi ambienti, le stanze della casa, e in particolare nello studio del padre. Questi, importante scrittore di romanzi, si trincea per una vita proprio lì, nel suo studio e lavora ai suoi libri.
Ad un certo punto, la vendita della casa diventa una inevitabile necessità per risanare le finanze della famiglia e quindi un importante motivo di discussione nonché il punto cruciale dove si annodano le relazioni familiari aggrovigliate da lunghi anni di faticosi silenzi.
La moglie e i due figli del protagonista, Valerio, si avvicendano, davanti alla porta dello studio e, richiamati dalla musica, bussano, entrano, cercando di farsi spazio tra le numerose occupazioni di colui che, pur nelle sue tante mancanze, ha costituito un punto di riferimento per l’intera famiglia.
Solo alla fine del film lo spettatore si accorge che quelli che potevano sembrare dei dialoghi tra Valerio e sua moglie Rose prima, e con ognuno dei suoi figli poi, sono in realtà dei monologhi : nessuno è in grado di sentire l’altro perché ormai Valerio è morto.
Come è potuto succedere?
“I piccoli silenzi fanno un grande silenzio” dice la saggia cameriera Cettina “la vera anima della casa” che, con la scusa di spolverare e dare un ordine alle centinaia di libri accatastati sulle mensole delle librerie, si insinua nello studio, aiuta Valerio a riflettere, a capire, origlia, ammicca, sdrammatizza con la saggezza e l’ironia di chi è stato in mezzo alla gente e che di libri non ne ha letto manco uno.
Il primo principio de “La Pragmatica della comunicazione umana ” di Watzlawick recita che ” non si può non comunicare”. Pertanto anche il silenzio è pregno di significato e assume valore comunicativo a seconda del contesto e delle situazioni che viviamo.
Che valore attribuiamo al silenzio?
C’è una differenza enorme tra chi il silenzio lo crea e da chi lo subisce. Esso pone comunque una distanza che dà adito alle interpretazioni più svariate: i dubbi, i pensieri e le parole si stemperano o si ingigantiscono nei non detti, in quelle emozioni legate ai ricordi, nelle domande a cui non abbiamo potuto avere una risposta.
Il silenzio mette le persone interessate in una situazione di attesa, nel tentativo disperato di bussare a delle porte che non si aprono, perché, forse, dall’altra parte, c’è qualcun altro che si sente bloccato da un vissuto che appartiene esso stesso a un passato di silenzi, indifferenza e abbandoni, proprio come il nostro protagonista.
Ad un certo punto Valerio vuole rompere il silenzio perché allarmato dalle difficoltà della vita dei suoi cari, vorrebbe consigliarli, stare loro vicino, accompagnarli nelle scelte, nelle decisioni. Ma gli altri, ormai, sono già al di là del silenzio, delle porte e della casa.
La richiesta del perdono diventa un atto obsoleto, una nota stonata che si frappone nel racconto di chi ha dovuto ritrovare da solo le strade della vita, con la forza della sua volontà.
Che cosa rimane?
Valerio e Rose si concedono un ultimo ballo. In quei pochi attimi di luce riprendono vita i ricordi di una vita e l’amore vissuto nell’assolutezza dei sentimenti da una parte, e nella concretezza dei giorni dall’altra.
Rose va via e non si sente più sopraffatta dalla pesantezza della vita. Si chiude la porta di casa alle spalle, la sua casa, lasciando il passato dissolversi nella polvere che non ha nemmeno più i mobili dove posarsi.
Bibliografia:
Paul Watzlawick “Pragmatica della comunicazione umana”