Cara Rose, sei certa che Jack sia esistito davvero?
di Fabio Battisti
“Non ho niente di lui, vive solo nei miei ricordi”
Una Rose ultracentenaria è l’unica in grado in grado di ricordare una delle più belle storie d’amore d’inizio e fine del XX secolo.
Lo sfondo cinematografico del Titanic sembra quasi una scusa per narrarla, soprattutto per giustificare la sua breve durata attraverso una tragedia nella sciagura.
Ma siamo sicuri che il naufragio abbia avuto esclusivamente questa funzione?
Le funzioni psichiche del cinema sono conosciute quanto sottovalutate e molteplici.
L’idea della grande storia d’amore che termina suo malgrado ricorda tanto le mitiche vicende di “Via col vento” e “Casablanca”, nelle quali la relazione, cristallizzata nel tempo, permetteva al grande pubblico di immedesimarsi per via delle frustrazioni sentimentali del passato oppure per le insoddisfazioni correlate con la vita matrimoniale.
In “Titanic” tuttavia la decisione non appartiene ad uno o entrambi i protagonisti, quanto a un fato cinico che tronca l’esistenza di uno dei due amanti.
Quest’ultimo sembra tuttavia completare il “rituale iniziatico” che caratterizza il racconto stesso di Rose: le conferma che diventerà una donna libera, emancipata, sicura di sè, a prescindere dalle situazioni economiche e sociali nelle quali si ritroverà a vivere scambiando la sua identità con una ragazza defunta, totalmente speculare a quella di una ragazza ricca intrappolata in un destino di schiava e sull’orlo del suicidio.
L’idea struggente dell’amore perduto appare un dazio obbligato, da pagare per essere salvata e traghettata verso una nuova vita, anagrafica e mentale.
Il fatto è che Jack sembra fin troppo funzionale e curato, calato ad arte in quello che si rivelerà il processo evolutivo di Rose.
Visto che di mezzo c’è una sciagura con in mezzo migliaia di vittime e questa ragazza a distanza di oltre 80 anni ricorda tutto…potrei concedermi una deformazione professionale?
Uno shock del genere non avrà comportato un trauma, in grado di dare forma e contenuti al bisogno di essere salvata sia dalla morte fisica che da quella interiore?
Come ricorda nel finale, “Jack mi ha salvato, in tutti i modi in cui una persona può essere salvata”: un Principe Azzurro, già di suo poco credibile, al confronto passerebbe per un dilettante.
D’altra parte oltre a Jack vengono a mancare i suoi amici, mentre chi lo ha conosciuto non si potrà più riconfrontare con Rose per eventuali smentite.
Esiste quindi la possibilità che non viva soltanto nei suoi ricordi, ma nella sua immaginazione.
Inverosimile?
Eppure stiamo parlando di un periodo storico nel quale Freud curava le “paralisi isteriche” e altre problematiche riguardanti quelle donne rispecchianti le condizioni sociali e psichiche di Rose, incastrate tra agiatezze economiche e vincoli culturali dell’epoca.
Solo che non c’era tempo e spazio per la Psicoanalisi e tanto meno per gestire eventuali conseguenze post-traumatiche: l’esigenza di Rose di liberarsi dalla prigione dorata si sarebbe correlata al trauma stesso, includendovi la possibilità di un’ampia zona d’ombra dove nascondere un amore in ogni caso impossibile.
C’è una forte possibilità che “My heart will go on” di Celine Dion si riferisca a una figura immaginaria?
Scusatemi, non si tratta di un “esperimento sociale” per polarizzare l’odio di una generazione verso il mio mestiere.
Non dimentichiamo che in ogni caso l’intera storia d’amore è di per sè un evento di fantasia, come tante trasposizioni cinematografiche.
Quello che potrebbe sorprendere in realtà sono le nostre capacità adattive, anche nei momenti più gravi, nei contesti più insopportabili e perfino nelle…patologie, seppur controproducenti in queste situazioni sono comunque un tentativo di tutela da qualcosa di insopportabile e devastante.
In fondo, qualora Jack fosse stato veramente il frutto dell’immaginazione di Rose, chi avrebbe ritenuto giusto biasimarla?