Depressione post-partum. Succede anche ai papà
La depressione post partum può includere diversi sintomi, da una grave flessione dell’umore a tendenze suicidarie della madre nel primo anno dopo la nascita del bambino. È una condizione ancora poco diagnosticata e poco trattata, a volte con tragiche conseguenze.
Ma anche gli uomini possono soffrire di questa condizione mentale?
In un articolo per la BBC, Amanda Ruggeri mette in luce come anche in campo medico questa condizione sia stata e sia tuttora spesso totalmente ignorata, se declinata al maschile. Eppure, le ricerche cominciano ad andare in questa direzione.
Si stima che circa il 10% dei padri sia depresso nel primo anno dopo la nascita del bambino: si tratta del doppio dell’incidenza della depressione nella popolazione maschile generale. Ma secondo altre ricerche e casistiche cliniche, questa sembrerebbe una sottostima: dopo quattro-sei mesi dalla nascita del bambino, circa il 25% dei papà soffrirebbe di ansia generalizzata, di disturbi ossessivi e di disturbo post traumatico da stress.
Quando un problema di salute mentale riguarda la popolazione maschile è meno probabile che ci sia una richiesta di aiuto. La convinzione di dover risolvere da soli è spesso ancora molto presente: cercare aiuto significa, per molti uomini, un segno di debolezza. È stigmatizzato e considerato un comportamento appartenente alla sfera femminile. La cultura, le aspettative su di sé, le credenze, le provenienze familiari: sono molti i fattori che condizionano e orientano la scelta.
E lo stesso contesto culturale è significativamente presente anche tra gli operatori della salute: viene spesso detto ai papà che il loro compito è di essere di supporto alla mamma che aspetta e partorisce, con sottovalutazione delle ansie e delle paure che anche i padri potrebbero provare. Uno stereotipo sostenuto a vari livelli, che rende difficile mettere in luce il bisogno di sostegno della popolazione maschile in generale e in particolare in questa delicata fase perinatale.
Una ricerca inglese ha raccolto le testimonianze dei papà che hanno avuto sintomi: ricorrono, nelle interviste, dichiarazioni circa la propria incapacità, la sensazione di essere dei falliti, di non sentirsi “un vero uomo”, di non poter parlare con nessuno della propria condizione mentale, di non essere in grado di supportare la propria compagna nel ruolo di madre, oltre a sensazioni di vergogna molto diffuse: quale uomo si deprimerebbe dopo aver avuto un bambino?
Le madri hanno maggiori probabilità di ammalarsi di depressione nel periodo postnatale (in media circa il 24% madri, 10% padri – ma occorre tenere conto, per i padri, di un vasto numero di mancati accessi e relative diagnosi); e, ovviamente, i cambiamenti ormonali hanno una parte in causa nel caso della madre. Ma la portata psicologica è di importante e significativa centralità, sia nel caso delle madri sia in quello dei padri.
E per quanto riguarda i sintomi? Ogni caso è naturalmente a sé, ma in linea generale le manifestazioni variano. Le madri che soffrono di depressione post partum possono non riuscire ad alzarsi dal letto, sperimentare frequenti episodi di pianto e disperazione profonda; mentre negli uomini prevalgono indecisione, irritabilità, estrema autocritica, comportamenti ossessivi, con aumento delle ore di lavoro, oppure abuso di sostanze e di bevande alcoliche o ancora somatizzazioni.
Anche in questo, la portata delle credenze e della cultura ha un ruolo determinante nella natura dell’espressione sintomatica, femminile e maschile.
E anche gli ormoni maschili hanno un ruolo da poco evidenziato. Recenti ricerche dimostrano che gli ormoni dei padri cambiano, fin dai mesi successivi al concepimento: i livelli di testosterone diminuiscono durante la gravidanza del partner e gli estrogeni aumentano verso la fine della gravidanza.
Ovviamente, a parte le cause fisiologiche, sia le madri sia i padri vanno incontro a un profondo stravolgimento con la nascita di un bambino, che riguarda la vita di relazione, la vita sessuale di coppia, la relazione con il bambino, la pressione della responsabilità, le preoccupazioni finanziarie. E, aggiungo io, la posizione all’interno delle famiglie di origine; un aspetto identitario spesso trascurato e poco considerato, che merita invece un’attenzione dedicata: cambiano gli equilibri, le percezioni delle persone coinvolte, lo status all’interno della famiglia allargata, con grande impatto sulla psicologia della neomadre e del neopadre.
Su alcuni fattori di predisposizione non abbiamo strumenti per agire. Ma sugli aspetti culturali e sociali si può fare molto; si può dare spazio a questi argomenti, se ne può parlare a scuola, si può insegnare alle nuove generazioni che la vulnerabilità va riconosciuta. E che merita attenzione.