A tutta dopamina: ADHD e cocaina
di Roberto Ghiaccio
No, non mi occupo di dipendenze, ma mi occupo di ADHD, e di ADHD negli adulti, in particolare modo di test, questionari, interviste. Fu un caldo pomerio d’estate, quando un giovane collega mi telefonò, per avere, con rara umiltà informazioni sul tema. Il giovane collega, si occupa di dipendenze, ed io di ADHD, ognuno con la sua formazione, punti di forza e limiti, entrambi con poche risposte e tante domande, domande che per fortuna da quel giorno si moltiplicano e condividiamo per trovare altre domande utile a comprendere la fenomenologia dell’ADHD.
Per i soggetti con ADHD nel corso della vita, la co-occorrenza di altri disturbi è generalmente la regola piuttosto che l’eccezione. Gli esperti stimano che almeno il 60-80% di bambini, adolescenti e adulti con ADHD presenti almeno un’altra condizione. I disturbi della condotta, il disturbo oppositivo provocatorio, i disturbi dell’apprendimento e i disturbi d’ansia e dell’umore sono i disturbi comorbidi più comuni nell’infanzia e nell’adolescenza. Negli adulti, anche i disturbi della personalità sono molto diffusi.
Allo stesso modo, esiste un’associazione significativa tra ADHD e disturbi da uso di sostanze, che costituisce una delle forme più comuni di doppia diagnosi, termine usato per la co-occorrenza di un disturbo da dipendenza e almeno un altro disturbo mentale. La presenza di una diagnosi di ADHD è stata associata ad un aumento del rischio di utilizzo di sostanze psicotrope e alla presenza di una condizione di Dipendenza da Sostanze. Tuttavia, essendo la diagnosi ancora molto controversa e soprattutto molto sottovalutata molti soggetti sfuggono alla diagnosi.
E molti dei soggetti che sfuggono alla diagnosi in epoca si trovano a dover affrontare l’innesto delle dipendenze sull’ADHD da adulto, complicando alle volte l’iter diagnostico. L’ADHD è associato a un aumento del rischio di iniziare l’uso di sostanze e di sviluppare un disturbo da uso di sostanze. I bambini e gli adolescenti con ADHD hanno una probabilità significativamente maggiore di provare alcol, tabacco e una serie di sostanze durante la loro vita. Gli esperti stimano che circa il 15% degli adolescenti e dei giovani adulti con ADHD abbia un disturbo da uso concomitante di sostanze.
Un’ampia meta-analisi ha rivelato che quasi un paziente su quattro in cerca di trattamento per un disturbo da uso di sostanze ha anche l’ADHD (van Emmerik-van Oortmerssen, 2012). Nella stragrande maggioranza di questi casi, l’ADHD non è stato diagnosticato e di conseguenza non è stato trattato. L’evidenza clinica e i risultati di più studi mostrano che la sovrapposizione bidirezionale tra questi disturbi non è casuale. Il legame tra ADHD e disturbi da uso di sostanze è un tema complesso per numeri e conseguenze sociali.
I meccanismi alla base dell’aumento del rischio di uso di sostanze tra gli individui con ADHD non sono stati completamente stabiliti. L’aumento del rischio è molto probabilmente dovuto a una combinazione di diversi fattori di vulnerabilità, tra cui: meccanismi neurobiologici condivisi, le difficoltà nel funzionamento psicosociale o alcuni tratti e caratteristiche comuni a entrambi i disturbi, la comorbidità con altri disturbi psichiatrici, i deficit neuropsicologici sottostanti, o quella che è stata definita ipotesi di automedicazione.
Diversi studi di neuroimaging mostrano che gli individui con ADHD mostrano deficit di motivazione e ricompensa caratterizzati dall’incapacità di ritardare la gratificazione e dalla preferenza per piccole ricompense immediate rispetto a grandi ricompense ritardate, mediate da un’alterata trasmissione della dopamina in alcune aree del cervello. Questi deficit sono stati proposti come meccanismo alla base dei comportamenti impulsivi associati all’ADHD e alla maggiore vulnerabilità all’abuso di sostanze.
I ricercatori ipotizzano anche che l’ADHD e i disturbi da dipendenza potrebbero condividere fattori di rischio familiari comuni a causa dei rischi genetici condivisi tra le due condizioni. Inoltre, diversi studi indicano un rischio triplicato di ADHD nei figli di donne che hanno fumato sigarette o fatto uso di alcol o altre droghe durante la gravidanza. Alcuni studi indicano che i problemi psicosociali e il cattivo funzionamento scolastico frequentemente associati nei casi di ADHD possono contribuire allo sviluppo di dipendenze.
Va ricordato che molte sostanze psicotrope producono effetti significativi a livello cognitivo influenzando, tra le altre cose, l’attenzione, la flessibilità cognitiva, la working memory e l’impulsività che comportano una variabile compromissione delle capacità inibitorie e la riduzione della soglia necessaria all’acting (Gould, 2010; Juárez, 2018): tutti aspetti centrali nel definire il funzionamento e l’adattamento all’ambiente. Dunque, nella valutazione diagnostica è necessario definire l’età di insorgenza di tali compromissioni.
Sono stati associati alla presenza di ADHD un esordio più precoce e più grave sul piano clinico del disturbo da dipendenza da sostanze (Arias, 2008; Johann, 2003; Riggs, 1998), una maggior frequenza e rapidità di transizione tra condotte d’abuso a condotte di vera e propria dipendenza, un decorso più prolungato associato a un impatto clinico maggiore, con più frequenti ricadute e maggior difficoltà a raggiungere e mantenere l’astinenza dalle sostanze (Wilens, 2004; Biederman, 1995; Biederman, 1998; Wilens, 2007).
Sebbene l’esatta natura dell’ADHD non sia completamente compresa, tale ipotesi eziopatogenetiche c’è il coinvolgimento di alcuni neurotrasmettori, tra cui come la dopamina e la noradrenalina. La dopamina è un messaggero chimico nel cervello legato alla ricompensa e al piacere. Questa sostanza chimica viene rilasciata ogni volta che si fa qualcosa di eccitante. Quando si mangia (non solo da stellati) un buon pasto o ci si abbraccia, il t cervello rilascia dopamina come parte del sistema di ricompensa.
Il centro della ricompensa del cervello è progettato per incoraggiare a ripetere attività salutari come mangiare, bere e persino stabilire connessioni sociali. Tuttavia, c’è una piccola quantità di dopamina che viene rilasciata durante le attività quotidiane. Questa dopamina incoraggia a concentrarsi e completare le attività, anche quando non sono così eccitanti. Le persone con ADHD possono avere bassi livelli di dopamina nel cervello, causata da lenta ricettazione nello spazio post sintetico il che rende più difficile completare i compiti, tendendo così alla procrastinazione.
Piccole distrazioni che vengono facilmente ignorate dagli altri diventano irresistibili potenziali fonti di dopamina per qualcuno con ADHD. Molti stimolanti, comprese le anfetamine utilizzate nei farmaci per l’ADHD e la cocaina, aumentano i livelli di dopamina nel cervello. I farmaci per l’ADHD sono progettati per aumentare i livelli di dopamina in vari modi. Alcuni bloccano la ricaptazione della dopamina, un processo mediante il quale le sostanze chimiche vengono rimosse dal cervello per prevenirne l’accumulo.
Tale meccanismo aumenta la quantità della sostanza chimica che può legarsi ai recettori della dopamina consentendo alle persone con ADHD di aumentare la concentrazione, il controllo e l’autoregolazione. La cocaina provoca un accumulo potente di dopamina nel cervello, provocando una stimolazione. Tuttavia, può anche causare una maggiore concentrazione, alta energia e miglioramento cognitivo. Ma può anche causare ansia, paranoia e mania che possono rendere difficile concentrarsi su un compito ciò capita spesso in soggetti non ADHD.
Più comunemente chiamata semplicemente “coca”, la cocaina è un potente stimolante illecito generalmente usato ed abusato a scopo ricreativo. Quando viene consumata, la cocaina blocca il riciclo di serotonina, noradrenalina e dopamina nel cervello. Attraverso lo sniffare, il fumo e persino la somministrazione endovenosa tramite l’iniezione di una soluzione in vena, la cocaina è una delle droghe più pericolose e prontamente disponibili, talmente disponibile che appare ormai sdoganata, “normalizzata”, uno status simbolo, a volte indispensabile.
Gli stimolanti sono estremamente comuni e possono presentarsi in molteplici forme. Dalle compresse alla polvere alle capsule, il consumo di cocaina può portare a una sensazione di felicità di breve durata seguita da voglie intense e ritiri, spingendo la persona a consumarla di nuovo. Gli stimolanti possono creare dipendenza fisica e psicologica e l’uso ripetuto di stimolanti (ancora di più la cocaina) porta rapidamente alla costruzione della tolleranza, del craving, in definitiva, alla dipendenza.
La cocaina offre uno “sballo” breve ma intenso in cui il consumatore di solito si sente insensibile ed energico, inducendolo a impegnarsi in attività pericolose che in precedenza sarebbero sembrate pericolose. L’impulsività e la spontaneità associate all’ADHD aumentano il rischio di sviluppare dipendenza, poiché l’utente a volte non pensa agli svantaggi. I soggetti con diagnosi di ADHD iniziano ad utilizzare sostanze in un’età molto più precoce rispetto a quelli che non hanno l’ADHD. La cocaina è uno stimolante che produce effetti simili agli stimolanti e prescritti per l’ADHD.
L’uso di cocaina provoca un aumento della dopamina, compensando la mancanza endogena degli ADHD. L’effetto della sostanza è molto diverso tra soggetti con ADHD e soggetti senza. Mentre chi fa uso di cocaina e non ha l’ADHD molto probabilmente sperimenterà quella classica “corsa” e l’alta energia, un utente con ADHD molto probabilmente emetterà segni di “sedazione”, di concentrazione, di ritrovata pianificazione. Sguardi vuoti, calma e sogni ad occhi aperti sono comuni nei consumatori di cocaina con ADHD, ma questa serenità artificiale ha effetti negativi.
Ma quali caratteristiche dell’ADHD potrebbero rendere più probabile la dipendenza? Nel tentativo di comprendere la dipendenza da cocaina e l’ADHD, è utile sapere quali aspetti dell’ADHD potrebbero configurarsi come fattori di rischio nello sviluppo della dipendenza.
La comorbidità tra ADHD e dipendenze è una condizione che presenta varie complessità a livello diagnostico, di manifestazione clinica e di trattamento. Clinicamente il soggetto affetto da questa comorbidità rappresenta una sfida per i professionisti che devono riuscire a riconoscere e inquadrare correttamente entrambe le condizioni. Questa importante sfida la si combatte facendo rete tra le figure proposte, una rete che sorregga la persona e tutta la sua comunità, e non la imbrigli in inutili burocrazie, professionalismi. Per questo io e il giovane collega continuano a farci domande.
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