Le maschere che mettiamo più o meno consapevolmente
Il mondo delle maschere appare a tutti noi così divertente e spensierato quando siamo piccoli. Ci riporta al Carnevale, al periodo in cui abbiamo la libertà di fare scherzi e fingere di essere qualcun altro.
Con la crescita, però, il significato della maschera assume una valenza negativa. Essa diventa sinonimo di falsità, di simulazione e di ipocrisia. Spesso c’è la tendenza ad accusare gli altri di indossare delle maschere quando si rapportano con gli altri, attribuendo un comportamento poco sincero.
C’è l’idea che la maschera, in realtà, trasformi le persone in qualcuno di negativo e pericoloso, in un individuo che possa, dunque, pugnalarci alle spalle.
Per comprendere bene l’aspetto psicologico della maschera bisogna innanzitutto ricorrere alla sua originaria accezione. Le maschere, infatti, hanno origine nel teatro latino e greco, e venivano utilizzate per inquadrare dei ruoli da dover interpretare.
Proprio sulla scia di questo significato, lo psicoanalista Jung, identificò nell’ archetipo della Persona, l’immagine che un individuo dà di se stesso nel mondo esterno.
Noi ci confrontiamo continuamente con la realtà e con dei ruoli da vivere. Le maschere rappresentano proprio queste vesti che ci permettono di adeguarci all’ambiente che ci circonda.
Le maschere sono, dunque, un aspetto importante della nostra quotidianità: tutti noi ne indossiamo e ne cambiamo continuamente una, a seconda del nostro interlocutore o dell’ambiente.
L’aspetto pericoloso delle maschere consiste però in un’aderenza perfetta tra il ruolo interpretato e la nostra reale essenza. Nel momento in cui mettiamo da parte sempre noi stessi favorendo esclusivamente il ruolo della maschera, stiamo effettuando una forzatura del nostro Io.
Costruiamo una immagine di noi stessi, attraverso il ruolo interpretato e non teniamo conto delle nostre esigenze e dei nostri desideri.
La maschera ci serve come mediatore tra il mondo esterno e interno e non come strumento di compiacenza degli altri.