Malattia di Parkinson e Linguaggio: excursus sull’involuzione dell’eloquio e sul deterioramento delle abilità linguistiche
di Ilenia Gregorio
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa ad evoluzione lenta ma progressiva che coinvolge, principalmente, alcune funzioni quali i l controllo dei movimenti e dell’equilibrio. La malattia fa parte di un gruppo di patologie definite “Disordini del Movimento” è a progressione lenta ma tende a coinvolgere man mano diverse abilità e i processi cognitivi come ad esempio il linguaggio. Nella Malattia di Parkinson, le abilità linguistiche tendono a d e t e r i o r a r s i solo tardivamente e, soprattutto, in relazione alla comparsa di disartria ipocinetica, un tratto distintivo della MP, che riguarda gli aspetti più p r o p r i a m e n t e ” m e c c a n i c i ” dell’articolazione del linguaggio.
Alcuni autori (ad es., Critchley, 1981,1987) attribuiscono la comparsa d e l l a d i s a r t r i a a un d e fi c i t nell’integrazione di “fonazione, articolazione e linguaggio”, che si tradurrebbero in un appiattimento dell’intonazione melodica, con una produzione qualitativamente monotona, a basso volume e di variabile velocità di output, così che alcune parti del discorso potrebbero fluire molto rapidamente ed altre molto lentamente. La disartria viene collegata più agli aspetti di rigidità che di tremore presenti nella MP (Streifler & Hofman, 1984).
Il fenomeno della ripetitività nel linguaggio dei soggetti affetti da MP è stato studiato da Benke e coll. (2000), che hanno evidenziato una duplice variante: una iperfluente, riconducibile al fenomeno della “pal i lal ia” (una carat ter ist ica reduplicazione delle parole nel linguaggio, osservabile nelle forme di demenza da Parkinson) e una non-fluente, simile alla balbuzie. Entrambe le varianti di ripetitività si manifestano contemporaneamente e compaiono quasi esclusivamentenegli stadi avanzati della malattia, sia nelle fasi “on” che in quelle “off” di pazienti con particolare instabilità dei sintomi motori, senza essere necessariamente accompagnati da demenza. I l fenomeno della ripetitività appare perciò una manifestazione peculiare del deficit di controllo motori o del linguaggio nella MP, riconducibile ad un malfunzionamento dei gangli della base, responsabili di attivare in maniera incontrollata il linguaggio nella corteccia. Una seconda ipotesi fa tuttavia supporre una componente cognitiva del disturbo, che si manifesterebbe a livello della p i a n i fi c a z i o n e f o n e m i c a prearticolatoria, che conterrebbe le informazioni sulla formazione della parola e sull’assemblaggio del discorso (Benke et al., 2000).
I problemi nella fase di scrittura tendono ad essere la riproduzione degli stessi problemi rilevati nel linguaggio orale: la produzione scritta risulta cioè a scatti, con compressione delle lettere e con la frequente comparsa di micrografia; ovviamente, anche la lettura ad alta voce risulta rallentata. Per quel che riguarda invece le capacità lessicali nella MP di grado lieve, esse vengono riportate come generalmente intatte, relativamente a vocabolario, grammatica e uso della sintassi (Bayles, 1988; Brown & Marsden, 1988; Sullivan et al, 1989). Altri studi hanno portato alla luce difficoltà di comprensione linguistica, nella MP, associate all’incremento della complessità grammaticale delle frasi (Cummings et al, 1988); Illes e colleghi (1988) hanno inoltre descritto che soggetti affetti da MP di moderata gravità mostrerebbero un decremento della complessità sintattica delle frasi prodotte nell’eloquio spontaneo rispetto a soggetti con MP di grado lieve. Tuttavia, le indagini effettuate non sono mai state mirate alle capacità lessicali che più risentono del danno cerebrale specifico nella Malattia di Parkinson. Alcuni studi, condotti più recentemente, sia con strumenti d i visualizzazione dell’attività cerebrale, sia con test neuropsicologici, rilevano nei pazienti con MP una tendenza a patire problemi nel lessico delle azioni e difficoltà in compiti di fluenza fonemica e semantica. Alcuni risultati ottenuti attraverso studi condotti con la PET (Daniele et al, 1994, Cappa et al, 1998, Perani et al, 1999) su soggetti sani ed afasici depongono in favore del coinvolgimento dell’area di Broca (corteccia frontale sinistra) nella denominazione d i a z i o n i e dell’implicazione di aree perisilviane posteriori (corteccia temporale sinistra) nella denominazione di sostantivi concreti ed astratti. Da queste prime ricerche condotte a t t r a v e r s o m e t o d i c h e d i neuroimaging è perciò possibile supporre che l’encoding e I ‘ e f f e t t u a z i o n e d e l l e a z i o n i appartengano ad aree frontali adiacenti, mentre l ‘ a b i l i t à di denominare gli oggetti sarebbe da attribuirsi ad un’attività di aree neuronali prossime alle aree temporali della memoria. Una c o n f e r m a i n d i r e t t a d i quest’ipotesi sembra pervenire dai risultati ottenuti da Bertella et al (2002) pubbl icat i su Brain & Cognition; in tale studio è stato possibile osservare anche in fasi iniziali del MP, associate ad un deficit cognitivo (quando presente) molto l i e v e , una d i fferenza statisticamente significativa, alla prova di dissociazione nome/verbo inclusa nella batteria di Miceli, Laudanna e Burani (1990), nella denominazione dei verbi, che risulta essere più difficoltosa rispetto a quella dei nomi (p<.OO l). Questi dati sembrerebbero relazionare il disturbo del movimento nel MP ad u n a ma g g i o r d i f fi c o l t à n e l r i c o n o s c i m e n t o e n e l l a denominazione delle azioni stesse.
Fluenza verbale ed eloquio spontaneo
Alcuni compiti di fluenza verbale sono frequentemente utilizzati per discriminare l’invecchiamento normale da quello patologico. Perciò, molti studi neuropsicologici, alcuni dei quali correlati ai risultati di varie tecniche di neuroimaging, si sono concentrati su quattro tipi principali di fluenza verbale, per scoprire quali fossero maggiormente sensibili a effetti di età e scolarità nell’invecchiamento normale (Mathuranath et al, 2003), piuttosto che indicativi della presenza di patologie neurologiche caratterizzate da un diverso coinvolgimento di particolari aree cerebrali. All’ interno della MP, sono stati trovati risultati contrastanti in letteratura: alcuni autori hanno trovato una maggior difficoltà in compiti di fluenza fonemica piuttosto che di fluenza semantica (Brown & Marsden, 1988; Gurd & Ward, 1989; Lees & Smith, 1983), mentre altri sperimentatori hanno rilevato la tendenza opposta (Raskin et al, 1992). Auriacombe e collaboratori (1993) hanno proposto che la maggior difficoltà nell’eseguire il compito di fluenza semantica (che nei soggetti normali consente comunque un maggior recupero di parole rispetto alla cue fonologica) stia ad indicare un danneggiamento del lessico, mentre quando viene utilizzata una lettera come cue, questo t i p o d i f a c i l i t a z i o n e favorirebbe il recupero semantico. Altri autori hanno mostrato che soggetti affetti da MP, seppur con prestazioni paragonabili agli Alzheimer Disease in compiti di fluenza semantica, riuscirebbero a giovarsi di ulteriori cue semantiche più specifiche, a differenza degli AD, che non vi riuscirebbero. Ad esempio, in un compito di fluenza per “cose che si possono trovare al supermercato”, i soggetti con MP, ma non quelli con AD, migliorano la propria performance se sono aiutati con agganci semantici più specifici, tipo “cose da bere”, oppure “frutta e vegetali” (Randolph et al, 1993). Sciogliere i dubbi sui risultati contrastanti in questo ambito significherebbe portare luce nella natura del deficit cognitivo della MP, specialmente confrontando la performance di questi soggetti sia con pazienti affetti da demenza franca, come l’AD, sia con soggetti normali. Spesso, è stato invece tralasciato uno studio accurato della produzione l i n g u i s t i c a l i b e r a , sebbene costituisca un importante indicatore, oltre che del disturbo afasico di per sé, anche della presenza di patologie cerebrali degenerative, come la Malattia di Alzheimer (Chapman et al, 2002). Sulla scorta delle fonti bibliografiche, l’analisi dei compiti di fluenza verbale e dell’eloquio spontaneo ha portato a molteplici osservazioni: Fluenza di parole comuni per chiave fonemica (parole che iniziano per F, A, S): una particolare difficoltà è usualmente associata a danni del lobo frontale sinistro; in particolare, la Risonanza Magnetica ha mostrato c h e u n a s p e c i fi c a d i f fi c o l t à nell’iniziare il compito di fluenza fonemica è correlata a lesioni della materia bianca frontale sinistra o laterale periventricolare (Femaeus et al, 2002). Tale compito appare p a r t i c o l a r m e n t e s e n s i b i l e nell’evidenziare disturbi di natura “frontale”, in particolare l’incapacità di inibire la risposta più immediata, similmente a quanto richiesto al test di Stroop, sebbene con una diversa modalità di indagine. Perret (1974) ha infatti descritto, in pazienti con danno frontale sinistro, una cor relaz ione t r a una s car s a performance allo Stroop e un basso punteggio alle fluenze fonemiche. La spiegazione che Perret stesso ha attribuito a questo risultato è che anche l e fluenze fonemiche testerebbero la difficoltà a inibire la risposta abituale, nel senso che il criterio “spontaneamente utilizzato” per effettuare una ricerca di parole dal lessico sarebbe il loro significato. La richiesta fatta ai soggetti di effettuare una ricerca sulla base della lettera di inizio equivarrebbe, invece, a chiedere loro di sopprimere l’abitudine di utilizzare l’attivazione della parola su base semantica. Fluenza di parole comuni per chiave semant ica ( t ipi di animal i , di frutta … ): declina in particolare durante l’invecchiamento normale (Mathuranath et al, 2003) e nella demenza di Alzheimer (Pihlajamaki et al , 2000) e cost i tuisce un importante criterio nella diagnosi d i f f e r e n z i a l e d i P a r a l i s i Soprànucleare Progressiva da MP e da Atrofia Multisistemica (Lange et al, 2003); alla PET (Perani et al, 1999) e alla FMRI (Pihlajamaki et al, 2000) sono state evidenziate correlazioni tra la difficoltà in questo compito e la ridotte attività del lobo temporale mediale sinistro e dell’ippocampo, strutture in cuivengono depositate e archiviate le informazioni semantiche sugli oggetti. Un ulteriore studio condotto attraverso la FMRI (Gurd et al, 2002) ha mostrato come l’impegno attivo del soggetto nella ricerca su richiesta di elementi appartenenti a una classe semantica, confrontata con la semplice elencazione verbale di una classe super-appresa (come l’elenco dei mesi dell’anno), coinvolga anche l’attività del cingolo anteriore bilaterale, dell’opercolo frontale bilaterale e del verme del cervelletto; l’ulteriore complicazione di questo compito attraverso lo switching tra categorie (dire alternativamente un tipo di frutta, uno di macchine e uno di mobili) produrrebbe anche una specifica attivazione della corteccia parietale superiore posteriore. Fluenza di verbi (azioni che una persona può fare, ad es. nuotare, annusare … ): ha una particolare sensibilità nell’individuare il primo stadio di deficit cognitivo in soggetti che possono evolver e i n AD (Ostberg et al, in stampa); appare essere un compito particolarmente difficoltoso per soggetti affetti da MP (Peran et al, 2003) e, inoltre, risulta utile nel distinguere l’eventuale transito da questa malattia nella sua forma priva di deficit cognitivi alla demenza ad essa correlata (Piatt et al, 1999); alla PET è stata inoltre evidenziata una correlazione con un deficit da funzionamento del lobo frontale sinistro (Perani et al, 1999). Fluenza di nomi propri (marche di auto, nomi di personaggi famosi, province d’Italia … ): tale compito appare particolarmente sensibile all’invecchiamento ed appare correlato all’attività delle regioni temporali anteriori (Piatt et al, 1999); Eloquio spontaneo (almeno 300 parole di discorso libero senza i n t e r v e n t o d a p a r t e dell’esaminatore): è particolarmente sensibile all’esordio dei disturbi afasici correlati a lesione cerebrale focale o degenerativa e consente, attraverso i l conteggio delle categorie di parole utilizzate (verbi, sostantivi, nomi propri, etc), di classificare i soggetti entro contesti di normalità o patologia conseguente a danno cerebrale (Semenza, 1986; Semenza et al., 2003). Inoltre, la quantificazione della presenza di elementi principali e/o di dettagli nel discorso libero sono utili nella d i s c r i m i n a z i o n e fi n e t r a invecchiamento normale e Malattia di Alzheimer allo stadio preclinico (Chapman et al, 2002).
Comprensione
Un deficit di comprensione sintattica, simile per certi aspetti a quello presente n eli’ afasia di Broca, è stato descritto nella MP attraverso l’associazione tra frasi e figure corrispondenti (Natsopoulos et al., 1991). Come possibile spiegazione di questo fenomeno è stata considerata l a connessione neurologica che l’area di Broca intrattiene con i gangli della base (Friederici et al, 2003). Questo particolare pattern linguistico è posto i n c o r r i s p o n d e n z a a l d e fi c i t linguistico da compromissione delle aree semantiche presente nell’AD, che richiamerebbe invece più da vicino gli aspetti caratteristici dell’afasia di Wernicke (Ullman, 2001). I pazienti con MP, ad esempio, commettono più errori con le forme grammaticali regolari, che non con quelle irregolari: ciò sosterrebbe la nozione che la “grammatica” sia insediata nel sistema procedurale attraverso il circuito lobo frontale-gangli della base, in cui i gangli della base g i o c h e r e b b e r o u n r u o l o fondamentale nella processazione grammaticale (Ullman et al, 1997). Tale ipotesi rientra nel novero del modello dichiarativo-procedurale (Pinker, 1994; Ullman, 2001) che farebbe risiedere nei gangli della base la procedura di elaborazione delle regole grammaticali che consentono di combinare i morfemi (le unità più piccole possibili del linguaggio, ad es., in italiano: prend-) in unità complesse (es: prend-iamo, prend-eremo). U n a l t r o s t u d i o c o n d o t t o confrontando tra loro pazienti con lesioni cerebellari e MP (Witt et al, 2002) avrebbe invece mostrato per entrambi i gruppi un’intatta abilità di apprendimento implicito all’ “artificial grammar learning test” (Knowlton & Squire, 1996), un test utilizzato su pazienti amnesici che premette di confrontare l’apprendimento di sillabe grammaticali con sillabe non grammaticali, costruite al PC secondo la regola generativa di Markovian. Nonostante la presenza d i s i n d r o m e d i s e s e c u t i v a ( d i a g n o s t i c a t a i n seguito a prestazione deficitaria al Wisconsin Card Sorting Test), sia i pazienti con lesione cerebellare che quelli con MP mostrerebbero gli effetti di una conservazione d e l l ‘ a b i l i t à d i apprendimento grammaticale. Gli autori del lavoro concludono, perciò, asserendo che né le disfunzioni dei gangli della base né dell’attività dopaminergica sembrino essere i m p l i c a t e n e i c o m p i t i d i apprendimento grammaticale. Diversi livelli di lunghezza delle stringhe di parole da comprendere, un innalzamento dei tempi di reazione, complessità del compito utilizzati negli studi possono essere fattori rilevanti nel determinare o meno un deficit di comprensione sintattica. Inoltre, il rallentamento nella risposta in un compito a scelta multipla può risentire dell’influenza di un g e n e r a l e r a l l e n t a m e n t o (Grossman et al., 2002; Grossman et al., 2003) e di un calo delle risorse attentive attribuibili alla sindrome d i s e s e c u t i v a p a r k i n s o n i a n a (Grossman, 1999; Lee et al., 2003), p i ù c h e d a u n d e fi c i t d i comprensione a sé stante, come rilevano anche Skeel e coll. (2001). Recenti studi condotti attraverso i potenziali evocati indicherebbero che i gangli della base come compito principale non sosterrebbero i p r o c e s s i p i ù s u p e r fi c i a l i d i comprensione s i n t a t t i c a ma interverrebbero solo nei processi di integrazione (Friederici et al, 2003).Inoltre, soggetti affetti da MP sarebbero egualmente in grado come i controlli di comprendere e coniugare i verbi irregolari; al contrario, manifesterebbero difficoltà in compiti di scelta multipla, quando sono proposte varie alternative ad esempio sulla scelta del passato remoto (past tense nell’esperimento in lingua inglese) di verbi posti all’infinito (Longworth et al., 2005). Anche altre funzioni linguistiche complesse, come l’abilità di trarre inferenze e di comprendere metafore sarebbero generalmente sfavorite dalla presenza di MP ma solo in alcuni pazienti con elevato danno cognitivo generale tali difficoltà si estenderebbero anche in compiti più semplici (Berg et al., 2003). Questi risultati, in contrasto col modello d i c h i a r a t i v o – p r o c e d u r a l e , supporterebbero l’ipotesi che un d a n n o a i g a n g l i d e l l a b a s e risparmierebbe l ‘ a t t i v a z i o n e automatica dell’informazione linguistica e l’abilità di utilizzo della r e g o l a g r a m m a t i c a l e , m a impedirebbe lo svolgersi di processi linguistici più complessi, quali l’inibizione della risposta in presenza di alternative concorrenti. Il presunto deficit nella MP di comprensione linguistica appare perciò connotarsi più che altro come un deficit disesecutivo delle funzioni frontali, in termini di difficoltà di inibizione delle informazioni concorrenti, d i simbolizzazione e di una ridotta disponibilità delle risorse attentive.
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