Psicologia dello sharing: perché condividiamo contenuti sui social media?

di Anna Borriello e Francesca Dicé

La continua evoluzione dei social n e t w o r k e d e i s e r v i z i d i messaggistica istantanea ha modificato sensibilmente l e caratteristiche delle reti sociali che si sono ultimamente arricchite della dimensione online. Infatti, ad oggi, la rete virtuale, al pari di quella familiare, amicale, di vicinato, di scuola, lavoro e istituzionale (Sanicola, 2009), funge da social support, ovvero da sostegno sociale (Ferrario, 1992). La rete virtuale può rappresentare per noi utenti un sostegno quotidiano naturale perché dispensato da persone che sono collocate nella nostra rete e che sono in grado di fornire supporto e m o t i v o ( r i c e v e r e a s c o l t o , attenzione, affetto), informativo (offerta di consigli e sostegno nella valutazione degli eventi) e affiliativo (sentire di appartenere a un gruppo e di avere la possibilità di trascorrere il tempo libero in attività con altre persone).

Ma che cosa intendiamo per “virtuale“? Pierre Lèvy, già nel “lontano“ 1995 definiva il virtuale come la “trasformazione da una modalità dell’essere a un’altra”, ovvero come uno dei possibili modi di essere, contrapponibile non al reale ma a quello attuale. Nel momento in cui entriamo nelle comunità virtuali, infatti, ricostruiamo le nostre identità dall’altra parte dello schermo (Turkle, 1996). Quando parliamo di identità virtuali quindi, ci riferiamo a come una persona rappresenta una parte di sé e si relaziona con gli altri all’interno del mondo di internet, in particolare all’interno delle chat e dei social networks.

Ad oggi, risulta sempre più evidente come i social media abbiano cambiato il modo in cui viviamo. Sono ormai diventati pervasivi della nostra r e a l t à quotidiana, l a cosiddetta “vita virtuale”, il luogo in cui le persone ora trascorrono la maggior parte del proprio tempo l i b e r o , n o v e l l e p i a z z e d e l passatempo 2.0. Fateci caso, non appena abbiamo un minuto di pausa dalla frenetica routine del quotidiano ci viene spontaneo accedere ai social network e dare una sbirciata a quel che fanno gli altri, con il pretesto di “vedere” un po’ quel che accade nel mondo.

Non importa se siamo a bordo di una metropolitana affollata o in mezzo al traffico cittadino, l’accesso alle app social ci trasferisce automaticamente in un altro mondo: un universo incantato di sorrisi, paesaggi mozzafiato, piatti eccezionali da gran gourmet e felicità a non finire. Un mondo fuori dal mondo nel quale è lecito esprimere la propria opinione su qualsiasi argomento, e dire “Io penso” anche quando nessuno è in ascolto e nella realtà il pensiero risuona solo nella nostra testa, magari mentre siamo seduti su una banchina in attesa dell’ennesimo treno della giornata.

I s o c i a l n e t w o r k h a n n o sicuramente rivoluzionato la comunicazione, ma anche il modo stesso di pensare. Hanno bandito gli attimi di noia: perché nei momenti vuoti, nelle pause, non c’è più tempo di lasciare vagare lo sguardo nel nulla. Si puntano subito gli occhi allo smartphone dove è improvvisamente comparso un like che ci gratifica, oppure ci attende un messaggio o un commento a cui rispondere. Si afferma sempre più questa capacità dei social network di creare una comfort zone, una confortevole bolla virtuale creata a misura d’utente. Siamo davvero così liberi e sorridenti nella vita reale una volta bloccato lo smartphone? Siamo davvero così liberi nelle nostre fil ter bubbles di like, commenti e pagine correlate e suggerite?

S e c o n d o i l r e p o r t D i g i t a l 2021 pubblicato da We Are Social in Italia sono oltre 41mila le persone attive ogni giorno sulle piattaforme social, c i r c a i l 6 7 , 9% d e l l a popolazione totale che ogni giorno in media t r a s c o r r e s u i s o c i a l networks 1 or a e 52 minut i condividendo o postando qualcosa (foto, video, tweet, stato) e oltre 6 ore a navigare nel web. Siamo nell’era multimediale, lo smartphone è quasi un’estensione del corpo, soprattutto per i giovani, ma non solo.

Ma fermiamoci un attimo a riflettere… Condividere contenuti? Cosa vuol dire oggi condividere qualcosa, postare, fare sharing? Significa dividere-con-altri qualcosa di te, della tua personalità e della tua giornata.

“È la mia opinione, e io la condivido – Henri Monnier” “Condivisione” è una parola che nasce da molto lontano e che rimanda etimologicamente all’” avere qualcosa in comune”, allo “scambio consapevole e costruttivo”.

La storia e la natura dell’essere umano testimoniano come vi siano e v i siano s t a t i i n fi n i t i t i p i d i condivisione: cibi, idee, lingue, passioni, veicoli, religioni, problemi, scoperte, abitazioni, ideali, giochi, t e r r i t o r i , costumi, tradizioni, comunità, sport e molte altre. Condivisione quindi significa: coinvolgimento, compartecipazione. D o p o t u t t o l ’ i s t i n t o a l l a condivisione non è nuovo nella specie umana, ma esiste dall’inizio dei tempi. Semplicemente, mentre una volta le persone condividevano le proprie esperienze di fronte a un falò o a una tavola imbandita, oggi hanno la possibilità di farlo online e l’accesso alle piattaforme social ha triplicato e velocizzato le modalità di interazione.

Oggi, rispetto a qualche decennio fa, p o s s i a m o c o n t a r e s u u n a comunicazione facile e immediata. Abbiamo un maggior numero di contatti – potenzialmente infinito – e un’infinità di contenuti, stimoli, fonti da cui trarre spunto per le nostre “conversazioni” virtuali.

Ma non si tratta solo di questo. Fino a qualche anno fa si condividevano a voce solo fatti e cose “eccezionali”, oggi invece siamo nella cosiddetta “Information Age”, l’era in cui si rendono pubblici più contenuti, da più fonti, con più persone, più spesso e più velocemente. 

E’ l’era dello “sharing”, fenomeno con cui forniamo dati, foto e particolari della nostra vita sui social networks e ciò influenza e modifica la relazione tra le persone. A questo proposito, vi siete mai chiesti se il contenuto che avete appena condiviso in rete, lo r a c c o n t e r e s t e anche a uno sconosciuto del quale conoscete solo il volto? Molte volte la risposta è negativa.

Se ci fermiamo un attimo a riflettere, dietro i social network si cela una vera e propria rivoluzione di pensiero. Fino a vent’anni fa, l’idea di condividere su internet gran parte della propria vita e far sapere a tutti ciò che facciamo in ogni momento sarebbe sembrata una impensabile e paradossale rinuncia alla privacy. Sembrava improbabile che la gente comune potesse condividere su una piattaforma gran parte della propria vita. Eppure è proprio questa la logica su cui si fondano i social media: aprire il proprio mondo agli occhi di milioni di utenti sconosciuti in rete. Di fatto aspiriamo a tutelare la nostra privacy, ma non possiamo fare a meno di condividere in continuazione immagini, pensieri e informazioni sul web, al punto che ciò che vediamo camminando per strada o durante un viaggio viene valutato in funzione della sua possibilità di essere condiviso online, come ha osservato con acutezza un articolo del New York Times. Ma il punto è: cosa ci spinge, a livello personale, a condividere continuamente contenuti tramite il web?

L e r a g i o n i a l l a b a s e della condivisione sono state molto dibattute da psicologici ed esperti di marketing. Negli ultimi anni sono sorte numerose teorie al riguardo. Ad una prima analisi, i motivi principali sembrerebbero 3: ! stimolare l o scambio d’opinione; ! definire sé stessi di fronte al popolo del web; ! aumentare e intensificare le relazioni.

Più l’utente rende pubbliche online i n f o r m a z i o n i p e r s o n a l i e “interessanti”, più è facile che aumenti la sua popolarità anche nella vita reale, aumentando quindi le sue interazioni sociali.

Uno studio americano condotto nel 2004 dalla studiosa K. Y. A. McKenna e d a l l o p s i c o l o g o sociale J.A. Bargh, dimost r a come Internet rappresenti uno st rumento ideale per l ’auto-esplorazione (quando siamo online sfruttiamo aspetti della nostra personalità che nella vita pratica non riusciamo a esprimere) e per la ridefinizione della propria identità (più “arricchita” dalle interazioni con gli altri utenti).

Ma cosa ci spinge psicologicamente a condividere idee, opinioni e contenuti riguardo la nostra persona online? Questo è uno degli interrogativi chiave della nostra epoca tecnologica di cui i social sono diventati il perno gravitazionale fondamentale.

Dietro ogni condivisione c’è sempre una motivazione. Spesso l o facciamo senza neanche esserci soffermati sulla ragione per cui lo stiamo facendo. Cosa condividiamo e perché lo facciamo dipende da tanti fattori: la tipologia di social networ k ut i l izzata, la propr ia personalità e il proprio carattere, le cose che ci piacciono e il tipo di emozione che proviamo in un determinato momento. I social media ci connettono con gli altri utenti ma allo stesso tempo soddisfano bisogni primari. Un interessante studio effettuato dal The New York Times Customer Insight Group ha rilevato 5 motivi che spingono le persone al social sharing:

Rifacendoci ad uno schema caro alla psicologia, ovvero La piramide dei bisogni di Abraham Maslow, lo psicologo che nel 1954 aveva t e o r i z z a t o u n m o d e l l o motivazionale dello sviluppo umano basato su una gerarchia di bisogni, disposti a piramide, alla base si trovavano i bisogni primari, fondamentali per la sopravvivenza: quelli fisiologici e di sicurezza, una volta soddisfatti questi andiamo poi alla ricerca di quelli più complessi che non si soddisfano mai, i cosiddetti bisogni psicologici come i bisogni di appartenenza (quindi amicizia, affetto familiare, intimità sessuale ecc.), stima e relazionali e sociali, per arrivare fino all’auto realizzazione.

Applicando l a piramide a l l a necessità di condividere contenuti sui social possiamo chiederci come tali bisogni si manifestino sui social media.

  1. Bisogno di condividere pensieri ed emozioni La necessità di condividere pensieri, emozioni, esperienze e contenuti con gli altri fa parte della natura sociale dell’uomo, ed è proprio questo il motivo del successo dei s o c i a l me d i a . I l b i s o g n o d i condividere è una delle maggiori spinte che inducono gli utenti a creare post Facebook e pubblicare foto e video su Instagram per rendere gli altri partecipi di ciò che fanno. Chi ama pubblicare istanti della propria vita sui social, lo fa perlopiù per il gusto di condividere. La cultura dello sharing è talmente radicata nella società che ormai nessuno si interroga più sui motivi che ci spingono a condividere pezzi della nostra vita, riflessioni o frammenti di quotidianità nel mondo infinito e interconnesso della r e t e . C o n d i v i d e r e un p o s t , commentare quello di un amico, avviare una storia Instagram, sono a z i o n i a l l a b a s e d e l l e nostre interazioni quotidiane 2.0: proprio come un tempo lo era bere un caffè in compagnia, fare una telefonata o scrivere una lettera. Ora anche le nostre relazioni si riflettono nell’universo virtuale dei social media, adattandosi a una realtà dinamica, complessa e in rapida evoluzione. La condivisione è innata nell’uomo, inteso come animale sociale. Mentre fino a qualche anno fa la gente condivideva i propri pensieri intorno a una tavola imbandita, oggi i social network offrono una pluralità di strumenti con cui farlo online in tempo reale, velocizzando le modalità di interazione. Oggi p o s s i a m o c o n t a r e s u u n a comunicazione più veloce e immediata.
  2. 2. Bisogno di realizzazione e accettazione sociale La condivisione su piattaforme digitali come Facebook e Twitter permette di trovare una sorta di approvazione e accettazione sociale da parte di un gruppo. I social networ k non sono più considerati come un semplice mezzo di comunicazione, ma fanno parte della nostra quotidianità. Di fatto, trascorriamo ogni giorno molto tempo sui social. Fare distinzione tra realtà virtuale e vita reale oramai diviene priva di senso. Il digitale è diventato a tutti gli effetti un’estensione del mondo reale. Lo sharing online rappresenta quindi un modo per sentirsi parte di un gruppo, e sentirsi compresi e accettati.
  3. 3. Bisogno di accrescere la propria autostima Più si è social e più ci si sente cool. Molti studi dimostrano che gli utenti che hanno un certo seguito sui social network e ricevono molti like e commenti p o s i t i v i sono p i ù i n c e n t i v a t i a c o n d i v i d e r e frequentemente contenuti online. I like sono la misura della nostra a u t o s t i m a . I l b i s o g n o d i approvazione è importante per ogni essere umano, lo coltiviamo fin da bambini. I like sono il mezzo che ha convertito il bisogno di approvazione in una valuta. È stato statisticamente provato che gli utenti che ricevono più like ai propri contenuti social sono di conseguenza portati a c o n d i v i d e r e c o n ma g g i o r e frequenza. Uno studio inoltre ha rilevato che quando riceviamo un like sui social, il nostro cervello lo interpreta come una ricompensa, una gratificazaione e ciò stimola il rilascio di dopamina, altresì nota come l’ormone della felicità. Questo processo è stato definito dopamine-driven feedback loop. Quando guardiamo lo smartphone e vediamo decine di notifiche, like e commenti, ci sentiamo appagati. Più riceviamo consensi, più postiamo. Condividere sui social alimenta, pertanto, quel genuino bisogno di piacere agli altri, e di sentirsi apprezzati, stimati e considerati.
  4. 4. Bisogno di mostrarci come ci piacerebbe essere S i c o n d i v i d o n o p e n s i e r i , informazioni, emozioni, foto, selfie, video e contenut i onl ine per mostrare chi siamo, per affermare la nostra identità online, per veicolare il nostro valore. Attraverso un’accurata scelta dei contenuti da pubblicare, gli u t e n t i s i m o s t r a n o o n l i n e esattamente come gli piacerebbe e s s e r e v e r a m e n t e . T u t t i consapevolmente o meno scegliamo quale lato mostrare di noi stessi nelle diverse situazioni. Nei social network accade lo stesso, gli utenti sono portati a dare agli altri una determinata rappresentazione di sé che è lo specchio nel quale vorrebbero v e d e r s i r i fl e s s i . Condi v idere è un modo per alimentare quell’immagine di sé e la costruzione di un’identità ideale. Isocial network mostrano un mondo all’apparenza perfetto, lontano dalle ansie e dai problemi che affliggono la quotidianità. Spesso gli utenti usano i social per conservare le immagini e i ricordi dei loro momenti felici, o come svago dalla noia della routine giornaliera. Attenzione però. Questa tendenza talvolta rischia di esasperarsi e diventare una sorta di fame narcisistica, una smania ossessiva di mostrarsi sempre felici e ostentare la magnificenza di una vita che in realtà non si ha affatto. Questo comportamento estremo rischia di diventare tanto pericoloso per gli altri quanto distruttivo per sé stessi.
  5. 5. Bisogno di informazione Condividere contenuti sui social network ci fa sentire coinvolti con quanto succede nel mondo. I social ci permettono di essere sempre aggiornati sulle notizie che ci interessano, e offrono l’opportunità di condividere le informazioni che ci hanno colpito, e i contenuti che abbiamo letto. I social sono diventati importanti fonti informative; oggi infatti, milioni di italiani ammettono di informarsi esclusivamente attraverso questo canale.

Nel suo studio “The Psychology of Sharing” per meglio classificare gli obiettivi del social sharing, il New York Times ha classificato gli utenti i n b a s e a l l a m o d a l i t à d i condivisione stilando 6 tipologie di social sharer: 

” Gli Altruisti: sono persone riflessive e affidabili che condividono contenuti utili. Collaborative, attente, sempre connesse; 

” I Boomerang: esperti del web, condividono qualunque cosa generi reazioni trovando conferme da commenti e condivisioni di parte di terzi. Spesso usano i social per lavoro. Reattivi, conflittuali e a volte polemici. 

” I Selettivi: condividono contenuti di nicchia e non molto spesso. Non li vedrete quasi mai connessi, ma ogni volta che pubblicheranno qualcosa si tratterà (quasi) sempre di contenuti di qualità. Ingegnosi, attenti, seri, prediligono condividere contenuti d i carattere informativo. 

” Gli Hipster: creativi e popolari tra le loro connessioni, s p e s s o s i t r a t t a d i giovanissimi. Danno un g r a n d e peso a come vengono visti dagli altri, per q u e s t o c o n d i v i d o n o contenuti raffinati e capaci di comunicare al meglio la loro personalità. All’avanguardia e at tent i al l ’ immagine personale. 

” I Carrieristi: condividono contenuti principalmente per accrescere e intrattenere la loro rete business. 

” I Connector: creativi, riflessivi, con uno stile di vita “no stress”, sono portati a utilizzare le condivisioni per c r e a r e m o m e n t i d i a g g r e g a z i o n e o f fl i n e . R i l a s s a t i , a t t e n t i , pianificatori, amano inviare e-mail, utilizzare soprattutto Facebook. Le emozioni giocano un ruolo fortissimo nella condivisione di contenuti social.

Abigail Posner di Google è tra i tanti esperti del settore a sottolineare l’importanza dell’impatto emotivo che un determinato contenuto crea nei confronti di chi lo condivide: “Comprendere il richiamo emotivo e i fattori chiave dietro la scoperta, la visualizzazione, la condivisione e la creazione di video online, fotografie e c o n t e n u t i v i s i v i . Qu a n d o c o n d i v i d i a m o u n v i d e o o un’immagine, infatti, non stiamo soltanto condividendo l’oggetto, ma stiamo condividendo soprattutto la risposta emotiva che crea”.

Nel passaggio dal reale al mondo virtuale possono quindi trovare spazio anche aspetti del proprio sé che nella vita reale sono inibiti, a causa delle norme sociali oppure perché la persona nel contatto reale con l’altro non potrebbe accettarli come propri (Joinson et al, 2007). Quello che risulta è comunque un Sé frammentato, non unitario (Turkle, 1996), che viene disegnato ad arte a seconda delle esigenze e dei desideri del protagonista e a seconda dell’ambiente virtuale e quindi relazionale in cui si trova. Non esiste il vis a vis e questo ci p e r m e t t e d i d e c i d e r e autonomamente come mostrarci, anche in modo molto diverso da come siamo nella realtà.

Infatti le tracce digitali lasciate nei siti di social network, come ad esempio le parole e le emoticon raffiguranti stati emotivi, possono essere considerati come i sintomi del benessere o malessere dell’utente. I l Sé v i e n e r a p p r e s e n t a t o principalmente attraverso i l cosiddetto profilo, che viene costruito all’interno di qualsiasi social network utilizzando foto, informazioni personali, gusti in fatto di cinema, cultura e musica, eventualmente una frase che potrebbe rispecchiare la personalità dell’utente, e attraverso commenti e pensieri che possono essere aggiornati in qualsiasi momento e visti dagli altri utenti anche dopo un certo lasso di tempo da qualsiasi utente che ne abbia l’accesso.

La pagina web, e in particolare un profilo come quello appena descritto, permette non solo di mettere nella rete i propri pensieri personali, ma anche di comunicare in un certo qual modo una parte di sé agli altri utenti. A questo proposito, gli autori (Tosoni, 2004; Turkle, 1996) sottolineano il concetto di de-individuazione: il fatto che in rete esista l’anonimato o comunque la non-visibilità tra sé stessi e gli altri utenti permette di sentire in misura minore il peso delle norme sociali e del giudizio dell’altro.

In tal modo, l’utente si sente maggiormente libero di potersi esprimere secondo i propri desideri e secondo le proprie tendenze, che in questo contesto non risentono del filtro della relazione vis-a-vis che ne p o t r e b b e l i m i t a r e l a rappresentazione spontanea.

Di conseguenza, l’identità nella rete può essere vista (Tosoni 2004), come un foglio bianco, dove l’anonimato e la non visibilità consentono di staccarsi dal proprio corpo e dalla propria storia e permettono di scegliere il modo di presentarsi in base anche agli obiettivi che ci si pone nel momento in cui si decide di accedere al portale. Per dirla come la Turkle (1996), diventa così possibile essere “ciò che si è e ciò che si vuole essere”.

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