Disturbo d’ansia: il ruolo dei familiari
Disturbo d’ansia: il ruolo dei familiari.
Di disturbi d’ansia ormai si parla ampiamente. Diversi sono gli articoli che spiegano il circolo sintomatico, gli errori di pensiero e qualche strategia di gestione dell’ansia. Essa è inoltre uno dei disturbi in comorbidità più diffusi. Insomma, l’ansia la conosciamo tutti, e qualcosa di simile ad un attacco di panico è stato provato più o meno da ognuno di noi.
Per lo stesso motivo, molti possono trovarsi ad avere, per un certo periodo di vita, un partner o un familiare con un disturbo d’ansia. Stare vicino ad una persona con un disturbo d’ansia, indipendentemente dalla tipologia del disturbo, non è facile. Chi soffre d’ansia, per esempio, può chiedere insistenti rassicurazioni, anche a distanza di poco tempo. Il disturbo inoltre può essere così pervasivo da influenzare uscite o attività insieme.
Cosa può fare il familiare di una persona con disturbo d’ansia?
- Non rassicurare continuamente. Chi soffre d’ansia chiede continue rassicurazioni sul contenuto dei suoi timori. Il familiare è motivato a rispondere in senso positivo alle rassicurazioni, con il tentativo di superare il motivo di preoccupazione e tranquillizzare il soggetto. In realtà, la rassicurazione è un fattore che contribuisce a mantenere alto il livello dell’ansia. Infatti, quando si riceve una rassicurazione, il livello di ansia cala per un breve periodo di tempo, per poi tornare più alta e più forte di prima. Questo spingerà il soggetto a tornare “dove si è sentito meglio”, ovvero a chiedere un’altra rassicurazione simile, dopo poco tempo.
2. Comprendere la persona, senza trattarlo da paziente. La persona che soffre di un disturbo d’ansia, va certamente compresa nelle sue paure. L’ansia è un’emozione, e in quanto tale ognuno di noi ha la capacità di comprenderne le sensazioni, seppur ad una intensità minima. Rispondere in modo rabbioso o accusatorio, stanchi delle continue richieste di rassicurazione, aumenta il senso di colpa del soggetto ansioso (spoiler, il senso di colpa aumenta la stessa sintomatologia ansiosa). Tuttavia, comprendere il soggetto, non vuol dire diventare totalmente accudenti o comportarsi da terapeuti. Infatti, l’estrema accondiscendenza, accompagnamento, o addirittura sostituirsi alle paure del soggetto per lungo tempo, diventano aspetti di mantenimento della patologia. In primo luogo, questi comportamenti evitano alla persona ansiosa le esposizioni necessarie ad un trattamento del disturbo (attenzione, non parliamo di terapia d’urto!). Infine, un tal comportamento incita il soggetto ad una possibile identificazione con un passivizzante ruolo da paziente malato.
3. Mantenere la calma. Rispondere con un tono di voce calmo e senza paura funge da modelling per la persona ansiosa: d’altronde, di ansia non si muore!
4. Riconoscere i meccanismi dell’ansia. Un consulto da un esperto è molto utile nel riconoscimento dei circoli e dei sintomi ansiosi.
5. Fare insieme tecniche positive. Piuttosto che entrare nel contenuto della preoccupazione, quando si riconosce una sintomatologia ansiosa in atto, si può semplicemente incitare a mettere in atto, insieme, delle tecniche di gestione dell’attivazione corporea, come esercizi di respirazione, l’abbraccio della farfalla, rifocalizzazione dell’attenzione, TIP di gestione emotiva.