I Problemi Psico-sociali del paziente pediatrico con patologia cronica
di Ilenia Gregorio
Le patologie croniche sono malattie dalla prognosi incerta e a decorso ingravescente che richiedono un rapporto continuativo e diretto con le strutture e gli operatori s a n i t a r i . L a N a t i o n a l Commission on Chroni c Illness degli USA, nel 1956, ha definito malattie croniche tutte quelle patologie caratterizzate da un lento e progressivo declino delle normali funzioni fisiologiche (Bertola e Cori, 1989). A differenza delle malattie acute, che alterano lo stile di vita per un periodo di tempo circoscritto, i pazienti affetti da patologie croniche – e spesso anche i loro familiaridevono adattare le loro abitudini, i loro spazi e i loro tempi in base alla malattia, al suo decorso e alle terapie necessarie (Krulik e coll., 1999).
L’impatto psico-sociale delle malattie croniche, infatti, si manifesta a diversi livelli, i n t r a p s i c h i c o e d interpersonale, nell’ambito f a m i l i a r e , s c o l a s t i c o e l a v o r a t i v o e a l i v e l l o macrosociologico.
Già dagli anni ’30 Anna Freud metteva in evidenza che una “malattia fisica” poteva avere gravi conseguenze sullo sviluppo psicologico del bambino, soprattutto se di l u n g a d u r a t a . L’ospedalizzazione e le cure p r o l u n g a t e p o t e v a n o compromettere in modo anche importante, il delicatissimo processo evolutivo del piccolo ammalato, con conseguenze diverse correlate all’età di insorgenza della patologia, alla sua gravità e al suo protrarsi. Dai primi studi di Anna Freud ad ora lo scenario è gradualmente cambiato se consideriamo che i progressi terapeutici hanno trasformato molte patologie incurabili in malattie con sopravvivenza prolungata, incrementando, però, i problemi sociali.
Oggi giorno, le strutture sanitarie si sono attrezzate per i pazient i con patologi e c r o n i c h e i n m o d o d a consentire loro la migliore q u a l i t à d i v i t a ( C e n t r i Specialistici e Day Hospital con afferenza di competenze p a r t i c o l a r i ) ; sono nate Associazioni di malati spesso integrate da adeguati Comitati Scientifici, che attualmente tendono ad aggregazioni sempre più interessanti (Consulte di Associazioni); la vita politica, anche se con fatica, sta realizzando che la questione “malato cronico” interessa milioni di persone e che sarà necessaria una particolare sensibilità nei suoi confronti. La malattia cronica, d i f a t t i , r i c h i e d e c u r e e competenze p a r t i c o l a r i , rapporti continui con le Strutture Sanitarie ed ha, comunque, anche nella migliore delle ipotesi, grande rilievo sulla vita sociale del paziente e della sua famiglia, sui suoi progetti, sulle sue aspirazioni.
Il bambino fino ai 6-7 anni ha un comportamento del tutto particolare vede la sua malattia cronica come una colpa, l e terapie come maltrattamenti e avverte come dolore tutte le tensioni, i bisogni e i disagi caratteristici della sua situazione. In questa f a s e d e l l a v i t a i l comportamento della madre è importantissimo una madre che si sforza di trasmettere serenità e consapevolezza, avrà maggiori possibilità di infondere tranquillità al bambino; una madre ansiosa avrà, al contrario, un bambino a g i t a t o , p r e o c c u p a t o , spaventato. Qui il supporto psicologico specifico, gioca un r u o l o fondamentale: l o psicologo dovrà mettere in c a m p o t u t t a l a s u a competenza e le tecniche specifiche, dovrà accogliere, contenere ed implementare le risorse del bambino e della sua mamma, spiegando bene t u t t o q u e l l o c h e s t a succedendo e sostenendo al massimo la figura materna o comunque genitoriale. Dopo i 7 anni il bambino affronta la malattia con maggiore coscienza capisce bene quello che gli viene detto, localizza i disturbi, quando soffre fisicamente si s e n t e ancora “ p u n i t o ” , maltrattato, perseguitato.
Il supporto psico-sociale e la famiglia devono aiutarlo a mantenersi obiettivo, a non strutturare delle interpretazioni devianti, devono guidare il piccolo paziente ad avere un atteggiamento positivo nei confronti della vita in genere e della sua terapia in particolare. Si capisce bene come sia sempre di più indispensabile un colloquio chiaro, onesto, sereno e costante da parte dell’équipe curante. Nell’età adolescenziale la situazione diventa sempre più difficile (di per sè questo il p e r i o d o d e l l a v i t a p i ù complesso dal punto di vista psicologico e sociale). Il ragazzo può assumere atteggiamenti di difesa, con negazione della malattia che v i e n e v i s t a come u n a minaccia, un impedimento alla propria autonomia, una aggressione alla “immagine di sè. E’ vero che la negazione d e l l a m a l a t t i a p u ò rappresentare una protezione, almeno nelle fasi iniziali, ma l’adolescente in questo caso non accettando la propria condizione, probabilmente non accetterà nemmeno le terapie propostegli. E’ importante quindi che egli prenda piena coscienza del proprio stato, che possa esaurientemente usufruire del sostegno della famiglia, del personale sanitario e delle strutture di afferenza perché, senza un adeguato supporto, e senza risorse alternative, potrebbe “regredire” sino a mettere in atto comportamenti i n f a n t i l i . S o l i t a m e n t e nell’adolescente questi disturbi regressivi hanno una durata transitoria, soprattutto se ricevono il supporto adeguato che appena la malattia lo consente, deve favor i r e l ’ i n d i p e n d e n z a , l ’ a u t o s u f fi c i e n z a , l’autogestione. Il giovane deve continuare, laddove sia possibile, la sua vita sociale. L ’ i s o l a m e n t o e l’allontanamento dalla realtà p o s s o n o p o r t a r e n e l l ’ a d o l e s c e n t e , all’insorgenza di sintomi nevrotici e depressivi. La totale negazione della malattia porterà ad una “frattura” fra il paziente ed il suo male: scissione pericolosa dal punto di vista psicologico. Occorre che il ragazzo comprenda e accolga la sua malattia, con tutto l’appoggio e il supporto di cui necessita. L’adolescenza è l’età nella quale, di norma, avvengono profonde modificazioni anche s o m a t i c h e c h e g i à normalmente “disorientano” un ragazzo sano che fatica ad accettare la propria nuova i m m a g i n e c o r p o r e a . Modificazioni fisiche legate allo stato di malattia, in questa età, diventano fonte di grande ansia. La malattia, che non deve mai essere tenuta nascosta al paziente e al suo contesto, deve essere ben conosciuta ed accettata per quello che è, nella sua realtà, senza banalizzazioni né sopravvalutazioni. Il momento più importante, infatti, nel contesto di una m a l a t t i a c r o n i c a è l a comunicazione della diagnosi. Questa deve avvenire con il tempo necessario, in un a m b i e n t e i d o n e o , c o n chiarezza assoluta, precisione e completezza deve essere rivolta, oltre che alla famiglia, al paziente, anche se piccolo. Un bambino di 5-6 anni può b e n i s s i m o r i c e v e r e informazioni circa la sua malattia, chiaramente con modalità e materiali adeguati alla sua età. Quando parliamo d i comunicazione d e l l a diagnosi però non dobbiamo vederla come un fatto che si compie, che si chiude, che n o n s i r i p e t e p i ù . L a comunicazione della diagnosi deve significare l’inizio di un rapporto paritetico, di una “alleanza” tra malato – famiglia – èquipe curante con lo scopo di sconfiggere la malattia. Questa “alleanza relazionale” ha una valenza positiva, può essere di grande aiuto alla famiglia e apportare fiducia. Infatti, quando, nel contesto familiare, irrompe la diagnosi di una malattia cronica, potenzialmente mortale o i n v a l i d a n t e , l a f ami g l i a dapprima subisce un grave shock psicologico, poi, proprio con il concetto di “affrontare” la malattia, si riorganizza, si pone altri obiettivi, cambia taluni comportamenti e alla fine accetta la situazione. Nel momento del manifestarsi di una patologia cronica pediatrica, ci si imbatte anche una fase delicata di crisi nella coppia genitoriale, talvolta, per problemi già presenti ed accentuati dalla situazione. Spesso il padre si sente isolato, avendo talvolta un compito limitato rispetto a quello della madre nella gestione della malattia e “fugge” psicologicamente dalla situazione. Altre volte fra i genitori si instaura una solidarietà molto forte, tesa solo alla cura del bambino, così che la coppia genitoriale si trasforma in una coppia di accaniti terapeuti, “congelandosi” attorno alla malattia, rompendo i rapporti sociali, chiudendosi al mondo esterno (e questo è un gravissimo errore). Se la famiglia non accetta la m a l a t t i a , l a nega, non s t a b i l i s c e l ’ a l l e a n z a terapeutica con l’equipe, ha risentimento verso i medici, oppure si carica di sensi di colpa soprat tut to per le m a l a t t i e t r a s m e s s e geneticamente incorrerà, il più delle volte, in un circolo v i z i o s o d i s t a l l o e d i c o l p e v o l i z z a z i o n i c h e inficeranno l’aderenza alle terapie. Come ben si capisce occorre sostenere la famiglia i n m o d o c h e , successivamente al periodo iniziale, ritrovi la sua serenità, attraverso nuovi equilibri, perché solo così potrà a f f r o n t a r e i l s u o i t e r terapeutico. La famiglia deve continuare a vivere, a “crescere” dal punto d i v i s t a p s i c o – s o c i a l e , a r r i c c h e n d o s i a n c h e dell’esperienza “malattia”. E ’ c h i a r o c h e i l comportamento del Sistema Familiare è correlato anche all’esistenza di problemi precedenti e che ogni famiglia, di fronte a problemi uguali, ha reazioni diverse per durata e intensità. In questo contesto anche le “bugie”, pur con il loro intento protettivo, non realizzano nulla di positivo, anzi creano un clima di reciproca sfiducia in quanto il malato ha estremo bisogno di verità. Una situazione di grande disagio è anche quella vissuta dai fratelli del bambino o dell’ adolescente ammalato, che spesso, vengono messi da parte, per il grande impegno che sta assolvendo la famiglia, provocando, così, sentimenti abbandonici nella fratria.
Talora su di loro gravano sensi di colpa perché sono sani, oppure hanno l’intuizione di essere “fratelli di scorta”, d o v e s s e a n d a r e m a l e qualcosa al bambino malato. La chiarezza della diagnosi, delle cure e di tutto l’iter terapeutico appare quindi fondamentale per tut t i i componenti di un nucleo f a m i l i a r e ; c o s ì c o m e importantissimo è il sostegno psicologico d i cui ogni membro necessita: ricordiamo che, diagnosi molto pesanti possono portare a sindromi depressive difficili da superare senza supporto. Solo in questo modo la c r o n i c i t à non avrà p i ù significato per persistenza di malattia ma servirà, invece, a definire un’area di grandi bisogni, non sempre espressi, che noi tutti abbiamo il dovere di ricercare ed appagare, in un divenire continuo unicamente rivolto a migliorare la qualità di vita.
Bibliografia alla rivista Psicologinews del 22 Gennaio 2024, p. 18-19