Quando il parto lascia cicatrici invisibili: Violenza Ostetrica e impatti psicologici

La “violenza ostetrica” è un fenomeno molto complesso sia da definire che da analizzare. Con questo termine si intende l’insieme degli atti e dei comportamenti dei professionisti sanitari nei confronti delle donne durante il travaglio e il parto che possono essere identificati come forme di violenza fisica, verbale o psicologica. Il fenomeno della violenza ostetrica viene identificato come “l’appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali, avente come conseguenza la perdita di autonomia e delle capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna” (Venezuela, 2007). Inoltre, viene adottata una spiegazione psico sociale al fenomeno grazie al costrutto di “violenza strutturale”, col quale si intende un particolare tipo di violenza che viene esercitata in modo indiretto; essa non ha bisogno di un attore per essere eseguita, è prodotta dall’organizzazione sociale stessa ed è agita da singoli e da gruppi nel quotidiano (Galtung, 1990). La violenza ostetrica viene presa in considerazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la prima volta nel 2015 e, nel 2016 viene identificata come una pratica che lede il diritto delle donne al diritto alla salute (OMS, 2015). Da un punto di vista psicologico si riferisce a una serie di atteggiamenti e pratiche spesso caratterizzate da abuso di potere che possono manifestarsi durante la gravidanza, il parto o il post-parto. Una serie di ricerche hanno rilevato che il 76% delle donne riferisce di aver subito almeno una forma di violenza ostetrica legata al parto, esperienza che nel tempo tende ad associarsi a difficoltà psicologiche nonché sociali.

La svalutazione del vissuto

Spesso, quando si ha a che fare con tali vissuti si manifesta da parte degli operatori sanitari un mancato riconoscimento, o ancora un approccio teso a salvaguardare delle “procedure di sistema” anche a scapito del benessere delle pazienti. In questo senso, dunque, si potrebbe far luce sull’accezione più propriamente “sessista” nei confronti di donne che manifestano in assoluta libertà il proprio disagio e che tendenzialmente pongono domande rispetto al proprio dolore fisico. Dagli studi emerge, infatti, che le pazienti spesso menzionano una inadeguatezza delle pratiche da parte degli operatori soffermandosi su temi quali: abbandono, incuria, maltrattamento, mancanza di supporto. Tali sensazioni sembrano altresì avere numerose correlazioni con lo sviluppo della Depressione Post-Partum. Quando si sviluppa tale patologia, la madre percepisce una realtà intrisa in modo costante di sentimenti negativi e di una sintomatologia fisica caratterizzata da spossatezza e mancanza di energie. Per tale ragione la donna sente ulteriormente di non essere in grado di assumere il “ruolo di madre ideale”, ovvero quella che ha introiettato nella sua mente (Pellizzaro, 2024).

Conclusioni

La violenza ostetrica persiste nel tempo e nelle maggior parte dei casi si identifica nella carenza del personale, negli eccessivi carichi di lavoro e nella mancanza di materiali e attrezzature. A tal proposito quindi il processo del parto andrebbe ripensato e riformulato permettendo alle donne di riacquisire il “controllo” sul proprio corpo.

Bibliografia

  • Galtung J., Florio S.(2014) Affrontare il conflitto. Trascendere e trasformare. University Press:Pisa
  • Pelizzari, E. (2024) “Violenza reale e ideologia di genere. Le cause di morte in Italia. Uno sguardo ai dati.”