“Relazioni interpersonali: il peso del forse e il cuore in conflitto”

di Rita Tancredi

Vivere nell’ambiguità è uno dei dolori più sottili e silenziosi che possano caratterizzare le relazioni interpersonali. Aspettare un messaggio. Interpretare un gesto. Chiedersi se l’attenzione dell’altro sia concreta o rappresenti solo un’illusione di quello che gli manca nella sua vita.
Forse non è amore. Forse è solo bisogno. O desiderio.  È un sentimento tanto potente e profondo, quanto doloroso. Esso non consola, ma consuma. Non costruisce, ma sospende. Se da un lato tocca, difatti, importanti corde emotive, dall’altro fa trapelare un vuoto che non costituisce un mero dettaglio, ma si traduce in indecisione, assenza o presenza a metà.  Nel momento in cui l’altro non è emotivamente o praticamente disponibile, il vissuto di un’altalena straziante di momenti intensi e silenzi incolmabili è il rischio più alto che si possa correre e l’esperienza di dinamiche dolorose, senza capirne le ragioni, è quasi inevitabile. È così che il cuore va in affanno ed è in conflitto, in attesa di una scelta che non arriva.
La verità è che si trascorre una vita in attesa: in attesa di un riconoscimento professionale, di eventi positivi inaspettati, di un benessere psico-fisico che si rispecchia nel sentirsi felici e appagati. È questo il motivo per cui non si nega di possedere validi motivi per sentirsi feriti o confusi e di meritare molto di più. Riconoscere di meritare presenza, rispetto e spazio emotivo non è un atto di debolezza, è essere consapevoli del proprio valore, è tutelare la ferita che si riapre ogniqualvolta che l’altro scompare. Fa male, ma occorre ricordarsi che non è la solitudine ad essere la cosa più dolorosa bensì il restare invischiati in una relazione che fa sentire soli anche quando si è con qualcuno. Vivere in funzione di ciò che arriva o non arriva dall’altro fa sentire imprigionati, instabili e fa sperimentare emozioni unicamente a metà. Ci poniamo un’infinità di domande, lasciamo spazi a dubbi e permettiamo che le
preoccupazioni inficino sulla nostra autostima, ma le emozioni non si giudicano. Si ascoltano. Si vivono. In altre parole, accogliere la possibilità di replicare modelli di attaccamento infantili e osservare i propri
bisogni emotivi è alla base della costruzione di relazioni sane ed efficaci. Solo nel momento in cui la paura e la speranza lasciano spazio al “qui ed ora” si può trovare nell’altro passione e protezione, intensità e affidabilità.