Invecchiamento: i geni contano meno di quel che pensiamo. Parola di geropsicologo
di Giulia Goldin
Fin dalla prima infanzia veniamo esposti a rappresentazioni negative della vecchiaia, che diviene ben presto sinonimo di declino fisico e cognitivo, dipendenza, perdita e infelicità. Famoso è l’aforisma del commediografo romano Terenzio “senectus ipsa est morbus” ovvero “la vecchiaia è di per sé una malattia”. Ma è veramente così?
Come vedremo a breve, l’invecchiamento, in realtà, è un processo altamente eterogeneo e modificabile per cui abbracciare la visione fatalista dominante non sembra essere una scelta saggia.
Secondo i ricercatori, infatti, l’invecchiamento dipende per il 30% da fattori genetici e per ben il 70% da fattori ambientali, ovvero stile di vita, relazioni sociali, salubrità dell’ambiente fisico, status socio-economico (Easterbrook, 2014). Questi dati fanno tirare un sospiro di sollievo e riflettere sul potente mezzo della prevenzione e sulla nostra agency.
Riserva cognitiva e plasticità cerebrale
Per quanto riguarda l’influenza dell’ambiente sulla senescenza, è doveroso introdurre i concetti di riserva cognitiva e plasticità cerebrale, ampiamente trattati dalle Neuroscienze.
Con riserva cognitiva (Stern, 2009) si intende quella modalità attiva con cui il cervello è in grado di contrastare un processo patologico. Alti livelli di educazione, occupazione e attività stimolanti praticate nel tempo libero sembrano incidere sulla flessibilità e l’efficacia delle reti neurali, permettendo un ritardo dei segni clinici della demenza nel caso in cui essa si presenti. Un elevato livello di istruzione, se accompagnato da attività cognitive complesse e impegno sociale in tarda età, può comportare una riduzione del rischio di demenza fino al 40% (Valenzuela et al., 2001).
Ma come è possibile che le esperienze di vita abbiano un effetto così diretto sul nostro cervello? La spiegazione è data dalla plasticità cerebrale, una proprietà intrinseca del cervello umano che consente di adattarsi alle pressioni ambientali, ai cambiamenti fisiologici e agli eventi di vita attraverso un continuo rimodellamento delle mappe neuro-sinaptiche (Guglielman, 2012). La plasticità cerebrale accompagna l’intero arco di vita e agisce anche quando il processo neurodegenerativo è in corso.
Lo psicologo dell’invecchiamento
Se, come dice la letteratura, l’ambiente incide profondamente sui processi di invecchiamento allora risulta lampante la necessità della figura dello psicologo che, in veste di ambiente sociale, può proporre alla popolazione anziana interventi di vario tipo, sfruttando le proprietà della plasticità cerebrale.
Il “Piano d’azione globale di salute pubblica in risposta alla demenza”, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2017), riconosce l’importanza della figura dello psicologo nel sensibilizzare la comunità sui disturbi neurocognitivi e nel promuovere interventi di supporto ai caregiver.
L’American Psychological Association (APA), inoltre, ha pubblicato nel 2003, con una revisione nel 2014, le “Linee guida per la pratica psicologica con gli anziani” e riconosciuto nel 2010 la figura del geropsicologo. Nel contesto italiano l’inquadramento di tale figura varia da regione e regione, infatti in alcune di esse lo psicologo non rientra negli standard di personale previsti per le strutture per anziani. Nonostante ciò, gli psicologi interessati all’area invecchiamento possono fare affidamento alle preziose linee guida pubblicate nel 2013 dall’Ordine degli Psicologi del Veneto “Ruolo e attività dello psicologo nell’area anziani”. Esse delineano sei possibili aree di intervento psicologico: residenzialità e semiresidenzialità, area ospedaliera, area domiciliare, università e centri di ricerca, terzo settore e comunità locale.
Un esempio di intervento: la stimolazione cognitiva
Un esempio di intervento rivolto a pazienti con demenza di grado lieve-moderato è la stimolazione cognitiva. Essa, tramite il coinvolgimento dell’anziano in attività di gruppo e discussione che favoriscono la socializzazione, sembra rallentare il decorso della malattia e avere effetti significativi sul funzionamento cognitivo globale, la qualità di vita e il linguaggio (Clare & Woods, 2004; Lobbia et al., 2018).
Dunque, tramite la creazione di un ambiente arricchito questo intervento favorisce la neuroplasticità, potenziando i meccanismi compensativi adottati dal cervello a fronte dei cambiamenti funzionali tipici del normale invecchiamento (vedi Modello PASA, Davis et al., 2008; Modello HAROLD, Cabeza et al., 2002).
Bibliografia
American Psychological Association. (2014). Guidelines for psychological practice with older adults. The American Psychologist, 69(1), 34.
Cabeza, R., Anderson, N. D., Locantore, J. K., & McIntosh, A. R. (2002). Aging gracefully: compensatory brain activity in high-performing older adults. Neuroimage, 17(3), 1394-1402.
Clare, L., & Woods, R. T. (2004). Cognitive training and cognitive rehabilitation for people with early-stage Alzheimer’s disease: A review. Neuropsychological rehabilitation, 14(4), 385-401.
Copes, A., Empolini, M., Garbo, P., Gasparotto, L., & Indiano, A. (2013). Ruoli e attività specialistiche dello psicologo nell’area anziani. Disponibile qui.
Davis, S. W., Dennis, N. A., Daselaar, S. M., Fleck, M. S., & Cabeza, R. (2008). Que PASA? The posterior–anterior shift in aging. Cerebral cortex, 18(5), 1201-1209.
Easterbrook, G. (2014). What happens when we all live to 100?. The Atlantic, 314(3), 61-72.
Guglielman, E. (2012). The ageing brain: Neuroplasticity and lifelong learning. eLearning Papers, 29, 1-7.
Lobbia, A., Carbone, E., Faggian, S., Gardini, S., Piras, F., Spector, A., & Borella, E. (2018). The efficacy of cognitive stimulation therapy (CST) for people with mild-to-moderate dementia. European Psychologist.
Stern Y., Dietz A., (1994). The Value Basis of environmental concern. Journal of Social Issues, 50. 65-84
Stern Y. (2009). Cognitive reserve. Neuropsychologia, 47. 2015-2028
Valenzuela M., Brayne C., Sachdev P., Wilcock G., Matthews F. (2001). Cognitive lifestyle and long-term risk of dementia and survival after diagnosis in a multicenter population-based cohort. Medical Research Council Cognitive Function, 53-62