Emozioni “di base”
di Umberto Maria Cianciolo
Il termine “emozione” deriva dal verbo latino “emovère”, composto dalla preposizione “ex” (“fuori”) e dal verbo “movere” (“muovere”), che letteralmente significa “portare fuori”, “smuovere”, ed in senso lato “scuotere”, “agitare”.
Sul dizionario “Treccani” è possibile leggere la seguente definizione: “Impressione viva, turbamento, eccitazione. In psicologia, il termine indica genericamente una reazione complessa di cui entrano a far parte variazioni fisiologiche a partire da uno stato omeostatico di base ed esperienze soggettive variamente definibili (sentimenti), solitamente accompagnata da comportamenti mimici”.
Dallo stesso dizionario si rintraccia un’origine francese del termine, dal verbo “èmouvoir”, ovvero “mettere in movimento”.
I riferimenti etimologici, nonché le definizioni citate, ci conducono a pensare l’emozione come ad un qualcosa in movimento, che si “muove da”, che si sposta, che viaggia, che si genera e sviluppa in un percorso “da-a”. Dunque, è possibile affermare che l’emozione attivi una risposta fisiologica e che sia una reazione ad uno stimolo, un comportamento di risposta.
La risposta fisiologica agli stimoli esterni, può predisporre, ad esempio, all’azione, alla fuga, all’attacco, in base all’elaborazione dello stimolo, sia essa cosciente/consapevole che automatica/inconsapevole: potremmo così rilevare una possibile accelerazione del battito cardiaco, una contrazione muscolare, un indebolimento, un tremore, una contrazione del respiro. Tutto ciò ci ha permesso di sopravvivere e di conservare la specie, come già affermato e teorizzato da Darwin. Questi, inoltre, coerentemente con i propri studi, si interrogava sull’origine innata o appresa dei movimenti dei muscoli facciali che rendono “visibile” un’emozione (Darwin, 1872; Ekman, 1973).
È dallo spunto teorico del padre della “Teoria dell’Evoluzione” che Paul Ekman si interroga sull’esistenza delle emozioni cosiddette “di base”, sulla possibilità che queste siano innate e dunque egualmente osservabili e rilevabili in ogni essere umano, e che siano differenziabili da quelle cosiddette “secondarie”, frutto di apprendimento e di interazione sociale.
Ekman è uno psicologo statunitense, pioniere della ricerca sull’espressività facciale delle emozioni. Come da lui riportato in “Basic Emotion”, terzo capitolo all’interno dell’opera “Handbook of cognition and emotion” (Dalgleish e Power, 1999), la sua ricerca sugli eventi interpersonali prototipici prese le mosse dalle scoperte di Boucher e Brant, i quali, nel 1970 (la ricerca fu poi pubblicata in un tempo successivo, nel 1981), trovarono molti elementi in comune esaminando anche culture non occidentali. Secondo gli autori, esistono eventi prototipici universali scatenanti determinate reazioni emotive: ad esempio, constatarono che la perdita di una persona significativa fosse causa di tristezza in molte delle culture prese in esame e che ciò che differiva tra le diverse culture fosse l’oggetto, in senso dinamico, investito emotivamente e affettivamente (Boucher e Brant, 1983).
Ekman sostiene con fermezza l’importanza cruciale dell’espressività emotiva, soprattutto nello sviluppo e regolazione delle relazioni interpersonali. Difatti, una sua ricerca, che ha coinvolto persone affette da paralisi facciale congenita (sindrome di Mobius), ha dimostrato come queste persone avessero seri problemi nello sviluppo e mantenimento di relazioni, anche casuali, proprio per l’incapacità di espressività facciale (Ekman, 1999).
Quindi è possibile affermare che vi sono delle caratteristiche attraverso le quali distinguere un’emozione da un’altra e attraverso le quali individuare le “emozioni di base” e distinguerle da un qualsiasi altro fenomeno di natura affettiva (Ekman, 1999; Ekman, 2003; Ekman e Cordaro, 2011):
- Una reazione fisiologica distintiva;
- Una valutazione automatica (appraisal) influenzata dalle esperienze ontogenetiche e filogenetiche;
- Aspetti comuni negli eventi che suscitano una tale emozione;
- Aspetti distintivi a livello evolutivo;
- Presenza in altri primati;
- Rapida insorgenza;
- Breve durata;
- Reazione visibile;
- Pensiero distintivo, ricordi e immagini;
- Esperienza soggettiva distintiva;
- Periodo refrattario dove si filtrano le informazioni disponibili per cosa supporta l’emozione;
- Obiettivo;
- Rappresentazione dell’emozione in modo costruttivo o distruttivo.
Secondo Ekman, l’individuare l’esistenza di emozioni di base non respinge, non nega, l’esistenza di una varietà dei fenomeni connotati affettivamente; al contrario, egli ritiene che sono proprio queste emozioni ad organizzare e determinare tali fenomeni. In tal senso, ogni emozione è considerabile “di base”, cioè necessaria e indispensabile alla vita emotiva-affettiva degli individui.
L’aggettivo “di base”, dunque, è usato da Ekman per distinguere tutte le emozioni discrete, cioè distinguibili l’una dall’altra e la cui esistenza è provata dalla fisiologia facciale, vocale, automatica e dallo studio degli eventi che precedono l’una o l’altra emozione (Ekman e Cordaro, 2011). L’origine di queste emozioni è stata teorizzata rispetto a processi sia filogenetici (vedi Darwin), ovvero rispetto al progresso evolutivo, alla necessità di adattamento biologico che ci ha consentito di “reagire ai compiti fondamentali della vita” e che ci ha spinto “in una direzione che, nel corso della nostra evoluzione, ha condotto a migliori soluzioni in circostanze ricorrenti e rilevanti per i nostri obiettivi” (Ekman e Cordaro, 2011, p. 364), che ontogenetici (Parkinson, 1996), ovvero socialmente costruiti e universalmente condivisi; in quest’ultimo caso sono le nostre esperienze condivise come esseri umani a generare esperienze emotive condivise.
Esistono prove dell’esistenza delle seguenti sette emozioni “di base” (Ekman e Cordaro, 2011):
- Rabbia: risposta all’interferenza con il nostro perseguimento di un obiettivo a cui teniamo; risposta che può essere elicitata da qualcuno che tenta di farci del male (fisicamente o psicologicamente) o da una persona a cui teniamo. “Oltre a rimuovere l’ostacolo o fermare il danno, la rabbia spesso comporta il desiderio di ferire il bersaglio” (Ekman e Cordaro, 2011, pag. 365);
- Paura: risposta alla minaccia di danno, fisico o psicologico. La paura può innescare la rabbia o attivare comportamenti di freezing o fuga;
- Sorpresa: risposta ad un evento improvviso e inaspettato; è l’emozione più breve;
- Tristezza: risposta alla perdita di un oggetto o persona a cui si è molto legati;
- Disgusto: respingere qualcosa dalla vista, dall’olfatto o dal gusto; può essere causato anche da persone le cui azioni sono disgustose o da idee offensive;
- Disprezzo: “sentirsi moralmente superiori ad un’altra persona” (Ekman e Cordaro, 2011, pag. 365);
- Felicità: sensazione di goduria ricercata dalla persona.
Come è possibile, quindi, riconoscere un’emozione “di base”?
Come già accennato, secondo Ekman, quando siamo in preda ad un’emozione avvengono molti cambiamenti a nostra insaputa, o comunque di cui non siamo immediatamente consapevoli: i segnali emotivi che si possono evincere dai movimenti della muscolatura facciale o dalla voce, azioni apprese e pre-impostate, attività del Sistema Nervoso Autonomo, “modelli regolatori che modificano continuamente il nostro comportamento” (Ekman e Cordaro, 2011, p. 366), recupero di memorie e/o aspettative rilevanti e come interpretiamo ciò che sta accadendo. Tomkins (1964) ha proposto il concetto di “programma affettivo” (“affect program”) per riferirsi ad un meccanismo centralizzato ereditato che dirige il comportamento emotivo. Come ricordano Ekman e Cordaro (2011) il termine “programma” ha una doppia derivazione etimologica: “pro” che significa “prima” e “graphein” che significa “scrittura”. Con programma, quindi, ci si riferisce a meccanismi che memorizzano informazioni scritte-prima e, come in questo caso, ereditate. Nonostante numerose evidenze sull’attività aperta a nuove informazioni da parte di questi programmi affettivi, che non sono altro che una metafora per indicare i meccanismi fisio-neurologici correlati a ciascuna emozione, Ekman precisa come l’evoluzione abbia comunque
“preimpostato alcune delle istruzioni o dei circuiti nei nostri programmi affettivi aperti, generando i segnali emotivi, gli impulsi emotivi all’azione e i cambiamenti iniziali nell’attività del Sistema Nervoso Autonomo e stabilendo un periodo refrattario in modo da interpretare il mondo in un modo coerente con l’emozione che si sta provando” (Ekman, 2011, p. 367).
I nostri programmi affettivi non sono regolati solo dal “nostro passato evolutivo” (Ekman e Cordaro, 2011, p. 368) ma sono legati anche agli esiti delle nostre risposte ad esperienze passate: è un processo regolatorio che cambia da individuo a individuo. Tale processo, nel tempo, porterà nuovamente e comunque a mettere in atto risposte automatiche, involontarie, difficili da inibire una volta entrati nel programma. Questa caratteristica dei programmi affettivi ci permette, comunque, di adattarci ad ogni situazione nuova che viviamo.
Riferimenti bibliografici
Darwin, C. (1872). The Expression of the emotions in man and animals. London: John Murray.
Ekman, P. & Cordaro, D. (2011). What is Meant by Calling Emotions Basic. Emotion Review, 3, 364-370.
Ekman, P. (1973). Darwin and Facial expression: A century of research in review. New York, N.Y.: Academic.
Ekman, P. (1999). Basic Emotions. In T. Dalgleish & M. Power (ed.), Handbook of Cognition and Emotion (45-60). Hoboken, N.J.: John Wiley & Sons Ltd.
Tomkins, S. S., & McCarter, R. (1964). What and where are the primary affects? Some evidence for a theory. Perceptual and Motor Skills, 18, 119–158.
Parkinson, B. (1996). Emotions are social. British Journal of Psychology, 87, 663-683.