“Sentire” il mondo intorno a sé: correlati neurali del relazionarsi
di Umberto Maria Cianciolo
Baron-Cohen (1997) ha coniato il termine “cecità mentale” (mindblindness) in riferimento all’incapacità da parte dei bambini autistici di rappresentarsi correttamente gli stati mentali degli altri attraverso l’utilizzo dei segnali non verbali (come le espressioni facciali) e la deduzione di uno stato mentale interiore di un’altra persona.
Uno studio (Spezio et al., 2007) dimostra come questi pazienti non prestino attenzione allo sguardo, confermando, ad esempio, quanto Adolphs e colleghi (2005, 2010) scoprirono, attraverso l’utilizzo dell’eye tracker per la registrazione dei movimenti oculari: determinante, per il riconoscimento della paura, sono gli occhi. La maggior parte delle espressioni contiene altri indizi distintivi (es. sorriso della gioia) ma la caratteristica distintiva di un’espressione impaurita, infatti, è l’aumento della porzione bianca dell’occhio, la sclera.
Quando ci relazioniamo con gli altri, possiamo solo inferire ciò che pensano e sentono attraverso i segnali verbali e non verbali: dal punto di vista evoluzionistico, le pressioni sociali hanno sempre più reso necessaria questa capacità, che Premack e Woodruff (1978) hanno definito Teoria della Mente (ToM). Con questo termine, dunque, ci riferiamo alla capacità di un individuo di attribuire e inferire stati mentali (credenze, emozioni, desideri, intenzioni e pensieri) a sé e agli altri, e di prevedere sulla base di tali inferenze il proprio e altrui comportamento.
Per dedurre i pensieri degli altri, dunque, il punto di partenza è il comportamento osservabile attraverso cui inferire ciò che non è osservabile, cioè il loro stato psicologico.
Ma come avviene ciò? Vi sono due teorie al proposito.
La prima è conosciuta come la teoria della simulazione – o teoria del sistema di condivisione delle esperienze (Zaki & Ochsner, 2011) secondo cui osservare il comportamento di qualcun altro, e imitarlo, siano associati a una personale risposta fisiologica, che poi si utilizza per dedurre che l’altro stia provando la stessa sensazione.
La seconda è la teoria della teoria – o teoria del sistema di attribuzione degli stati
mentali (ibidem) secondo cui è possibile teorizzare gli stati mentali degli altri da quello che conosciamo su di loro (ricordi, situazione in cui si trovano, la loro famiglia, la loro cultura ecc.).
La corteccia prefrontale mediale, coinvolta nei processi di percezione del sé, sembra essere la regione chiamata in causa dalla teoria della simulazione che, come detto, suggerisce una relazione intrinseca tra la percezione del sé e quella degli altri.
Ad esempio, uno studio di Mitchell e colleghi (2006), attraverso l’utilizzo della Risonanza magnetica funzionale (fMRI), ha ipotizzato che quando pensiamo a noi stessi o a una persona a noi simile (ai soggetti partecipanti veniva fatta leggere una descrizione di un soggetto che condivideva le loro idee politiche) si attivi una regione cerebrale simile, ovvero una subregione ventrale della corteccia prefrontale mediale, invece quando pensiamo ad una persona a noi dissimile se ne attivi un’altra, ovvero una porzione più dorsale della MPFC. Dunque, a volte possiamo utilizzare noi stessi come un modo per capire qualcuno che non conosciamo bene, ma che sembra essere correlato a noi in qualche modo.
Inferire lo stato mentale altrui comprende anche la capacità di avvicinarsi alle sue emozioni. L’empatia è proprio la capacità di comprendere e rispondere alle esperienze emotive trasmesse dagli altri. Per fare ciò dobbiamo assumere la prospettiva dell’altro: per capirlo dobbiamo ricreare in noi il suo stato emotivo.
“Dato il ruolo dei neuroni-specchio (Rizzolatti & Craighero, 2004) nell’imitazione e nel riconoscimento dell’azione, è stato ipotizzato che i neuroni-specchio possano essere un meccanismo fisiologico cruciale che ci permette di avere la stessa rappresentazione dello stato interno di un’altra persona all’interno del nostro corpo (simulazione incarnata)” (op. cit., p. 600). Ciò avviene grazie ad una connessione tra il sistema dei neuroni-specchio e il sistema limbico (sistema di elaborazione emotiva), collegati attraverso l’insula. Questa struttura si attiva non solo quando si prova disgusto ma anche quando si osserva la medesima emozione negli altri (Wicker et al., 2003).
Uno studio di Singer e colleghi (2004) ha rilevato che l’insula e il cingolato anteriore si attivino quando si prova dolore fisico (veniva erogata una corrente di bassa intensità con degli elettrodi posti sulla mano) su sé stessi e quando lo si percepisce negli altri. Inoltre, in chi aveva ottenuto, attraverso un questionario, più alti punteggi di empatia si registrava una maggiore attivazione dell’insula e della corteccia cingolata quando questi percepiva il dolore subìto dagli altri.
La giunzione temporo-parietale destra – rTPJ – è una regione associata al meccanismo che permette di fare inferenze sugli stati mentali degli altri. Per verificare ciò, Saxe e colleghi (2005) hanno utilizzato un metodo basato sul Compito delle False Credenze di Sally-Anne (Perner e Wimmer, 1983): ai partecipanti vengono mostrate diverse sequenze nelle quali due bambine stanno giocando. Nella prima sequenza, Sally lascia una palla dentro una cesta e si reca in un’altra stanza. Approfittando dell’assenza di Sally, nella successiva sequenza, Anne prende la palla e la mette dentro una scatola. Infine, Sally rientra in stanza e si chiede al soggetto: “Dove cercherà la palla Sally?”.
Per rispondere correttamente, i soggetti non devono considerare le proprie conoscenze sulla posizione della palla e adottare il punto di vista di Sally, capendo che i due soggetti possono avere prospettive diverse sul mondo.
La giunzione temporo-parietale di destra aumentava la sua attività nella condizione in cui i soggetti adottavano la Teoria della Mente, ovvero ragionavano sugli stati mentali altrui.
Infine, una regione cerebrale necessaria a comprendere il contesto sociale e modulare di conseguenza il proprio comportamento è la corteccia orbitofrontale (OFC). Uno studio (Stone et al., 1998) ha sviluppato un compito sulle gaffes sociali presentato a pazienti con danni orbitofrontale, a pazienti con danni alla corteccia prefrontale laterale e a partecipanti sani di controllo. Il compito prevedeva che venisse presentato uno scenario in cui una donna donava, come regalo di nozze, un vaso ad un’amica. Quest’ultima molto tempo dopo ospitava a casa propria l’amica, che accidentalmente rompeva lo stesso vaso che aveva regalato.
Dimenticando chi le avesse regalato il vaso, l’amica la rassicurava dicendole che non le era mai piaciuto come regalo. I pazienti con danni orbitofrontali capivano che l’amica si sentiva in colpa per aver rotto il vaso ma non capivano che l’altra donna, con quel commento, volesse in realtà rassicurare l’amica; al contrario, pensavano che la donna volesse ferire i sentimenti dell’amica attaccando il regalo ricevuto. I pazienti con danni orbitofrontali non riuscivano a prendere in considerazione il contesto quando ragionavano sugli errori sociali. In un altro studio (Beer et al., 2003) sono stati coinvolti pazienti con danni orbitofrontali, pazienti con danno prefrontale laterale e controlli. Nonostante tutti fossero consapevoli che non era opportuno discutere informazioni emotive e personali con sconosciuti, i pazienti con danni orbitofrontali si dimostrarono inconsapevoli del fatto che il loro reale comportamento sociale violasse queste norme sociali rispetto alle conversazioni con un estraneo. I danni orbitofrontali, concludono gli autori, non permettono di provare imbarazzo in situazioni reali e sociali e, di conseguenza, di modificare il proprio comportamento.
Riferimenti bibliografici
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Spezio, M. L., Huang, P. S., Castelli, F. & Adolphs, R. (2007). Amygdala damage impairs eye contact during conversation with real people. Journal of Neuroscience, 27 (15), 3994-3997.
Stone, V. E., Baron-Cohen, S. & Knight, R. (1998). Frontal lobe contributions to Theory of Mind. Journal of Cognitive Nuroscience, 10 (5), 640-656.
Wicker, B., Keysers, C., Plailly, J., Royet, J. P., Gallese, V. & Rizzolatti, G. (2003). Both of us disgusted in my Insula: The common neural basis of seeing and feeling disgust. Neuron, 40 (3), 655-664.
Wimmer, H., Perner, J. (1983). Beliefs about beliefs: Representation and constraining function of wrong beliefs in young children’s understanding of deception. Cognition, 13 (1), 103-128.