Come parliamo a noi stessi conta: il caso di N.
Come parliamo a noi stessi? siamo soliti rivolgerti parole di cura, di comprensione, o di severa critica?
Quando N. viene in studio, è in preda al panico. Non si sente capace di svolgere alcun compito, anche quelli quotidiani. Lo stesso cucinare, riordinare casa, diventano per lei fonte di un fortissimo stato di ansia. Visti i consistenti anni di psicoterapia pregressa, N. avanza la richiesta di iniziare un percorso basato sulle pratiche di mindfulness.
Lavoriamo quindi sulla capacità di stare nel presente, di osservare, descrivere e partecipare. Dopo alcune settimane e un’esercitazione quotidiana e costante, N. afferma di sentirsi soddisfatta, più capace. Mi racconta di riuscire a vedere i colori più limpidi, i pensieri più chiari, di sentirsi forte di strategie che le permettono di tranquillizzarsi più velocemente.
<<Talvolta>> – mi dice- << torna ancora quella bambina che non sa fare nulla, che ha paura. Ma le dico di andar via, e torno a fare le mie cose>>. La bambina di cui parla N. è lei all’età di 8 anni, iper-svalutata dalle figure genitoriali, che ha tanta difficoltà a seguire le lezioni velocemente come le sue compagne, a fare amicizia, ed è molto spaventata dalle mura alte e giganti della scuola.
N. nelle precedenti terapie ha lavorato molto sulle cause delle insicurezze di quella bambina: sa elencarmi alla perfezione gli episodi di forte invalidazione che hanno legittimato le sue difficoltà. Eppure, quella bambina sembra essere ancora molto presente e minacciosa.
La identifichiamo insieme come la parte del sé più fragile, e cominciamo ad ascoltarla, a parlarle. <<Ti odio, per colpa tua io ora sono così, insicura e spaventata. Non potevi essere come le tue compagne? Non potevi cavartela meglio?>>. N. incarna alla perfezione l’invalidazione genitoriale.
<<Come avresti voluto che gli adulti intorno a te ti aiutassero difronte alle tue evidenti difficoltà?>> le chiedo. Dopo un po’ di riflessione, N. mi risponde <<Avrei voluto mi stessero vicino e mi dicessero che insieme si poteva affrontare tutto>>.
<<E perché, ancora oggi, parli a questa bambina, ora che sei tu il suo unico adulto, come i tuoi genitori hanno fatto con te?>>. Proviamo a rivolgerle parole diverse, ad essere curiose di ciò che ha da dire e che potrebbe provare: proviamo a rivolgerle parole d’amore.
Dopo alcune settimane di lavoro, N. si presenta in seduta gioiosa e fiera di sé. <<L’ansia>> – mi dice – <<me la vivo come una vecchia amica. Si siede accanto a me, resta per un po’, in silenzio, e poi va via>>.
Qualche giorno fa ha poi rivisto quella bambina, sembra le abbia chiesto scusa. <<Non preoccuparti, insieme ce la facciamo>>, le ha risposto.
Come parliamo a noi stessi conta.