Cosa stai pensando? Una domanda più difficile di quanto sembri
William James lo chiamava “flusso di coscienza”. Virginia Woolf e James Joyce ci hanno fatto vivere, con la lettura dello stream of consciousness dei loro personaggi, la straordinaria esperienza di seguire il pensiero di un’altra persona, con la velocità caleidoscopica di movimenti, battute di arresto, immagini, inserzioni di ricordi, attenzione agli stimoli sensoriali, il tutto in un alternarsi ricchissimo e cangiante. Ma se ci fermiamo a pensare a come pensiamo e tentiamo di descriverlo, anche solo a noi stessi, le cose diventano complicate. Una decina di giorni fa ho letto un bell’articolo di Joshua Rothman su The New Yorker. Il tema era complicatissimo e allo stesso tempo quotidiano, continuo e ricorrente nella nostra esperienza di veglia: cosa pensiamo e, soprattutto, in che modo pensiamo? Per immagini, per parole, con una voce interna? In che modo descrivereste il vostro modo di pensare? Rothman cita Temple Grandin, geniale autrice con autismo, diventata famosa nel 1995 con il libro “Thinking in Pictures”, che è stata capace di comunicare potentemente il valore della neurodiversità e che ha pubblicato “Visual Thinking” nel 2022. Libro che vale assolutamente la pena di leggere, per esplorare la nostra mente e quella degli altri. Temple Grandin, in breve, ipotizza un continuum di stili di pensiero: ad un’estremità ci sono i soggetti che pensano in modo “verbale”, cioè utilizzano la modalità lineare e rappresentativa propria del linguaggio, parlano mentalmente con sé stessi; all’altra estremità del continuum ci sono i “visualizzatori”, cioè coloro che pensano per immagini mentali precise, come se ragionassero attraverso l’utilizzo di vere e proprie fotografie mentali di oggetti. Tra questi due estremi, secondo la Grandin, esiste un gruppo di pensatori che sarebbero in grado di combinare il linguaggio e le immagini, il cui pensiero si muove per schemi visivi e astrazioni. Temple Grandin, per spiegare meglio il concetto, propone di immaginare il campanile di una chiesa. Le persone che pensano in modo verbale immaginano vagamente due linee in una V rovesciata. I visualizzatori di oggetti, all’opposto, descrivono campanili specifici, che hanno potuto osservare accanto a chiese reali, che richiamano facilmente alla mente. I visualizzatori spaziali, cioè il gruppo che si trova a metà del continuum, raffigurano una sorta di campanile perfetto, ma astratto: in sintesi, sembrano costruire nella mente un’immagine che mettono insieme, frutto dell’astrazione dei campanili reali delle chiese che hanno visto. Questo gruppo ha la capacità di riconoscere gli schemi ricorrenti tra i campanili delle chiese e le persone che pensano con questa modalità richiamano nella mente lo schema, piuttosto che un suo esempio particolare. L’argomento è vasto, apre le porte all’interesse per la neurodiversità e per le infinite vie della nostra mente. Fermiamoci un attimo, ora. A pensare a come pensiamo noi e a come pensano le persone che ci sono vicine. È un bel baratro in cui spaziare: da provare a descrivere a noi stessi.