Depressione e alimentazione

Di Angela Atzori

La depressione è il disturbo psicologico più presente al mondo (Edwards, 2010). Secondo i dati del sistema di sorveglianza PASSI, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, nel marzo-aprile 2020 c’è stato un incremento dei sintomi depressivi con una percentuale del 7,1% rispetto allo 6,1% del periodo 2018-2019. Lo studio condotto nel 2020 dall’ISS ha evidenziato un incremento dei sintomi a causa della pandemia Covid-19 e dei periodi di lockdown, con un peggioramento, rispetto agli anni precedenti, nella fascia di età dei giovani i 18 e i 34 anni.

Il disturbo depressivo maggiore si presenta con sofferenza psicologica, tono dell’umore abbastanza basso per un periodo abbastanza lungo e implica, per la persona, fatica nella cura del proprio corpo, isolamento con conseguente riduzione o peggioramento delle relazioni sociali, e una compromissione nelle aree lavoro o scuola.

Secondo il DSM-5 i sintomi più frequenti sono tristezza, senso di vuoto, marcata diminuzione dell’interesse o piacere per tutte o quasi tutte le attività, cambiamento nell’appetito con forte perdita o aumento di peso, disturbi del sonno, faticabilità o mancanza di energia, agitazione o rallentamento psicomotorio, sentimenti di autosvalutazione o di colpa eccessivi, difficoltà di concentrazione, pensieri di morte e di suicidio. In genere una persona depressa presenta almeno cinque dei sintomi appena riportati per un periodo di due settimane o almeno uno dei primi due, causando una significativa interferenza nella capacità di svolgere le attività quotidiane.

Secondo i dati Passi 2008-2011 state individuate delle associazioni tra depressione e: difficoltà economiche, genere femminile, basso livello di istruzione, stato lavorativo, presenza di malattie croniche ed età anziana. Secondo il DSM-5, alcuni studi molecolari hanno ipotizzato che alla base della depressione vi siano varianti genetiche di fattori neurotrofici e delle citochine- proinfiammatorie. In merito a quest’ultimo punto alcune meta-analisi hanno descritto la depressione come uno stato pro-infiammatorio, tale da poter parlare di “mente infiammata” (Bottaccioli, Bottaccioli et al., 2021, p. 4)

Che impatto ha l’alimentazione su questo disturbo mentale? Esistono delle prove del suo ruolo nella depressione? Mangiare bene fa stare meglio?

Negli ultimi decenni diverse ricerche hanno esplorato il legame tra alimentazione e depressione cercando di dare una risposta a queste domande. Alcune si sono concentrate principalmente sul ruolo di specifici nutrienti, altre hanno focalizzato i loro studi su particolari modelli dietetici. Secondo uno studio condotto nel 2006 da Sánchez Villegas e colleghi, sembrerebbe che l’adesione a un modello dietetico mediterraneo assicurerebbe un’assunzione adeguata di frutta, noci, verdura, cereali, legumi o pesce, fonti di importanti nutrienti legati alla prevenzione della depressione. Anche lo studio di coorte condotto sempre da Sánchez Villegas (2009) confermerebbe un potenziale ruolo protettivo della dieta mediterranea rispetto alla prevenzione dei disturbi depressivi. I risultati della ricerca condotta da Brunner, Ferries e altri (2009) suggerirebbero che il consumo di frutta, verdura e pesce sarebbe da preferire a una dieta ricca di carni, cioccolatini, dolci, cibi fritti, alimenti con farine raffinate e latticini ad alto contenuto di grassi quale fattore di protezione contro l’insorgenza di sintomi depressivi. In particolare per ciò che concerne la carne, secondo la meta- analisi di Nucci e colleghi del 2017 (citati in Bottaccioli, Bottaccioli et alt., 2021) l’assunzione di carni rosse e di carni processate sarebbero fortemente associate col rischio di depressione. Secondo la meta-analisi condotta da Firth e colleghi (2019) si conferma che vi siano dei potenziali benefici dell’alimentazione sui sintomi depressivi, benché gli studi in questione abbiano riscontrato questi effetti su popolazioni generali, subcliniche e non patologiche. La meta-analisi condotta da Lassale, Batty e colleghi (2019) mostra che esistono prove osservabili che suggeriscono che sia l’adesione a una dieta sana (in particolare a una dieta mediterranea tradizionale), sia l’evitamento di una dieta pro-infiammatoria, sono associati a un ridotto rischio di sintomi depressivi o depressione clinica. Negli ultimi 10 anni sono numerosi invece gli studi che si sono concentrati in particolare sugli effetti antidepressivi (oltre a quelli neuroprotettivi) di una sostanza naturale: l’esperidina. L’esperidina è presente nel thè, nell’olio di oliva e soprattutto negli agrumi, e si è dimostrata utile come antiossidante, antinfiammatorio e neuroprotettivo. Secondo lo studio cinese di Xinyu Li e colleghi (2023) l’esperidina allevia in modo efficace la depressione indipendentemente dalle sue cause sottostanti. Gli effetti antidepressivi dell’esperidina sarebbero mediati da quei recettori implicati nel disturbo, ossia i kappa-oppioidi e specifici recettori serotoninergici nell’ippocampo.

La ricerca condotta da Kosari Nasab, M., e colleghi (2018) ha messo in evidenza che il trattamento con esperidina è stato efficace nel ridurre significativamente i sintomi correlati alla depressione nei topolini con una lieve lesione cerebrale. L’effetto antidepressivo era mediato in parte dalla diminuzione della neuroinfiammazione e del danno ossidativo.

Benché le ricerche che hanno indagato il ruolo dell’esperidina nel disturbo depressivo siano state condotte principalmente in laboratorio sui topi (e dunque sarebbe necessario estendere la ricerca sperimentale all’uomo) hanno prodotto dei risultati che suggeriscono che l’assunzione dietetica o l’integrazione di questa sostanza naturale abbia influenza sui sintomi correlati alla depressione. In conclusione, negli ultimi decenni sono numerose le ricerche che hanno esplorato il legame tra depressione e alimentazione e nonostante siano necessari ulteriori studi clinici più approfonditi, ci sono evidenze scientifiche crescenti che mostrano gli effetti dell’alimentazione sulla salute mentale. Secondo Bottaccioli e colleghi (2021) è oramai chiaro che la dieta può avere effetti positivi (o negativi) sui disturbi mentali e sui sintomi ad essi associati.

Seguendo il suggerimento di alcuni ricercatori (Brunner, Ferries et al. 2009), sarebbe opportuno considerare determinati modelli dietetici o alcuni specifici nutrienti come dei potenziali agenti adiuvanti per la prevenzione e il miglioramento dei sintomi depressivi e dunque sarebbe utile associarli al trattamento di questo disturbo da parte dei professionisti della salute mentale.

Bibliografia 

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Sitografia 

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