ENGAGEMENT DEI CAREGIVER
In un articolo precedente, abbiamo sottolineato l’importanza di promuovere il livello di engagement del malato nel suo percorso di cura. Tuttavia, focalizzarsi solo sul malato è troppo riduttivo in quanto egli non è solo nel farsi carico la gestione della sua salute. Per questo è molto importante promuovere anche l’engagement dei caregiver informali (tutte quelle persone non retribuite che, in veste non professionale, si prendono cura di un familiare/amico malato).
L’engagement dei caregiver nel processo di cura può essere definito come la capacità dei caregiver di cercare attivamente informazioni legate alla salute e alla cura del loro assistito e di partecipare nella condivisione delle scelte terapeutiche.
Essere in grado di assumere proattivamente il compito di caregiving richiede alcune competenze.
- In primo luogo, il caregiver deve elaborare emotivamente il cambiamento in quanto la malattia attiva anche in lui emozioni negative, come ansia e preoccupazione per il futuro.
- Successivamente, deve essere in grado di riconoscere i bisogni di cura e di assistenza del proprio caro, imparando addirittura ad anticiparli.
- Inoltre, deve trovare un bilanciamento tra i propri bisogni e quelli del proprio caro. Spesso, infatti, i caregiver riportano frustrazione per non essere riusciti ad organizzare adeguatamente le diverse attività della loro vita.
- Infine, il percorso di engagement porta il caregiver a un processo di revisione identitario. Questo nuovo ruolo, infatti, deve essere integrato con gli altri aspetti del sé.
Il processo di caregiving engagement si articola in 4 fasi:
1. NEGAZIONE E FUGA: nel momento della diagnosi o nella prima fase della malattia, il caregiver mette in atto meccanismi difensivi come evitamento, negazione e rabbia.
Non riesce a comprendere e anticipare i bisogni di assistenza e di cura del proprio caro sia per il forte carico emotivo sia per la disinformazione. Per superare questa posizione è necessario fornire lui informazioni circa le condizioni cliniche e le necessità dell’assistito, ma allo stesso tempo anche strumenti per condividere le proprie emozioni con altre persone che vivono la stessa situazione.
2. IPERATTIVAZIONE: dopo aver compreso e accettato lo stato di salute del proprio caro, il caregiver si ritrova in uno stato di iperattivazione che lo porta a essere attento nel monitorare ogni sintomo clinico.
C’è un’eccessiva assistenza sul piano pratico, ma dal punto di vista emotivo non riesce a empatizzare con le difficoltà psicologiche del suo caro e per le decisioni preferisce ancora ad appoggiarsi ai clinici. In questa fase, è molto importante fornire loro strumenti che li aiutino organizzare meglio le routine assistenziali.
3. ABNEGAZIONE E AFFOGAMENTO: in questa fase il caregiver riesce a gestire le attività assistenziali, ma non si sente ancora completamente efficace nel far fronte alle necessità del suo caro quando il contesto quotidiano cambia.
Vive il suo ruolo in maniera totalizzante ed è incapace di integrarlo in modo equilibrato con le altre esigenze della sua vita. In questo momento, ha bisogno di confrontare le sue esperienze con altre persone che hanno vissuto la stessa situazione.
4. BILANCIAMENTO ED EQUILIBRIO: ha acquisito piena autonomia nel rispondere ai bisogni assistenziali e ha consolidato una buona relazione con l’equipe di cura. Inoltre, da un punto di vista identitaria ha trovato un maggiore equilibrio e integrazione tra i suoi diversi ruoli.
Sono solitamente aperti e disponibili a partecipare a iniziative di sensibilizzazione e di educazione.
Da questo articolo si evince l’importanza di promuovere l’engagement dei caregiver, in quanto anche loro giocano un ruolo centrale nel processo di assistenza di persone affette da patologie croniche.
BIBLIOGRAFIA
Graffigna, G., & Barello, S. (2017). Engagement: un nuovo modello di partecipazione in sanità. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore