ESSERE ATLETI AL TEMPO DEL COVID. Noi siamo l’esempio

di Luca De Rose

essere atleti al tempo del covid

Colgo sempre volentieri l’occasione per parlare di psicologia e naturalmente di sport. Dopo queste lunghe ed interminabili giornate, dopo che la notte sembrava più scura, ed il sole non sorgere più, ora è giusto ripartire e rialzarsi, ed è giusto che sia proprio lo sport ad iniziare. Si perché vedete lo sport è l’essenza stessa del movimento, ed il movimento è la vita, il cambiamento costante che ti permette di adattarti e di continuare. Di questo lo sport ne ha fatto un arte, ed il mondo dello sport e tutti gli addetti ai lavori, sanno bene che per quanto questo mondo possa essere maltrattato e dimenticato, costituirà sempre un fondamentale punto di formazione e crescita per tutti, non solo per i più piccoli.

Anche noi però in questo ultimo anno ci siamo dovuti fermare, ci siamo dovuti “arrendere” (temporaneamente è ovvio) ad un nemico più forte di noi. Diciamo che abbiamo ripreso fiato, che tra l’altro nello sport è consentito dal regolamento, per essere pronti a rialzarci e ripartire.

Il covid 19 è però un avversario tosto, ha spazzato via tanti sogni, tanti progetti, tante vite. Ricordandoci che nessuno e niente può colpire duro come fa la vita. Ma nonostante questo nelle arti marziali abbiamo un detto : “che magnifica occasione andare al tappeto cosi che il mio avversario possa vedere con quanta forza mi rialzo”.

Come psicologo dello sport e psicoterapeuta alla fine della battaglia io traccio il bilancio, anche se so bene che la battaglia non è mai finita, ma ormai ci siamo abituati ad affrontare questo avversario, ed ogni giorno che passa diventiamo sempre più forti di lui, più veloci, conosciamo le sue mosse, per questo io so in cuor mio che alla fine vinceremo noi, perché abbiamo fede, coraggio ed entusiasmo.

Bisogna innanzitutto dire che come sempre dietro l’atleta c’è la persona, in questo caso parliamo di giovani, ragazze e ragazzi di 19-20-25 massimo 30 anni, questo perché la carriera di atleta professionista, con rare eccezioni, non consente di andare molto oltre con l’età, per l’usura sia fisica che mentale. Questi ragazzi avevano fondamentalmente 3 cose nella loro vita, che riempivano le loro giornate, la scuola o l’università, gli amici quindi il sociale e lo sport. La vita da atleta non permette molti vizi o molte distrazioni, ne tanta socialità. Diciamo che l’aspetto sociale e commisurato al grado di importanza dell’ atleta. Più l’atleta diventa forte e importante, meno tempo ha da dedicare alla vita sociale, i suoi ritmi cambiano e i sacrifici aumentano. Detto questo la pandemia ha letteralmente stravolto la vita delle atlete, sia quelle di interesse nazionale e olimpioniche sia quella di un agonista che si allena 3 o 4 volte a settimana nel circolo del suo quartiere. Questi ragazzi e ragazze si sono viste portare via di fatto la loro vita, la loro routine, le loro sicurezze, la loro identificazione. Abbiamo avuto quindi un serio problema di ruolo dell’ atleta. Spesso infatti ciò che fai ti identifica, ti da un ruolo, se togli ad una persona il suo lavoro e se nel nostro caso quel lavoro abbraccia la maggior parte della giornata e della vita, come puoi chiedere alle persone di mantenere la calma, sapendo che hanno perso un importante punto di riferimento?

Anche per noi tecnici, per noi coach, la partita non è stata facile.

Ci siamo trovati davanti un altro problema, la programmazione. Abbiamo dovuto imparare a programmare sull’ impensabile, che è molto difficile. Abbiamo dovuto imparare ad aspettarci, ciò che non potrà mai accadere. Prima di Marzo 2020 nessuno avrebbe mai potuto immaginare una cosa del genere, fino ad allora molti di noi una notizia del genere l’avevano letta solo nelle clausole assicurative o dei contratti degli sponsor, dove trovi scritto in caso di forza maggiore o di calamità naturale, di pandemia o morte…beh è esattamente quello che è successo. Mi servirò di una teoria di psicologia clinica per spiegarmi meglio.

Se ti chiedessi di immaginare una strada asfaltata, con ai lati un bosco e alberi e poi ti chiedessi di inserirci una macchina, tu dove la inseriresti ? Non certo nel bosco, ma sulla strada. Ciò avviene perché la nostra mente è appunto programmata e predisposta a lavorare in un certo modo, cambiare questa programmazione non è facile. Ma è quello che è successo.

Cambiare la mente dell’ atleta ed aiutare i tecnici a vedere la soluzione anche quando sembra non esserci è parte del mio lavoro, ma devo dirvi che è stato molto difficile anche per me, ma alla fine è bastato guardarci negli occhi e capire che quando le difficoltà aumentano, quando è richiesto un sacrificio al di la del pensabile e del possibile, noi come una famiglia abbiamo fatto quadrato.

Voglio essere ben chiaro, non lo abbiamo fatto per le istituzioni, ne tanto meno per la poltrona di qualche carica dirigenziale del CONI, lo abbiamo fatto perché potevamo, perché dovevamo e perché volevamo. Lo abbiamo fatto per le atlete ed i tecnici che ci stavano accanto, lo abbiamo fatto per quelli atleti che ci siamo cresciuti sin da piccoli e dei quali ci sentiamo responsabili, lo abbiamo fatto perché quando le cose non vanno, chi ha la possibilità di agire ha il dovere morale di agire.

Non è forse (anche) questo essere atleta, dare l’esempio, essere un simbolo per i giovani, incarnare il concetto di lotta e sacrificio per perseguire un obiettivo e dimostrare che nonostante tutto e tutti…noi siamo più forti.

Ho quindi imposto a tutte le atlete e gli atleti un meccanismo di sfida, ogni atleta  ha dentro di se un meccanismo quasi automatico di competitività, che poi rimane anche per chi è stato atleta a certi livelli. Se sai trovare i tasti giusti per innescare questo meccanismo, puoi chiedere all’ atleta una scelta, TU CHI VUOI ESSERE? Vuoi essere l’esempio ? vuoi fare la differenza? O vuoi essere come gli altri ? arrenderti alla prima difficoltà ? Lo abbiamo sempre detto, abbiamo sempre detto che noi atleti siamo l’esempio, siamo oltre rispetto ad altri, siamo un livello superiore, adesso è il momento di dimostrarlo, adesso è l’opportunità che stavamo aspettando per mostrare al mondo come siamo in grado di reagire. Oltre a questo abbiamo lavorato con sedute on –line di mindfulness e training autogeno, poi in base a quello che vi dicevo prima, abbiamo fatto parte della campagna #distantimauniti, per dare appunto l’esempio, in particolare le atlete e gli atleti che fanno parte dei gruppi sportivi militari e delle fiamme oro, che ho il privilegio di seguire nella preparazione mentale. Questo ci ha tenuto insieme ed “allenati” anche quando il governo Conte, nella seconda quindicina della chiusura totale ha fermato l’allenamento degli atleti professionisti e di interesse nazionale, fermando di fatto il nostro lavoro e tutto il settore Italia Team.

Abbiamo avuto difficoltà soprattutto con gli atleti e atlete che non hanno potuto “portare” il loro sport all’interno delle mura domestiche, sto pensando ai nuotatori, ai tennisti, ma in generale al 90% dei ragazzi e ragazze. Inoltre abbiamo registrato un boom di sindrome da over training.

Una delle problematiche principali per atleti professionisti  è:  Mi sto allenando ? e poi ancora… Quanto mi devo allenare per diventare competitivo?

Di fatto molte di queste ragazze e ragazzi si allenano 5 o 6 ore al giorno anche 10 quando sono sotto preparazione olimpica. Questo fa si che siano “macchine” abituate a girare ad una certa velocità, cavalli abituati a correre liberi, per intenderci. Se dalla sera alla mattina li prendi e li fermi ai box, senza neppure fargli fare un programma di scarico atletico e poi gli chiedi di correre sul tapis roulant o cyclette (per quelli che la hanno a casa) la prima paura che scatta è: “ Oh mio Dio uscirò fuori forma…e poi le gare?” Quindi molti si allenavano più del dovuto, andando in over training, senza dircelo a volte. Poi ci sono stati molti casi di disturbi alimentari dovuti all’ improvviso cambio di calorie ingerite e consumate, abbiamo avuto anche casi di ansia generalizzata e qualche caso di depressione, che fortunatamente si sono risolti e si è ricostituito un equilibrio emotivo e psichico dell’ atleta.

Tuttavia sono contento di come siamo riusciti a far fronte anche a questa difficoltà. La psicologia dello sport è molto pratica ed ha al suo servizio una serie di tecniche per allenare la mente. Il cervello è un “muscolo” e va tenuto in allenamento cosi come noi facciamo quotidianamente andando in palestra o prendendoci cura del nostro fisico e della nostra alimentazione, dobbiamo fare lo stesso con la nostra mente. Più di tutti gli atleti.

Tra pochi giorni quindi, contro ogni pronostico e dopo immensi sacrifici, siamo attesi a Tokyo per le Olimpiadi 2021, è giusto che in questa, come in altre occasioni la vetrina sia degli atleti, e quindi vi invito a seguirci sui canali del coni social e dell’ Italia Team e naturalmente a farci un grande in bocca al lupo. Vi saluto con un pensiero, un po’ sorridente, un po’ azzardato, ma di fatto solo chi osa alla fine vince.

Mi ha sempre fatto sorridere, la solita domanda che mi viene fatta un po’ con disprezzo e un po’ con sarcasmo (spesso in dialetto napoletano) essendo napoletano (per fortuna). MA CHERRE’ STA PSICOLOGIA RO SPORT ?

Ahimè spesso anche da “colleghi” che guardar oltre il palmo del loro naso non sanno, ma anche da profani o da non addetti ai lavori. Quando ho cominciato questo lavoro, quello dello psicologo e psicoterapeuta, ho dovuto combattere con le mille difficoltà dei giovani liberi professionisti, che “osano” affacciarsi nel mondo e trovare il loro posto. Io però come sempre avevo una difficoltà in più, avevo una zavorra in più, avevo scelto un settore che all’ epoca in Italia era poco, se non per niente conosciuto, una strada poco battuta. Ma è proprio chi, con coraggio nella vita ha scelto il sentiero meno battuto, che dopo ha potuto scrivere la storia.

Ed eccomi qua, a molti anni dal primo passo mosso in università, docente di psicologia dello sport presso l’università Parthenope di Napoli, Psicologo e Psicoterapeuta dell’ ITALIA TEAM, la squadra olimpica in partenza per Tokyo 2021, per le OLIMPIADI, l’evento sportivo più importante al mondo. Un giorno mi dissero: “esistono solo le olimpiadi, tutte le altre gare e tornei sono giochini da campetto di scuola”.

Beh far parte dello staff medico di nazionale Italiana è sicuramente un grande orgoglio per me, chissà cosa direbbero i miei ex colleghi della scuola di specializzazione in psicoterapia che a suo tempo, ridevano di me, quando sentivano che volevo fare lo psicologo dello sport. Quando ci ripenso a volte, mi viene in mente l’immagine di uno spaccapietre, che martella la sua roccia 100 volte e 100 volte ancora, senza notare la minima crepa, fino a che ad un tratto, dopo cento e cento colpi ancora la pietra si spacca, ed io so in cuor mio che a farla rompere non è stato l’ultimo colpo, ma tutti quelli che ci sono stati prima. Noi possiamo fare tutto e se non possiamo alla fine troveremo comunque una strada. È questo che mi ha insegnato lo sport ed è questo che ogni giorno vedo negli occhi delle mie atlete e dei miei atleti.

E ALLORA…FORZA ITALIA TEAM PRENDIAMOCI L’ORO DI TOKYO