I disegni in età evolutiva sono davvero solo scarabocchi?

di Giada Mazzanti

I disegni in età evolutiva sono davvero solo scarabocchi?

A chi non è mai capitato, ad esempio durante una telefonata, di prendere una penna e scarabocchiare qualcosa o andare in una galleria d’arte per emozionarci davanti alle opere. Ecco, questo è un piccolo esempio del grande potere del disegno. Ha un potere concreto (richiamo della realtà, attivazione corporea e intellettiva) ma anche evocativo (l’opera evoca in chi guarda e chi dipinge emozioni). Pensiamo però a quando eravamo bambini e a tutti i fogli, i colori e al vario materiale usato per esprimerci mediante il disegno. Perché lo facevamo e perché continuano a farlo i bambini di qualsiasi generazione?

Partiamo con il dire che il disegno e la pittura siano attività spontanee innate, esattamente come lo sono, per esempio, il parlare e il camminare. Le capacità di rappresentazione, per intenderci la bravura nel disegnare, dipendono non solo dalla maturazione motoria e intellettiva ma anche dall’affinamento dovuto dall’esercizio. Non bisogna però dimenticarsi del fatto che l’atto di imprimere un segno grafico o un’impronta colorata su un foglio bianco rendono il bambino appagato.

Essendo un’abilità spontanea spesso non si considera che sia in realtà un’azione estremamente complessa; affinché si attui servono la coordinazione di diverse competenze: motorie (muovere la mano e il polso in modo funzionale), percettive (cogliere le linee e i tratti di un dato oggetto) e cognitive (adattare le linee in modo che siano in relazione tra loro e con le giuste dimensioni) che raggiungono la maturazione attorno ai cinque o sei anni. Servono anche l’immaginazione e la capacità di collegarsi al proprio mondo emotivo. Pertanto, quando un bambino disegna esprime se stesso, le sue paure, comunica con gli altri e permette di comprendere e controllare i propri stati interni in quanto vengono spostati al di fuori di sé mettendo una distanza tale da poterli vedere e non subirli. Anche l’abilità immaginativa e di fantasia devono essere stimolate in modo adeguato: non si assimilano passivamente ma è necessaria una posizione attiva. Ma cosa si intende con l’essere attivi nello sviluppo dell’immaginazione? lo studio di Meringoff (Meringoff et al., 1981) mostra come l’ascoltare una storia radiofonica stimolasse maggiormente la creazione di disegni fantasiosi rispetto alla visione di un film o un libro illustrato. Questo avviene perché vedendo le immagini i bambini riportavano quello che avevano visto senza interpretare; non interpretando non avviene la propria elaborazione della narrazione, quindi adottare una posizione attiva indica il riuscire a interpretare gli stimoli esterni senza subire influenze.

Per riassumere possiamo dire che il disegno sia funzionale per la costruzione identitaria in quanto permette di sviluppare la capacità immaginativa, permette di rappresentare e gestire il mondo esterno (vedo il contesto e disegnandolo lo rielaboro facendolo mio), ha una funzione sociale che permette la comunicazione ma anche la gestione e la comprensione dei suoi affetti e/o problemi ma è anche la narrazione di se stessi. Possiamo definirlo come una forma di espressione innata ma anche come strumento che permette di capire, dare forma e rappresentare il proprio mondo.

Esistono due tipi di disegni, quello libero e su richiesta; presentano delle differenze, infatti quello libero è caratterizzato dalla spontaneità e permette l’emersione di aspetti nascosti paragonabili al materiale onirico e alle libere associazioni degli adulti.

Parlando dell’evoluzione della capacità grafica nel bambino si riscontra che avvenga tramite due meccanismi contraddittori: la ripetizione dello stesso tema e la variazione del tema; il primo è funzionale per il consolidamento del tema appreso e il secondo per esplorare e apprendere nuovi schemi. Inizialmente questa attività è un piacere dato sia dal movimento cinetico del corpo, sia dalla percezione visiva del tratto che si lascia. È verso l’anno che il bambino prende in mano il pennarello o la matita ma più che tracciare forme tenta di colpire il foglio mentre intorno ai 18/20 mesi iniziano i veri scarabocchi/tratti. Verso i 3 anni i bambini sono affascinati dalla scrittura e la imitano tracciando linee per tutta la lunghetta del foglio mentre dai 4 anni iniziano a copiare qualche lettera ma senza fine cominciativo; verso i 5 anni si raggiunge la maturazione di alcune abilità motorie e si percepiscono le parole come insieme unitario quindi le lettere assumono il significato di intere parole. Dai 6 anni la capacità di attenzione e di lessico aumenta ma lo scopo della rappresentazione grafica rimane quella di mostrare ciò che si sa delle cose e non quello che si vede quindi il disegno diventa una definizione dei suoi significati interni.

Dicevamo prima che il disegno infantile abbia delle relazioni con l’indagine sulla vita emotiva di chi disegna, infatti nel disegno, come nel gioco, il bambino riversa la sua realtà nel foglio, ciò gli permette di esternare gli elementi per lui più importanti potendo rielaborarli e consolidando i ricordi e le esperienze vissute. Per poter ricavare suggerimenti emotivi dai disegni si deve prestare attenzione a diversi aspetti del disegno come ad esempio, la posizione del foglio, la sequenza, la pressione, le dimensioni, i colori, i tratti le dimensioni, la sequenza di rappresentazione dei soggetti e altri aspetti.

Bibliografia

Anna Olivero Ferraris (2012). Il significato del disegno infantile; Bollati Boringhieri.

Guido Crocetti (2009). I disegni dei bambini; Armando editore

Meringoff L. et al. (1981). How shall you take your story whit or whitout pictures? Biennial meeting of the society for research on child development.