Il bullismo: cambiare cultura parte da noi
Nel secolo scorso, goliardia e bullismo erano parte, tollerata e a volte addirittura incoraggiata, di riti di iniziazione vari: alla vita scolastica, sociale o militare.
Il bullismo, come sappiamo oggi, rappresenta al contrario un serio rischio per la salute mentale dei bambini e porta a manifestazioni di ansia elevata, depressione e pensiero persecutorio. Alcuni di questi sintomi possono scomparire in modo naturale qualche tempo dopo il termine dei comportamenti di bullismo; ma, secondo numerose ricerche, molte vittime continuano a soffrire di un rischio maggiore di malattie mentali, con un’incidenza di sviluppo di sintomi psichiatrici da 20 a 30 volte superiore durante la vita adulta rispetto a persone che non hanno subito bullismo da piccoli.
Questi dati impressionanti evidenziano come il bullismo subito in età evolutiva provochi importanti modificazioni a livello sia psicologico sia fisico.
Recenti meta-analisi, come riportato da David Robson per la BBC, dimostrano che le campagne anti-bullismo non solo riducono la vittimizzazione, ma migliorano anche la salute mentale generale della popolazione degli studenti e, di conseguenza, degli adulti che presto diventeranno.
Secondo Louise Arseneault, psichiatra che studia da anni questa problematica, i bambini vittima di bullismo tendono a considerare le relazioni sociali come possibili minacce, a caricarle di significati e aspettative che in qualche modo modificano sia il loro comportamento sia il comportamento degli interlocutori verso di loro; e questo ha un effetto prolungato nella vita di relazione da adulti, sia sulla difficoltà a vivere con un partner a lungo termine sia sulla possibilità di instaurare nuove amicizie in età avanzata.
L’effetto non è solo psicologico; o meglio, l’effetto psicologico e quello di infiammazione fisica vanno di pari passo, potenziandosi a vicenda con aumento e correlazione di manifestazioni problematiche o francamente patologiche dal punto di vista della salute mentale.
La ricerca di Arseneault suggerisce che lo stress provocato dal bullismo può avere un impatto sul corpo per molti anni, anche diversi decenni dopo l’evento: uno studio longitudinale durato 50 anni ha dimostrato che il bullismo frequentemente subito tra i 7 e gli 11 anni era collegato a livelli di infiammazione notevolmente più elevati all’età di 45 anni.
Uno dei più interessanti e applicati programmi di prevenzione del bullismo, sviluppato dallo psicologo scandinavo Dan Olweus, si basa sull’idea che i singoli casi di bullismo sono spesso il prodotto di una cultura che tollera la vittimizzazione.
Oggi ogni adulto è chiamato a cambiare questa cultura: che sia genitore o insegnante o operatore sanitario, gli adulti devono agire nei luoghi – scuole, sport, tempo libero – in cui il bullismo si esprime e controllarli su base regolare, interrogando i bambini, osservando le interazioni, organizzando riunioni di classe o di squadra in cui i bambini vengono educati e informati sul bullismo.
Ma cosa può fare un genitore per contribuire a questa cultura dell’attenzione? Prendere sul serio le preoccupazioni del bambino, non suggerire affrettate risposte o comportamenti da adottare, ma ascoltare, ragionare con lui ad alta voce e coinvolgere altri adulti che possano vigilare.
E, soprattutto, farsi promotore attivo di una conversazione sull’argomento, anche se non ha nessun sospetto che la cosa possa riguardare il proprio bambino: se il genitore ne parla come di un fenomeno che può accadere a tutti e che non è colpa del bambino che lo subisce, l’argomento diventa affrontabile e risolvibile. Per una figlia, un figlio; o per un’amica o un amico loro in difficoltà.
Spesso molti problemi partono dal fatto che il bambino non ne può parlare: anche per il bullismo, affrontare il tema da parte di adulti motivati e attenti, è il modo migliore per autorizzare una discussione, un pensiero. E per permettere a una piccola vittima di venire allo scoperto, senza vergogna e con l’aspettativa che una soluzione possa esistere. Perché anche la speranza è alimentata dalla cultura circostante.
I programmi antibullismo stanno contribuendo a creare un ambiente scolastico più favorevole per i bambini e ci sono varie modalità di aiutare gli studenti vittime di comportamenti scorretti.
Ma l’obiettivo più importante è garantire che il messaggio anti-bullismo sia radicato nella cultura dell’istituzione: che non venga minimizzato, ignorato, rimandato.
Dalle ricerche più recenti emerge infatti che informare i bambini e tutti gli adulti coinvolti – ad esempio, nell’istituzione scuola – anche quelli che hanno meno interazione con i bambini rispetto agli insegnanti, dall’autista di scuolabus all’operatore di mensa, consente di ridurre in modo altamente significativo il numero di casi di bullismo.
L’attenzione al singolo caso, il coinvolgimento di tutti e una cultura che rifiuta in modo deciso, chiaro e senza compromessi la vittimizzazione dei bambini, consente rapidi e duraturi cambiamenti nell’atteggiamento generale della popolazione scolastica nei confronti del bullismo, inclusa una maggiore empatia per le vittime.
Affrontare e risolvere il problema del bullismo non dovrebbe interessare solo insegnanti, psicologi e genitori, con l’intento ovviamente prioritario di limitare o porre fine alla sofferenza immediata dei bambini; ma dovrebbero interessare anche il legislatore, perché incidono a lungo termine sulla salute della popolazione.
Gli adulti possono fungere da modello per aiutare a creare un ambiente in cui i bambini si sentano al sicuro e possano dare il meglio di sé: agire tempestivamente per mettere al sicuro il bambino vittima di bullismo e insegnare a tutti i bambini che certi comportamenti non sono mai accettabili, per nessun motivo, è il primo passo per un impatto duraturo sul benessere e sulla loro felicità da grandi.