Il corpo del docente 3.

Qualche nota introduttiva ad un’etica pedagogica condivisa con i corpi transgenerazionali e non solo umani.

Uno dei convegni che più mi hanno coinvolto, lasciando una traccia assai significativa per successive riflessioni è stato sicuramente “Il Corpo Naturale non esiste”, organizzato dalla mia Scuola di Arteterapia, circa una decina d’anni fa. Tra gli autori che grazie a quel convegno ho cominciato a conoscere, qui ne accennerò qualcuno.

Prima di tutto l’antropologo Francesco Remotti che con il suo bellissimo “Prima lezione di antropologia” fa capire con semplicità come il nostro corpo diventi, per l’appunto, proprio “il nostro corpo”, attraverso un complesso processo comunitario e per nulla spontaneo. E che per poter dire o pensare o comunque percepire il mio corpo come oggetto reale, non potrò mai fare a meno di linguaggi e culture.

Poi Barbara Rogoff, antropologa e psicologa nordamericana che fin dalle prime pagine del suo “La natura culturale dello sviluppo”, chiarisce con grande semplicità i rapporti tra natura e cultura.

Questo testo che dovrebbe essere sul comodino di ogni docente e di ogni terapeuta è organizzato come una sorta di rassegna sulle diversità nei processi di crescita e di formazione dei bambini nei più diversi contesti culturali del nostro pianeta. Vale a questo punto la pena di riportare direttamente qualche riga del libro della Rogoff:

”Gli esseri umani sono predisposti biologicamente a partecipare ad attività culturali e a imparare gli uni dagli altri. Grazie a strumenti quali il linguaggio e la scrittura, possiamo ricordare collettivamente eventi che non abbiamo vissuto in prima persona, partecipando in modo vicario all’esperienza degli altri, nel corso di molte generazioni.”


Alle spalle di tutto questo pensiero, non è difficile intravedere peraltro il contributo di uno scienziato fondamentale Lev Semënovic Vygotskij, padre della teoria storico culturale.

Quattro annotazioni, rispetto le parole della Rogoff e che in qualche modo caratterizzano anche le riflessioni attuali della nostra Scuola di Arteterapia “Poliscreativa”.

La prima è che quando parliamo di strumenti culturali occorre sottolineare che anche il nostro corpo, con i suoi ritmi, la sua consistenza e persino i suoi odori e sapori è sempre, a sua volta, linguaggio.

È sistema di segni, è forma di scrittura e pertanto veicolo fondamentale per la formazione e la crescita. Questo concetto, nel testo della studiosa statunitense, sia pure implicito, non è forse proclamato con la forza con la quale, oggi, è necessario farlo.

Il secondo punto è che, il nostro corpo e quella sua funzione e che chiamiamo “mente”, si forma grazie all’interazione con altri corpi, quelli dei caregiver soprattutto, ma non solo.

Corpi che portano in loro stessi l’esperienza di pregresse generazioni. Vuol dire che il nostro corpo-mente intrinsecamente è costituito dalla presenza dei nostri antenati e dalle loro storie complesse.

Il terzo punto è che, a nostro parere, ma non solo del nostro gruppo di ricerca, parlare degli Homo sapiens sapiens come forma biologica produttrice di cultura, sottintendendo che sia l’unica ad avere tale caratteristica, forse esprime una visione limitata.

Per meglio ragionare, una domanda sarebbe fondamentale.

Siamo certi che, se non altro molti altri mammiferi a spiccata tendenza sociale, non abbiano anche loro qualcosa che potrebbe rientrare nella nostra definizione di “cultura”? È provato ad esempio che nel linguaggio dei mammiferi marini esistano persino dei diversi “dialetti”.

Mica tutto è solo istinto geneticamente trasmesso. Quanti animali senza un adulto della loro specie che gli insegni ad esempio, adeguate tecniche di caccia, sarebbero in grado di sopravvivere?

E qui veniamo al quarto punto, visto che stiamo parlando di attività formative.

Occorre riflettere con maggiore attenzione sul ruolo che il corpo di altri esseri viventi, diversi dalla nostra specie, ha sicuramente avuto in passato e dovrebbero continuare ad avere nella formazione, nell’armonico sviluppo dei nostri bambini e persino di ognuno di noi. Pensiamo all’efficacissimo effetto pedagogico che, in un contesto contadino, aveva l’inevitabile assistere per un bambino all’accoppiamento tra animali. Come anche alla loro nascita e alla loro morte. A tutto l’immaginario che poteva e può attivare il vedere una pianta crescere giorno per giorno o il semplice gesto di toccare un albero secolare. Il concetto di “Natura Pedagogica” è infatti una delle nostre aree di ricerca. Alla prossima.