Il Disturbo da Depersonalizzazione/Derealizzazione

di Cinzia Saponara

Il Disturbo da Depersonalizzazione/Derealizzazione

Premessa

La descrizione del concetto di dissociazione può essere fatta risalire a Charcot (1889) e Janet (1887, 1889, 1893), ma per molti anni c’è stato uno scarso interesse per questo spettro di sintomi psicopatologici(1).

Nel DMS – 5 i Disturbi Dissociativi comprendono:

  • Disturbo Dissociativo dell’Identità (DID);
  • Amnesia Dissociativa, che ora comprende anche la Fuga Dissociativa;
  • Disturbo di Depersonalizzazione e Derealizzazione (DDD);
  • Altre forme di Disturbo Dissociativo Specifico;
  • Disturbo Dissociativo Non Specifico.

Nel seguente articolo mi occuperò nello specifico del Disturbo da Depersonalizzazione/Derealizzazione (DDD): caratterizzato, il primo, dall’esperienza persistente o ricorrente di sentirsi distaccato o di sentirsi un osservatore esterno dei propri processi mentali o del proprio corpo; il secondo, da quelle esperienze di irrealtà o di distacco rispetto all’ambiente, persone o oggetti vissuti come irreali o onirici. I sintomi dissociativi di distacco rimandano tutti all’esperienza di sentirsi alienati dalle proprie emozioni, dal proprio corpo e dal senso usuale della propria identità (Liotti e Farina, 2011).

Studi epidemiologici hanno evidenziato che esperienze transitorie di depersonalizzazione sono comuni nella popolazione generale, con un tasso di prevalenza superiore al 26%, e tra il 31%- 66% dopo un evento traumatico. Possono emergere occasionalmente come effetti collaterali di farmaci o del consumo di droghe, in particolare la cannabis (Madden & Einhorn, 2018).

È importante, inoltre, ricordare che la psicopatologia dissociativa è una psicopatologia nascosta (Kluft, 2009), poiché solitamente il paziente giunge alla consultazione psicologica con altre problematiche (disturbo di panico, disturbo da stress post- traumatico, depressione maggiore, etc…) e così certi sintomi possono essere occultati o minimizzati (Gonzalez, 2013). Tuttavia, studi effettuati negli Stati Uniti, Canada, Inghilterra, Turchia e Germania hanno rilevato una prevalenza del disturbo, che soddisfa i criteri per la diagnosi di DDD, in circa il 3% delle persone.

La depersonalizzazione e/o la derealizzazione sono trasversalmente presenti in diverse patologie psichiatriche nonché in patologie mediche generali come le sindromi convulsive. Quando la depersonalizzazione e/o la derealizzazione si manifestano indipendentemente da altri disturbi fisici o mentali, sono ricorrenti o persistenti e alterano le funzionalità, è presente un disturbo DDD.

Il disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione si verifica ugualmente in uomini e donne. L’età media d’insorgenza è 16 anni. Il disturbo può esordire durante la prima o media infanzia; solo il 5% dei casi inizia dopo i 25 anni, e raramente il disturbo inizia dopo i 40 anni. I sintomi del disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione possono insorgere gradualmente o all’improvviso, sono solitamente episodici, possono durare ore o giorni o settimane, mesi o anche anni. Nei casi gravi, i sintomi sono costantemente presenti con un’intensità immutata per anni o decenni.

I sintomi di depersonalizzazione comprendono:

  • Estraneità dal proprio corpo o parti di esso (depersonalizzazione somatopsichica), esperienza soggettiva di irrealtà, di distacco o estraneità dalla propria identità, dai propri pensieri, sensazioni, emozioni, cambiamenti soggettivi nelle funzioni mnesiche, incapacità di evocare immagini familiari, distorsioni nella percezione del tempo e dello spazio. Diminuzione o perdita di reattività emotiva, come una sorta di intorpidimento fisico ed emotivo (APA, 2013).

La persona si sente sconnessa dalle proprie sensazioni, provando un senso di irrealtà, estraneità, stranezza, profondo distacco, (ad esempio osserva le proprie azioni dall’esterno, come in un sogno, si sente un automa, sente che il corpo o le emozioni non gli appartengano). Può sentirsi emotivamente e fisicamente insensibile o sentirsi distaccato, con poca emozione. Alcuni pazienti non sono in grado di riconoscere o descrivere le loro emozioni (alessitimia). Si sentono spesso disconnessi dai loro ricordi non sentendosi in grado di ricordare con chiarezza.

I sintomi della derealizzazione comprendono:

  • Sentimento di irrealtà dal mondo esterno, sentirsi distaccati dall’ambiente circostante sia esso rappresentato da persone, oggetti inanimati o da tutto ciò che li circonda.

Il soggetto può sentirsi come in un sogno o immerso nella nebbia oppure come se una parete di

vetro o un velo lo separasse dall’ambiente che lo circonda. In questo stato si ha la sensazione di essere separati dal mondo esterno al punto che questo può apparire distorto e irreale, non riconoscibile: gli oggetti possono risultare di forme e dimensioni diverse, cambia la percezione del tempo come se scorresse troppo velocemente o troppo lentamente; i suoni possono risultare più forti o più deboli del previsto. Emergono delle alterazioni percettive come se non si avesse familiarità con la realtà circostante che può apparire piatta, senza colore, senza vita.

I sintomi sono quasi sempre disfunzionali e inducono sensazioni disturbanti compromettendo, se gravi, significativamente la sfera sociale e/o scolastica e/o lavorativa. Sono frequenti ansia e depressione. Forme non rare di depersonalizzazione sono, a volte, tanto intollerabili da poter indurre chi le sperimenta a tentare di riappropriarsi dell’esperienza di sé tramite potenti sensazioni dolorose ottenute con lesioni auto inferte come il tagliarsi o il procurarsi ustioni (Linehan, 1993; Nock, 2010). Ancora, alcuni soggetti data l’intensità di queste sensazioni tali da generare confusione, interpretando i sintomi di irrealtà e distacco come segno di una minaccia alla propria incolumità cognitiva possono temere il rischio di impazzire, ciò può funzionare da innesco ad un attacco di panico, che può essere seguito dallo sviluppo di comportamenti fobici, ansia generalizzata, evitamento della solitudine e dei luoghi ove hanno sperimentato il DDD. Spesso il paziente si presenta al clinico descrivendo il comportamento fobico e l’attacco di panico come i soli disturbi per cui chiede cura, e trascura del tutto di riferire sulla depersonalizzazione e/o derealizzazione. Non è raro che la minacciata perdita della continuità del senso di identità personale preceda immediatamente e motivi l’allarme del paziente, piuttosto che essere la conseguenza di un attacco di panico.

Tuttavia, in ogni momento, a differenza dei pazienti psicotici, nei pazienti con DDD l’esame di realtà rimane integro, essi sono generalmente consapevoli che la loro percezione è alterata e che le loro esperienze dissociative non sono reali.

EZIOLOGIA

Vi è una chiara associazione tra il disturbo di depersonalizzazione/ derealizzazione e la presenza di esperienze traumatiche multiple e/o protratte nel tempo dello sviluppo individuale (van der Kolk, 2005). È importante sottolineare che per esperienze traumatiche si intende non solo la traumatizzazione in termini di abusi fisici, emotivi e sessuali, incidenti, catastrofi naturali ma anche la condizione di trascuratezza genitoriale (neglect). Altri fattori di stress possono includere: l’essere stati testimoni di violenza domestica, essere cresciuti con un genitore affetto da malattia psichica; o la morte improvvisa o il suicidio di un familiare. I fattori più prossimi al manifestarsi del disturbo sono: grave stress (interpersonale, finanziario, occupazionale); depressione e ansia (in particolare attacchi di panico); uso di droghe illecite (allucinogeni, ketamine, MDMA).

I sintomi dissociativi sono talvolta definiti come perdita delle informazioni necessarie o come discontinuità dell’esperienza. Più in generale la

dissociazione può essere vista come un tentativo da parte dell’individuo di “impedire una travolgente inondazione di coscienza al momento del trauma”(2).

Questa considerazione apre alla riflessione, se i sintomi dissociativi di distacco rappresentino un meccanismo di difesa del cervello dal dolore mentale evocato dall’evento traumatico o se piuttosto, riprendendo l’idea di Janet (1907), i sintomi dissociativi non siano altro che la conseguenza devastante (désagrégation) della dissoluzione delle funzioni della coscienza indotta dalle emozioni veementi del trauma. In ogni caso, indipendentemente dalla spiegazione del fenomeno dissociativo, la risposta dell’individuo diventa patologica quando i sintomi di depersonalizzazione-derealizzazione o si generalizzano ad altre situazioni, manifestandosi in modo incontrollabile, o persistono oltre la minaccia immediata.

Di qui l’emergere del DDD.

CONCLUSIONI

La depersonalizzazione e la derealizzazione possono essere fenomeni transitori e comuni nella popolazione generale (Seth, Suzuki & Critchley, 2012). Queste risposte, di per sé, non sono necessariamente insolite o “anormali” in determinate situazioni acute come eventi gravi: la morte inaspettata di una persona cara, un grave incidente stradale, o qualsivoglia evento traumatico (vale a dire un evento che sovrasti la capacità di resistenza dell’individuo). Diversi ricercatori hanno proposto che la spersonalizzazione sia una risposta inibitoria “cablata” per diminuire l’ansia e favorire gli stati di ipereccitazione. In queste condizioni, la persona si pone in una modalità di sopravvivenza in cui le risorse fisiche sono conservate e il comportamento adattivo prende il controllo durante la situazione minacciosa o pericolosa. La sensazione di non essere connesso al proprio corpo o alla realtà circostante in quel momento, dunque, è una reazione fisiologica acuta allo stress utile a mantenere un certo distacco dall’evento, come ad attutirne un impatto che altrimenti risulterebbe soverchiante.

La dissociazione diventa patologica quando la risposta si generalizza ad altre situazioni e circostanze o persiste oltre la presenza del pericolo o della minaccia.

I pazienti con disturbo di depersonalizzazione/derealizzazione spesso migliorano senza intervento specifico, specialmente per quelli i cui sintomi si manifestano in relazione a fattori stressanti trattabili o transitori o che non si sono protratti nel tempo. In altri, laddove depersonalizzazione e derealizzazione diventano più croniche e refrattarie, la psicoterapia rappresenta la cura d’elezione di un piano di trattamento multidisciplinare per DDD e altri disturbi legati al trauma e deve essere la strategia interventistica centrale; la modalità della psicoterapia dovrebbe essere basata sui bisogni dell’individuo e può includere una combinazione di vari approcci basati sulla qualità e l’acutezza dei sintomi del paziente.

Note

  1. Carlson 2009; Herman 1992; Lanius 2010; Liotti e Farina 2011; van der Kolk 2005.
  2. Allen JG, Smith WH. “Diagnosi dei disturbi dissociativi”. Bull Menninger Clin. 1993.

BIBLIOGRAFIA

•Allen JG, Smith WH. (1993) “Diagnosi dei disturbi dissociativi”. Bull Menninger Clin.; American Psychiatric Association (APA) (2013). DSM-5. “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mental”i, tr. it. Raffaello Cortina, Milano, 2014;

•Gentile JP. et al, (2014) “STRESS AND TRAUMA: Psychotherapy and Pharmacotherapy for Depersonalization/ Derealization Disorder”. Innov Clin Neurosci.;

•Gonzalez (2013). “I disturbi dissociativi. Diagnosi e trattamento”. Giovanni Fioriti Editore;

•Janet, P. (1907). “The Major Symptoms of Hysteria”. Macmillan, London/New York;

•Kluft, R. P. (2009). “A clinician’s understanding of dissociation: Fragments of an acquaintance”. In P. F. Dell & J. A. O’Neil (Eds.), Dissociation and the dissociative disorders: DSM- V and beyond (pp. 599–624). New York, NY: Routledge.

•Liotti e Farina (2011). “Sviluppi traumatici”. Raffaello Cortina Editore;

•Madden S. P., & Einhorn, P. M. (2018). “Cannabis-induced Depersonalization- Derealization Disorder”. The American Journal of Psychiatry Residents Journal;

•Seth, A. K., Suzuki, K., & Critchley, H. D. (2012). “An interoceptive predictive coding model of conscious presence”. Frontiers in Psychology;

•van der Kolk, B. A. (2005). “Developmental Trauma Disorder: Toward a rational diagnosis for children with complex trauma histories”. Psychiatric Annals.