Il punto sulla Fibromialgia.

di Grazzini Emanuela e Mahony Alessandro

Questo articolo vuole essere un breve ma il più chiaro possibile riassunto su cosa riteniamo sia la cosiddetta Fibromialgia in modo da permetterne una comprensione maggiore possibile per i pazienti, per i colleghi, e per gli operatori sanitari.

Sia sulla base della letteratura scientifica che della nostra lunga esperienza clinica è necessario, a nostro parere, fare il punto sullo stato attuale di quella che viene attualmente chiamata “Sindrome Fibromialgica”. Ci sono infatti diverse cose da evidenziare che troppo spesso “sfuggono” per la comprensione della malattia e quindi per una corretta impostazione di una cura.

La prima cosa da ricordare è che si tratta tuttora di una “non-diagnosi”; o meglio, si tratta ad oggi di una diagnosi per esclusione. Non esistono infatti marcatori biologici affidabili per tale diagnosi. Si va quindi semplicemente per esclusione.

In più di vent’anni che vediamo pazienti con la “Fibromialgia” abbiamo visto molte diagnosi palesemente errate. Pazienti con insufficienti indagini diagnostiche hanno ricevuto una diagnosi di Fibromialgia pur non avendone le caratteristiche necessarie. Ma anche parallelamente pazienti che hanno ricevuto diagnosi organica con terapie inutili perché comunque non correlate ad essa. A volte la diagnosi è una diagnosi “di comodo”, nel senso che il medico non trova nulla ma alla fine, dato che il paziente porta una variegata serie di dolori e di sintomi – soprattutto porta un carico di dolore fisico molto pesante- bisogna fare una diagnosi accettabile.

Non è quindi facile fare una corretta diagnosi di Fibromialgia. Diversi specialisti pur con la stessa preparazione la possono pensare in modo diametralmente opposto e confutarsi a vicenda la diagnosi nello stesso paziente. Rendendolo sempre più confuso.

Abbiamo quindi da diversi anni una malattia che “non esiste”, in quanto non è tuttora organicamente dimostrabile, ma che porta notevoli dolori ovunque, non ti fa più vivere, a volte risulta invalidante e spesso nessuno ci crede.

Chi non crede nell’esistenza di questa malattia dice che i pazienti soffrono di isteria, di conversione, oppure che si lamentano per attirare attenzione, o sono depressi o quant’altro. Per molti medici ancora oggi la Fibromialgia appunto “non esiste”. Chi “ci crede” invece si vorrebbe rifare a ricerche di reumatologia, di immunologia, di terapia del dolore, e perpetua tutta una serie di credenze e di opinioni dure a morire e tuttora da dimostrare, per le quali si afferma ancora che è una malattia gravissima, che non si può guarirne perché non hanno mai visto nessuno guarire, e che la si dovrà tenere per tutta la vita, alimentando un’ipotesi catastrofica sulla prognosi della malattia, non sostenuta però dalle evidenze cliniche. 

Riferendoci puramente alla letteratura scientifica sull’argomento, abbiamo una serie di ricerche che si smentiscono e si contraddicono tra di loro. Dobbiamo chiederci se sono state effettuate su campioni attendibili con una diagnosi – su una malattia non dimostrabile – corretta, con metodologie adeguate, con campionatura adeguata e con gruppi di controllo adeguati. Ma soprattutto chiediamoci se i pazienti sono stati ascoltati correttamente.

Il modello medico purtroppo prevede un ascolto del paziente di alcuni minuti, e ulteriori controlli periodici sempre di pochi minuti forse anche non con lo stesso specialista. Il modello e il percorso psicologico/psicoterapeutico prevede invece un ascolto costante e continuativo dei sintomi e dei vissuti del paziente, con monitoraggi e follow-up mirati, per un periodo di tempo significativamente idoneo.

E’ proprio la modalità psicologica che ha permesso di evidenziare le caratteristiche del paziente fibromialgico che assai difficilmente potrebbero essere rilevabili in un modello medico non esaustivo dei vissuti emotivi del paziente, e quindi non sufficientemente valutati ai fini di una comprensione eziopatologicamente significativa della malattia.

Le caratteristiche fondamentali più volte evidenziate e sottolineate per una diagnosi che si rivela maggiormente utile ad un percorso terapeutico sono: 

1) La presenza di dolori costanti o periodici di vario tipo con una particolare asimmetria a livello sagittale. Ad una accurata visita medica vi può anche essere asimmetricità dei riflessi, come ad esempio il riflesso patellare.

2) La presenza di una serie di sintomi legati ad una ipersensibilità ed ipereccitabilità sensoriale del Sistema Nervoso Centrale, spesso sottovalutati, che riguardano i sensi: la vista, l’olfatto, il gusto, il tatto, con tutta una serie di sensazioni fisiche e psicologiche modificate e il loro impatto disregolato.

3) La presenza di problematiche psicologiche che sono effetto e non causa della sindrome fibromialgica: il fibromialgico ad esempio è spesso depresso a causa di tutto ciò che deve sopportare ogni giorno, manifesta ansia, sperimenta uno stato di continua allerta, presenta problemi di memoria, di stabilità fisica (es. vertigini), disregolazione emotiva e neurofisiologica e tanto altro. I sintomi nella loro totalità sono moltissimi, e purtroppo ci si concentra ancora troppo spesso sul sintomo “dolore”, che l’esperienza ci ha più insegnato essere soltanto la punta dell’iceberg di tutta quanta la sindrome, ed il motivo per il quale il paziente chiede aiuto.              

Ecco, l’errore più grande nella diagnosi e nella terapia è il considerare l’equazione fibromialgia = dolore. La fibromialgia è molto di più, e senza questa comprensione non può esistere una terapia medica. E’ a pieno titolo una Sindrome di Ipersensibilità Centrale. 

4) La presenza sine qua non per la diagnosi di uno o più eventi psicotraumatici alla base è da considerarsi la causa principalmente scatenante di tutta la sintomatologia. La Sindrome Fibromialgica sembra in alcuni casi manifestare sintomi sovrapponibili alla Sindrome Post- Traumatica da Stress (PTSD), e molto di più ad eventi post-traumatici a partire dall’età evolutiva. I pazienti trattati a partire da questa fondamentale consapevolezza ottengono infatti risultati concreti nella terapia, contrariamente a molti altri approcci che non portano a dati di migliramento significativo.

I traumi possono essere di diverso tipo: o unico e scatenante, generalmente molto forte ed intollerabile per chiunque (esempio il subire una guerra, il subire uno stupro, la morte di una persona cara e tanti altri), oppure una complessità di eventi emotivamente traumatici di diverso genere prolungati nel tempo (es. subire mobbing lavorativo, subire minacce continue, maltrattamenti indiretti, disorganizzazione dei ruoli in età evolutiva, vivere in continue condizioni economiche carenti….). E’ molto importante sapere che a seconda del periodo di insorgenza dei traumi che avvengono in età evolutiva, periodo in cui il bambino/o il ragazzo/a non ha ancora sviluppato le necessarie strutture cognitive o emotive per gestirlo, possono attivarsi dei meccanismi difensivi dissociativi che gettano le basi verso una risposta psicocorporea. Grazzini ha infatti ipotizzato che alcune problematiche negli stili di attaccamento evidenziano tratti inerenti a modelli operativi interni disfunzionali che, dissociandosi a seconda della gravità dell’impatto traumatico, possono orientarsi sul corpo e creare il “sintomo”. Il tutto è ascrivibile ad una disregolezione emotiva e ad una serie di sentimenti ed emozioni che sono passate dallo “psichico” al “funzionale-organico” tramite una rete di vie fisiologiche sufficientemente descritte in psicosomatica e in psico-neuro-endocrino-immunologia, come ad esempio l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, oppure l’asse cervello-intestino, oppure ancora modificazioni epigenetiche. 

  1. 5) Vanno assolutamente escluse cause che provochino sintomi simili, sia a livello organico che psicologico. Vanno escluse sindromi organiche quali sindromi reumatologiche, neurologiche, ma anche psichiatriche ad esempio: una sindrome depressiva o disturbi di personalità possono simulare alcuni sintomi fibromialgici e vanno quindi certamente esclusi per una corretta diagnosi e seguente terapia (Mahony e Grazzini stanno elaborando un questionario che intende essere utile alla formulazione della diagnosi di fibromialgia per i medici e gli specialisti nel campo sanitario).

A questo punto possiamo ritenere che possa essere davvero fatta una accettabile diagnosi di “Sindrome Fibromialgica”. Se infatti vengono realmente trovate cause organiche allora non parliamo più di “Fibromialgia” (ricordiamo la difficoltà di fare ricerca concreta sull’argomento, e il rischio di facile vendibilità di diagnosi), bensì ci si dovrebbe riferire al campo di pertinenza (diventerebbe una sindrome a pieno titolo neurologica, reumatologica, psichiatrica, etc.).

Succede non di rado che psicologi o psicoterapeuti preparati e competenti, ascoltando i vissuti e i sintomi del paziente, sospettino una sindrome fibromialgica e facciano l’invio allo specialista. Spesso il sospetto è confermato. C’è il reinvio quindi al percorso psicologico, ed inizia una proficua collaborazione tra esperti.

Succede sempre più spesso che lo specialista medico (in genere il reumatologo, ma anche il neurologo, o l’ortopedico, l’internista, o il medico di base quando formati e competenti) sospetti la Fibromialgia, provveda agli esami e alle indagini utili, e poi confermata l’ipotesi di partenza, dopo avere assicurato un minimo di terapia farmacologica di sostegno, invii il paziente ad un percorso psicologico da un professionista di sua fiducia. Anche qui massima collaborazione tra gli specialisti, con evidente vantaggio per il paziente. 

Dopo una corretta diagnosi, quale terapia?

Nonostante la spasmodica e giustificata ricerca di una terapia standardizzata e famacologica da parte di pazienti, essa non esiste. O meglio, non esistono terapie farmacologiche o terapie sufficientemente risolutive in un modello medico unitario. Nel modello biopsicosociale invece, che è quello più efficace e da noi adottato, si verificano ottimi risultati. E l’esperienza clinica mostra che non pochi pazienti, oltre che a trarre ottimi giovamenti, possono anche ritenersi anche guariti, con asintomaticità anche dopo 10 anni di tempo.

Qui però sorge il problema principale: la non accettazione della maggioranza dei malati che il percorso psicologico possa essere la strada migliore se non, comorbidità permettendo, quella risolutiva. Eppure le prove migliori sono i pazienti stessi che ne sono usciti dopo avere provato le strade “classiche” ed averle fallite. Abbiamo anche denominato ed esaminato altrove la presenza di un “effetto incredulità” (“disbelief effect”), dove i pazienti stessi si predispongono psicologicamente all’incredulità di poter guarire (parliamo di un effetto non consapevolizzato presente solo a livello bottom-up). Abbiamo purtroppo una difficoltà di accettazione della possibilità di risoluzione della sindrome, effetto dovuto, tra le altre cose, ad una errata cultura e da una mancanza di reale conoscenza della materia (ad esempio confondendo cause ed effetti) e ad una eccessiva pubblicizzazione da parte di diverse figure non specializzate o competenti di terapie non idonee che  perpetuano l’opinione che dalla fibromialgia non si possa sufficientemente uscirne. 

Le armi migliori che abbiamo in campo psicologico possono essere diverse, fortemente orientate alla rielaborazione della propria consapevolezza del Sè psico-corporeo. Abbiamo tecniche che si rivelano ottime per il trattamento di questi pazienti. Oltre ai classici effetti psicofisiologici (ad esempio sono ottime per la gestione del dolore, in alcuni casi migliori dei classici farmaci antidolorifici), tali approcci sembrano anche avere significativi effetti epigenetici, motivo in più per consolidarne la pratica. Vanno considerate però adeguatamente per quello che sono: tecniche in un percorso mirato che deve essere condotto da specialisti. Non devono essere generalizzate, vanno invece mirate per la Fibromialgia stessa. Diverse pratiche pubblicizzate e conosciute alla massa hanno purtroppo effetti iatrogeni ed effetti collaterali non indifferenti, e vanno quindi sconsigliate (tecniche sbagliate nei pazienti fibromialgici aumentano e perpetuano il dolore, perpetuando l’effetto incredulità e il pensiero dell’impossibilità di non poterne mai uscire). Gli autori di questo lavoro in base alla preparazione clinica e neuroscientifica e l’esperienza di anni e su molteplici pazienti ad esempio hanno sviluppato e praticato tecniche e metodiche che si sono rivelate ottime per il trattamento specifico della sindrome. 

Un punto che va assolutamente chiarito è che una terapia specifica psicologica non è un farmaco con un risultato immediato. Un percorso psicologico ha metodi e tempistiche che non sono quelle del modello medico, e il paziente deve prepararsi ad un “viaggio” che in genere, come tutte le problematiche psico-emotive, ha bisogno di almeno alcuni mesi per iniziare a dare i suoi frutti. I sistemi cognitivi ed emotivi devono essere ricalibrati e riprogrammati. Il sistema psicofisiologico deve essere riequilibrato. I progressi e i cambiamenti avvengono con tempi soggettivi ma in modo continuativo e costante. 

I malati che ne sono usciti sono la migliore testimonianza del successo che si può ottenere, e le ricadute risultano praticamente rare. Nella malaugurata ipotesi che i sintomi ritornino, i pazienti hanno generalmente imparato tecniche, atteggiamenti cognitivi ed emotivi, comportamenti e strategie per non ricadere nel disagio. 

Per quanto riguarda la guarigione, ripetiamo il “si può”, e auspichiamo anche il “si deve”, nonostante siano molte le variabili in gioco, conosciute e sconosciute, ognuna diversa per ogni paziente. Precisiamo anche che non abbiamo purtroppo ad oggi dati accettabili ed ufficiali sulle percentuali di pazienti con sufficiente risoluzione, vista anche la condizione di partenza e l’imprecisato numero di diagnosi probabilmente errate (quindi anche di aspettative). E se il percorso psicologico lavora sul singolo come persona diversa dalla altre, su ognuna come un mondo diverso dagli altri (atteggiamento assolutamente necessario), non su protocolli standardizzati, ciò rende ulteriormente più difficile, ma paradossalmente sensato e significativo, dare numeri esatti. 

Ciò che realmente conta è il modello e l’impostazione seguita. La cosa che realmente interessa è che il paziente che soffre di Fibromialgia, con una diagnosi corretta, abbia le capacità di affrontare i suoi traumi, di comprendere e di liberarsi di tutto ciò che gli ha provocato e gli provoca sofferenza. Assolutamente non facile per molti, ma strada spesso funzionale e soddisfacente. Poichè secondo un modello medico, ripetiamo, la “guarigione” è impossibile, mentre invece noi riteniamo che, secondo un modello biopsicosociale inserito in una specifica complessità metodologica terapeutica, una propria risoluzione della malattia invece sia non solo possibile ma anche auspicabile e doverosa, in quanto esiste il concetto di “presa in cura” globale della persona. 

In diversi anni abbiamo visto diversi pazienti che sono riusciti a stare meglio, e ci auguriamo di vederne ancora tanti.