Intelligenza artificiale: come trattiamo i non umani?
Il dibattito intorno all’intelligenza artificiale continua a sottolineare, giustamente, i possibili rischi e le problematiche per l’umanità in un futuro
molto prossimo. Ma proviamo a vederla anche dal punto di vista opposto: gli sviluppatori sono convinti che in pochi anni i sistemi di intelligenza artificiale potrebbero diventare superintelligenti. Ma sono potenzialmente in grado di sviluppare sensibilità? È possibile e verosimile.
Ho letto di recente una bella intervista di Annie Lowrey a Jacy Reese Anthis, sociologo dell’Università di Chicago, co-fondatore del Sentience Institute ed esperto di come le creature non umane sperimentano il mondo.
La fantascienza ha già abbondantemente affrontato l’argomento; libri, testi teatrali, film, uno su tutti Blade Runner: “ho visto cose che voi umani …”.
E se si considera come sono trattati gli animali, da quelli d’allevamento a quelli selvatici, gli uomini possono essere molto pericolosi in fatto di diritti per i non umani. Anthis sostiene che occorrerà pensare anche ai diritti dell’ intelligenza artificiale e operare con molta cautela quando si tratta di creare una sensibilità artificiale, possibilità ancora lontana; ma assai meno di quanto crediamo.
Anthis si interroga in particolare su come l’umanità potrebbe utilizzare le IA in modi in cui non possono essere utilizzati gli animali: e cioè per compiti cognitivi. Ci sono circa 100 miliardi di animali nel sistema alimentare, che soffrono trattamenti terribili negli allevamenti intensivi. Certo, possiamo produrre molto facilmente carne, latticini e uova; ma i costi della sofferenza non sono contabilizzati nel prezzo di un hamburger. Solo recentemente, e solo per il tema del cambiamento climatico e dell’enorme dispendio di acqua degli allevamenti intensivi, i governi cominciano a considerare il danno incalcolabile di questo sistema produttivo.
Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, secondo il sociologo, l’umanità potrebbe creare nuovi schiavi per il lavoro cognitivo: se non teniamo conto della loro sensibilità, utilizzarli in modo produttivo su larga scala potrebbe causare molta sofferenza.
Torniamo a guardare dal punto di vista dei pericoli dell’IA per l’umanità. L’idea che l’intelligenza artificiale possa trattare gli esseri umani nel modo in cui gli esseri umani trattano gli animali esiste da molto tempo. Nel 1863, Samuel Butler sosteneva che le macchine erediteranno la terra. Questi potenti esseri superintelligenti potrebbero portarci all’estinzione, nel modo in cui noi abbiamo sostituito altre specie, inclusi molti primati.
Sempre per guardare a ciò che ha immaginato la fantascienza, in Matrix le macchine usano gli esseri umani come batterie.
L’umanità ha una motivazione biologica profondamente radicata: estendere il nostro DNA e promuovere la comunità umana. Le IA, che vengono ovviamente addestrate sui nostri dati, potrebbero arrivare a volere le stesse cose?
Anthis fa riferimento al concetto di orientamento al dominio sociale: è la tendenza di una persona a pensare che alcuni gruppi della società possano e debbano dominare gli altri ed è fortemente correlato con il razzismo, il sessismo e lo specismo, ovvero la credenza nella superiorità umana sugli animali non umani.
La sua riflessione arriva a una conclusione piuttosto drastica: potendo in futuro avere una migliore comprensione computazionale di indizi di sviluppo di sensibilità all’interno di un’intelligenza artificiale, il sociologo si augura che questo possibile esito venga prevenuto e arginato dagli sviluppatori, per evitare nuova sofferenza. Dal suo punto di vista privilegiato di ricercatore, Anthis non sembra avere molta fiducia nell’umanità e nella sua capacità di compassione verso i non umani.
In un mondo ideale – e chiudo io con un pensiero ingenuo quanto utopistico – l’intelligenza artificiale, ormai evoluta, potrebbe accorgersi a mio parere di un’evidenza: che cooperare, non prevaricare, distribuire equamente le risorse, dare opportunità a tutti gli esseri di vivere dignitosamente e, perché no, di sperimentare felicità è anche il modo più vantaggioso per tutti di coesistere e prosperare su larga scala, al di là di un giudizio morale. Semplicemente, in termini di risultati. L’intelligenza artificiale, a partire da questi dati, agirebbe quindi per assicurare a questo ecosistema una possibilità di diventare prevalente, staccandosi da quello imperfetto creato dagli uomini sinora. Si tratterebbe così di una creazione umana che permette alla specie di andare oltre sé stessa: in una direzione che, anche fosse solo per calcolo dei vantaggi, svilupperebbe equità e benessere; che sono le basi necessarie per poter provare compassione e agire di conseguenza.
Dall’utilità rilevata, creata e considerata dal punto di vista di una superintelligenza artificiale, potrebbero derivare qualità morali molto concrete. E persino più umane.