La disabilità intellettiva. Alcune considerazioni per la valutazione clinica
di Francesca Dicè
Si definisce disabilità una condizione nella quale la persona presenta una ridotta capacità d’interazione con l’ambiente rispetto a ciò che è considerata la norma, con una minore autonomia nello svolgere le attività quotidiane e spesso in condizioni di svantaggio nel partecipare alla vita sociale (Pagani, 2012; Convenzione ONU, 2006). Questa nuova visione della disabilità si sostituisce al concetto di handicap che prima evidenziava gli aspetti deficitari della persona.
Un’importante esempio di tale cambiamento può essere rappresentato dalla Disabilità Intellettiva, prima indicata con il termine Ritardo Mentale (in seguito sostituito perché considerato valutativo e stigmatizzante) ed ora definita dal DSM 5 come appartenenti ai Disturbi del Neurosviluppo. Affinché essa sia diagnosticata, è necessario che la persona presenti un deficit del funzionamento intellettivo (es. ragionamento, funzioni esecutive, apprendimento) e adattivo (es. mancato suggerimento dell’autonomia), entrambi con insorgenza durante l’età evolutiva; quest’ultimo criterio è fondamentale per la diagnosi differenziale con i disturbi neurocognitivi e le demenze (Gruppo Studi Cognitivi; DSM-5; ANFASS).
Sempre secondo il DSM-5, il livello di gravità della disabilità intellettiva può essere definito lieve, moderato, grave e profondo e, per determinare tale caratteristica, è indispensabile considerare le difficoltà delle persone nella gestione dei compiti quotidiani, come ad esempio le faccende domestiche, il tempo e lo spazio, il denaro, le relazioni affettive (Gruppo Studi Cognitivi; DSM-5; ANFASS). È possibile, inoltre, che le persone con disabilità intellettiva possano essere più lente, rispetto agli altri, nell’acquisire nuove abilità e più inclini a perderle, oltre a non riuscire sempre a comprendere nuove informazioni o a interagire con gli altri (Gruppo Studi Cognitivi; DSM-5; ANFASS).
Se le cause della disabilità intellettiva possono essere biologiche, psicosociali o una combinazione di entrambe, i principali fattori di rischio per la sua insorgenza possono riguardare ereditarietà, alterazioni precoci dello sviluppo embrionale (es. mutazioni genetiche), danni prenatali (es. infezioni), problemi nel periodo perinatale (es. nascite premature), condizioni mediche infantili (es. condizioni traumatiche); influenze ambientali o disturbi mentali (es. altri disturbi del neurosviluppo) (Gruppo Studi Cognitivi; DSM-5; ANFASS).
La disabilità intellettiva è una condizione permanente e copre l’intero arco della vita, ma i livelli di gravità possono cambiare secondo le età delle persone e le condizioni ambientali in cui esse versano. Ciononostante, la maggior parte di esse spesso riesce a vivere in maniera abbastanza autonoma, soprattutto se sono stati forniti opportuni supporti, utili a sviluppare nuove abilità e soprattutto misurati sulle specifiche caratteristiche delle persone e del loro contesto di vita (Gruppo Studi Cognitivi; DSM-5; ANFASS).
Pertanto, nella valutazione di queste condizioni, è fondamentale che la corretta rilevazione della gravità, oltre ad essere agevolata dal ricorso a test specifici come le Matrici Progressive di Raven (Raven et al., 2003), le Scale Wechsler (Wechsler et al., 2008a; 2008b; 2008c) e le Scale Vineland (Sparrow et al., 2005) (Di Nuovo & Buono, 2010), si accompagni ad un adeguato approfondimento dei desideri, delle paure e delle preferenze della persona. Ciò potrebbe agevolare la strutturazione di uno piano di supporto specificamente strutturalmente sui bisogni della persona e utile a migliorarne la sua qualità di vita (Gruppo Studi Cognitivi; DSM-5; ANFASS). Tali approfondimenti sarebbero inoltre indispensabili a definire interventi abilitativi precoci e duraturi nel tempo, migliorando d i conseguenza i l comportamento adattivo della persona e favorendo il conferimento di sempre maggiori autonomie nella vita quotidiana (Gruppo Studi Cognitivi; DSM-5; ANFASS).
Bibliografia
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