La paura della paura. Cosa sono gli attacchi di panico?
Secondo Cindy Aaronson PhD, psichiatra clinica presso il Mount Sinai Health System di New York, gli attacchi di panico sono sorprendentemente comuni; almeno un terzo di noi ne sperimenterà uno ad un certo punto della vita. Ma quali sono i sintomi e come riconoscerli? Le manifestazioni variano da persona a persona: possono includere cuore che batte molto forte, mancanza di respiro, stordimento, sudorazione, tremori, nausea, formicolio o intorpidimento alle dita delle mani e dei piedi e un senso opprimente di morte imminente. Il senso di morte è distintivo degli attacchi di panico.
Per molte persone, queste sensazioni allarmanti, che possono imitare quelle di un infarto o di altre gravi condizioni mediche, sono accompagnate dalla convinzione di essere sul punto di morire. Ma c’è anche una forma, dice Aaronson, in cui si avverte una sensazione di “irrealtà”, dove il tempo e la percezione vengono confusi, spesso descritta da chi l’ha provata come un’esperienza fuori dal corpo, in cui le persone avvertono di perdere il controllo e sentono di essere sull’orlo di impazzire.
Molte persone in preda a un attacco di panico si presentano al pronto soccorso credendo di avere un infarto o di soffocare.
Ma vediamo cosa avviene.
È come se il corpo avesse una normale risposta di paura fisiologica, solo che questa risposta avviene in un momento del tutto inappropriato.
In alcuni casi, possono essere in gioco la genetica o i cambiamenti nella funzione cerebrale. In altri, lo stress è un fattore. Lo stress percepito da piccoli, con continue sollecitazioni ed esposizione alla paura da bambini, è uno dei fattori di predisposizione.
Gli attacchi di panico iniziano con qualcosa che fa battere forte il cuore: uno stimolo nell’ambiente – forse un suono o un profumo associato a un evento traumatico – o anche qualcosa di innocuo, come una dose di caffeina che accelera il battito.
Una volta innescato, la cascata di risposte fisiologiche nel corpo è abbastanza universale.
Il battito accelerato del cuore fa scattare un allarme di pericolo nel cervello e sollecita un’esagerazione della risposta di paura del corpo.
L’ amigdala – che svolge un ruolo chiave nell’elaborazione delle emozioni – invia un segnale di pericolo all’ ipotalamo – un piccolo centro di comando che si trova in cima al tronco cerebrale e coordina funzioni corporee involontarie come la respirazione, la pressione sanguigna e il battito cardiaco. L’ ipotalamo invia messaggi attraverso il sistema nervoso autonomo alle ghiandole surrenali, spingendole a inondare il flusso sanguigno con ormoni tra cui adrenalina e cortisolo. Questi messaggeri chimici attivano i riflessi di sopravvivenza del corpo e lo preparano a intraprendere un’azione difensiva. Recentissimi studi suggeriscono che potrebbero essere coinvolte anche altre strutture del cervello, in particolare la corteccia insulare e una parte del tronco cerebrale chiamata “nucleo del tratto solitario” – regioni che insieme ricevono e mappano i segnali dal cuore, dai polmoni e dal flusso sanguigno.
Ma torniamo ai sintomi e alle manifestazioni. Cosa succede esattamente?
Le pupille si dilatano e la frequenza respiratoria aumenta, per consentire al corpo di assumere ossigeno extra per difendersi. Il metabolismo cellulare si modifica, per massimizzare la quantità di glucosio disponibile per cervello e muscoli. Il sangue viene deviato lontano da regioni non essenziali come lo stomaco e le dita di mani e piedi e veicolato verso i principali muscoli delle braccia e delle gambe, rafforzandoli per combattere la minaccia o avere forza e velocità sufficienti per fuggire dalla scena.
Gli attacchi di panico in genere raggiungono il picco e si attenuano entro 10 o 15 minuti, e ci sono una serie di tecniche concrete che possono aiutare a superarli.
La principale è riconoscere l’ esperienza come un attacco di panico e non come una crisi medica più seria, e concentrarsi a pensare che non c’è nulla di fisicamente pericoloso in questo. Sapere di cosa si tratta è già un fondamentale aiuto per chi ne soffre. Escludendo sintomi specifici di attacco cardiaco, come pressione al petto o dolore che si accumula o si irradia al braccio o alla mascella, occorre concentrarsi sul fatto che il panico passa sempre, è una condizione che dura alcuni minuti, terrorizzanti certo, ma senza conseguenze reali per l’incolumità.
Detto a freddo, sembra una banalità, impossibile da applicare quando ci si sente soffocare o perdere il controllo; ma come in molte altre situazioni, è questione di allenamento.
Più si applica una razionalizzazione del momento, ogni volta che accade, più si riesce a diminuirne l’impatto.
La Aaronson suggerisce di dire a se stessi: “Tutto ciò che il mio corpo sta facendo in questo momento è progettato per tenermi al sicuro e proteggermi”.
Questa azione coinvolge immediatamente un’altra regione del nostro cervello: la corteccia frontale. Quest’area, posizionata appena dietro la fronte, è responsabile del pensiero cosciente, del giudizio e della risoluzione dei problemi. Portare un senso di curiosità e analisi nel modo in cui osserviamo le sensazioni, anche quelle terrificanti dell’attacco di panico, può aiutare a ricordare che sono solo processi fisici transitori e a sopportarli meglio.
L’altro strumento importante è il respiro.
La maggior parte delle persone respira in media da 12 a 20 respiri al minuto. E quando si è in iperventilazione, i respiri arrivano anche a raddoppiarsi.
Judson Brewer, psichiatra, neuroscienziato e direttore della ricerca e dell’innovazione presso il Mindfulness Center della Brown University a Providence, consiglia di provare a rallentare gradualmente la respirazione fino a un numero compreso tra cinque e 10 respiri al minuto e di fare in modo che le espirazioni siano più lunghe delle inspirazioni.
Questo tipo di respirazione profonda stimola il nervo vago, il nervo più lungo del corpo, che attraversa regioni tra cui l’apparato digerente e il diaframma e trasporta segnali e informazioni sensoriali da e verso il cervello, regolando le funzioni tra cui la frequenza cardiaca, la frequenza respiratoria e la digestione.
Il nervo vago è una strada a doppio senso. Respirando in modo lento e controllato, si invia un segnale potente al cervello: che siamo rilassati e non c’è nulla da temere. A sua volta, questo stimola alcune parti del muscolo cardiaco e aiuta a stabilizzare il polso.
Se praticate regolarmente, queste semplici tecniche possono aiutare a reprimere molti attacchi nella fase iniziale.
Anche la terapia può aiutare, per modificare gradualmente le risposte comportamentali e rafforzare le connessioni neurali tra la corteccia frontale e l’amigdala.
In definitiva: gli attacchi di panico si alimentano della paura del prossimo attacco. La paura della paura è un compagno molto scomodo con cui fare i conti. Avere più chiaro cosa succede nel nostro corpo, immaginarlo e scoprirlo, aumentare gli esercizi di respirazione per utilizzarli quando serve sono tutte pratiche utili.
E anche sapere che gli attacchi di panico sono come una reazione febbrile a un virus, e che quindi la maggioranza delle persone ne sperimenterà almeno uno nella vita, è un modo per rassicurarci sulla loro frequenza e, forse, normalità di eventi possibili nel corso di un’esistenza. “Non succede solo a me”: parlarne e ragionarne è già un aiuto formidabile a sé stessi.