LA TERAPIA COGNITIVO-COMPORETAMENTALE DI II E DI III GENERAZIONE NEL TRATTAMENTO D’USO DA SOSTANZE (DUS)
di Ilaria Di Giusto
L a Terapia Cognitivo-comportamentale di II generazione ed il Disturbo d’Uso di Sostanze
La Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC) è considerato il modello di trattamento del disturbo d’uso da sostanze maggiormente supportato da evidenze scientifiche. Risulta essere incisiva nel ridurre la gravità delle ricadute e nell’aumentare la durata degli effetti (Carroll, 1996). L’efficacia è determinata anche dalla compatibilità della TCC con altri approcci come la farmacoterapia ed i l counseling, considerati in un intervento integrato nel trattamento del disturbo. Obiettivo fondamentale della terapia cognitivo-comportamentale di II generazione è quello di focalizzarsi sui pensieri d i s f u n z i o n a l i c h e p o r t a n o a compor tament i maladat t i v i e di riconoscere nella dipendenza un importante schema comportamentale. Tale considerazione trova fondamento nelle teorie dell’apprendimento sociale r i s p e t t o a l l ’ a c q u i s i z i o n e ed a l mantenimento del problema della dipendenza da uso di sostanze e mira a favorire l’astinenza (intesa come dismissione dal l ’uso) at t raverso l’acquisizione di abilità di coping efficaci ed alternative all’uso. La TCC parte dal presupposto che le sostanze funzionano come regolatori emotivi esterni in persone con deficit ad attuare un controllo emotivo interiorizzato.
Per intervenire terapeuticamente è fondamentale, innanzitutto, stabilire una relazione terapeutica empatica, sulla cui base si può successivamente facilitare ed elaborare un confronto sulle problematiche direttamente connesse all’uso, correlate, ad esempio, all’impatto che l’uso delle sostanze ha determinato nei diversi ambiti di vita del soggetto (famiglia, lavoro, cura di sé…). In tale modo si può sostenere ed argomentare la possibilità di un cambiamento della condizione di partenza, fornendo un feedback sulla situazione attuale e sulle conseguenze nefaste a cui la persona potrà arrivare mantenendo la condizione d’uso. Un intervento centrato sulla motivazione mira ad aumentare il senso di autoefficacia del paziente, e quindi la sensazione di poter contare sulle proprie abilità personali di fronteggiamento di situazioni complesse, attraverso l’identificazione di obiettivi concreti e raggiungibili. In questo modo, stabilendo obiettivi intermedi e specifici, fissando, ad esempio, brevi periodi di astinenza, il paziente, nel rispettare il patto con il terapeuta, incrementerà la fiducia in se stesso. Ma la semplice motivazione non è condizione sufficiente per promuovere il cambiamento, motivo per cui il terapeuta deve accompagnare i l soggetto nelle varie fasi, cercando di favorire una modifica del comportamento disfunzionale, supportandolo e garantendo il raggiungimento dei risultati, implementando nuove abilità personali; ponendosi come alleato non giudicante, in grado di permettere al paziente di scoprire e mettere in discussione le proprie credenze patogene. In questo modo, si riesce ad intervenire sul potenziamento del livello di consapevolezza del soggetto rispetto a l l e condotte d ’ u s o . Una fase indispensabile, affinché ciò si verifichi, è quella dell’automonitoraggio che il soggetto dovrà svolgere, con l’ausilio del terapeuta, attraverso, ad esempio, il completamento di modelli come l’ABC di A. Ellis o il CEPA di G. Liotti, così da procedere alla stilatura di un resoconto definito degli episodi di consumo, con riguardo al contesto, alle emozioni, ai pensieri ed alle azioni correlati all’evento. In questo modo verrà favorito il potenziamento di abilità di tipo metacognitivo e metariflessivo anche rispetto all’individuazione di quelle situazioni di rischio che possono rappresentare fattori scatenanti per la comparsa della condotta disfunzionale, la cui supervisione e consapevolezza può favorire la prevenzione di ricadute future. Il rafforzamento della relazione terapeutica porterà il terapeuta a rappresentare una “nuova base sicura”, da cui il paziente potrà allontanarsi per sperimentarsi nei nuovi schemi comportamentali e nel raggiungimento degli obiettivi concordati, così da potersi esporre a situazioni di vita, assumendo comportamenti e condotte adeguate e funzionali al mantenimento della propria condizione di dismissione e all’ambiente circostante. La fase di definizione degli obiettivi a breve, media e lunga s c a d e n z a , d i v i e n e u n o s t e p fondamentale per poter valutare l’utilizzo di nuove competenze ed abilità personali e sociali, anche nel riconoscimento ed inserimento in attività stabili e positive, che possano rappresentare un nuovo investimento da parte del soggetto.
L a Terapia Cognitivo-Comportamentale di III onda: la mindfulness nel trattamento del DUS
La terapia cognitivista di stampo “ razionalista” proposta da Beck prevedeva, quindi, una modificazione cognitiva nel modo di pensare del paziente e del suo sistema di credenze per creare una modificazione durevole a livello comportamentale (Beck, 1995).
Tutte le teorie di ispirazione cognitivista condividono il presupposto che il trattamento debba implicare una forma di modificazione dei pattern disfunzionali che preveda lo sforzo attivo da parte del soggetto per indurre un cambiamento nelle cognizioni e nelle emozioni.
Con la TCC di terza generazione si assiste all’integrazione tra tradizionali tecniche di modificazione di pattern d i s f u n z i o n a l i d i p e n s i e r o e comportamento con strategie basate sull’accettazione. (Tomas, Carniato, 2015). Queste tecniche terapeutiche e m e r g e n t i p r o m u o v o n o u n atteggiamento di apertura e accettazione nei confronti di eventi psicologici, anche di quelli esperiti come ‘negativi’.
Le persone con DUS, si sforzano di controllare la realtà mantenendo solo il “positivo” dell’esperienza ed evitando il “negat ivo” , at t raverso l ’addiction (dipendenza psicologica da una sostanza o da un oggetto spinge alla ricerca dell’oggetto stesso). La dipendenza è caratterizzata spesso da impulsività e vulnerabilità emotiva e la sostanza viene a rappresentare, attraverso il corpo, un sistema di regolazione esterna. Con la mindfulness s i può e s p e r i r e una maggiore accettazione ed un minore evitamento delle emozioni difficili, imparando a reagire con uno schema maggiormente comprensivo ed equilibrato, ampliando le proprie competenze emotive. Essa, infatti, propone l’opportunità di guardare alla propria esperienza “negativa” e dolorosa non solo come a qualcosa da cambiare o eliminare, ma come un’esperienza con cui entrare in contatto, accogliendo senza contrastare. L’ amp l i ame n t o d e l l e c a p a c i t à metacognitive, favorite da una pratica meditativa, consente al soggetto di acquisire una consapevolezza di quei pensieri intrusivi e di quegli automatismi, ma anche di quei fattori affettivi ed ambientali, che conducono al craving (desiderio incontrollabile di ripetere l’uso della sostanza), alla ricerca ed al consumo di sostanze. Il training delle f u n z i o n i me t a c o g n i t i v e c o n l a mindfulness può infatti potenziare la capacità nel prestare attenzione a quegli elementi attivatori del consumo, permettendo di intercettare e gestire i processi cognitivi ed affettivi associati al craving, prima che diventino invalidanti (Garland et. al, 2014; Witkiewintz et al., 2014). La dipendenza è un disturbo dell’apprendimento strumentale causato dalla reiterata attivazione del sistema di ricompensa cerebrale da parte delle sostanze d’abuso (Di Chiara, 1999). I comportamenti strumentali appresi e reiterati tendono a trasformarsi in memorie procedurali, in azioni abituali e automatiche, controllate e innescate dagli stimoli associati anche in modo implicito, scarsamente accessibili alla consapevolezza. Il training mindfulness sembra favorire la capacità dei soggetti n e l l a g e s t i o n e d e l l e d i v e r s e caratteristiche proprie del craving, a t t r a v e r s o u n a p i ù a d e g u a t a comprensione dei meccanismi di innesco ed un processo di defusione, grazie al quale diventa possibile guardare al craving in modo aperto, non giudicante e, soprattutto, non reattivo. In questo modo, pur di f ronte al la consapevolezza dell’impulso proprio del desiderio incontrollato verso la sostanza, i pazienti possono diventare abili a depotenziare le componenti affettive e motivazionali ad esso collegate. E se spesso gli automatismi determinano l’attivazione di meccanismi patogeni per controllare i processi psichici spiacevoli ed sgraditi attraverso la soppressione, gli studi hanno dimostrato che i tentativi di non pensare a qualcosa hanno un effetto o p p o s t o , d e t e r m i n a n d o un’accentuazione dei contenuti cognitivi, affettivi e motivazionali a ciò che si cerca di sopprimere. Per quanto i pensieri intrusivi collegati al consumo siano presenti ed inevitabili nei soggetti dipendenti, essi sono transitori se si cerca proprio di evitare la soppressione, che, paradossalmente, ne acutizza la presenza nella nostra mente (Kavanagh et al., 2004). Ciò che si richiede ai pazienti, in questi casi, è di “imparare a cavalcare le onde” (Harris, 2012); imparare a navigare, a “surfare” sull’onda del craving, senza farsi travolgere e senza reagire attraverso automatismi (Bowen et al., 2009).
Gli studi sull’utilizzo della mindfulness nel trattamento del disturbo d’uso da sostanze si sono fortemente intensificati nell’ultimo decennio. Sono stati sviluppati d i v e r s i p r o t o c o l l i b a s a t i s u l l a mindfulness, quali: Mindfulness-Based R e l a p s e P r e v e n t i o n (MB R P ) , Mindfulnes s Or iented Recover y Enhancement (MORE), Mindfulness Training for Smokers (MTS), Moment-by -Moment in Women’s Recovery (MMWR) e altri interventi progettati per contrastare quei fattori che facilitano il mantenimento del disturbo d’uso da sostanze e le possibili ricadute. Ed in tutti sono stati riscontrate quelle caratteristiche di intervento su esposte, miranti a favorire la capacità del soggetto di defondersi dai contenuti emozionali collegati al craving, attraverso una migliore gestione di tali episodi che si basi, non sull’evitamento, ma sulla capacità di accogliere l’impulso e m o d i fi c a r e q u e g l i s c h e m i comportamentali disfunzionali che rispondono ad automatismi ed impulsività.
In una recente revisione, pubblicata nel 2020, nella quale sono stati posti in e s a m e g l i s t u d i s c i e n t i fi c i sull’applicazione della mindfulness nel DUS, pubblicati dal 2017 in poi, sono stati esaminati alcuni punti in comune dei vari protocolli di intervento e la loro efficacia. Il fondamento su cui si basano tutti gli interventi è rappresentato dal p o r t a r e l a p r o p r i a a t t e n z i o n e sull’esperienza immediata del momento presente. Indipendentemente dalle tecniche impiegate, l’obiettivo della consapevolezza è quello di interrompere (momentaneamente) la riflessione su eventi passati e la pianificazione di azioni future. La maggior parte dei protocolli che sono stati esaminati hanno previsto pratiche di meditazione sia formali che informali, pianificate per supportare i partecipanti a interrompere il ciclo dei pensieri ed il processo di azione messo in at to dal pi lota automatico. Uno dei componenti chiave d e l D U S , c o m e a b b i a m o precedentemente visto, è rappresentato dal desiderio di impegnarsi nell’uso di sostanze a causa dell’abitudine o il desiderio di aumentare la sensazione di momentanea piacevolezza, evitando quindi ogni forma e condizione di disagio. Uno degli obiettivi primari degli interventi basati sulla mindfulness che sono stati presi in esame, consiste nel portare l’attenzione focalizzata su tutto ciò che sta sorgendo nel momento presente (cioè desiderio, tristezza, dolore, ecc.), senza giudizio e senza la necessità di sopprimere o evitare attivamente quei sentimenti. La prevalenza degli studi considerati ha presentato r i s u l t a t i p o s i t i v i ed incoraggianti in quelle condizioni di DUS in comorbilità con a l t i l i v e l l i di depressione e sintomi d’ansia. Un altro risultato positivo riscontrato, sono stati gli effetti benefici che gli interventi basati sulla mindfulness hanno fatto registrare sulla reattività e sui bias di attenzione. Mitigare l’attenzione sostenuta e motivata sui segnali relativi alla sostanza, così come la reazione di un individuo a questi segnali, può rivelarsi uno degli aspetti più vantaggiosi proposti dalla mindfulness nel trattamento del disturbo d’uso da sostanza. Un ulteriore fattore che tali protocolli sembrano considerare è lo stress percepito. Molti dei protocolli esaminati hanno dimostrato che i partecipanti, al termine del percorso, avevano un controllo più consapevole e volontario delle situazioni stressanti che avrebbero potuto condurli, precedentemente, all’uso di sostanze.
Questi risultati potrebbero essere collegati al processo di consapevolezza non giudicante proposto in tutti i protocolli. (Korecki et al., 2020). Si spera che la ricerca futura possa fare m a g g i o r m e n t e l u c e s u q u e i c omp o r t ame n t i s o t t o s t a n t i l a consapevolezza, attraverso lo sviluppo e l’utilizzo di strumenti di valutazione a p p r o p r i a t i a d e t e r m i n a r e p i ù approfonditamente gli effetti degli interventi basati sulla mindfulness. Un elemento su c u i p o t r à essere approfondita la ricerca, sarà l’analisi più attenta della durata dei protocolli meditativi, valutando il periodo medio di pratica, efficace per la dismissione e la prevenzione delle ricadute. Molti degli attuali interventi basati sulla mindfulness seguono la struttura del protocollo MBSR originale sviluppato da Kabat-Zinn all’inizio degli anni ’80 con poche variazioni. L’intero campo della ricerca sulla consapevolezza trarrebbe beneficio dalla verifica delle variazioni rispetto all’intervento standard di otto settimane, inizialmente sviluppato per determinare l’appropriata risposta della meditazione in queste popolazioni cliniche.
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