L’illusione di ‘Riempire’: L’atto del Mangiare come nesso Simbolico tra Corpo, Cibo e Amore

di Valeria Bassolino

da Psicologinews Scientific

L’illusione di ‘Riempire’: L’atto del Mangiare come nesso Simbolico tra Corpo, Cibo e Amore

“Evitate di ingoiare bocconi fisici e
mentali che sono destinati a
rimanere corpi estranei del vostro
sistema.
Per capire ed assimilare il mondo,
dovete usare molto i vostri denti”.
F. Perls

scientific marzo 2

La funzione alimentare, per quanto essenziale, non è del tutto innata, ma ha bisogno di essere formata, e ciò equivale a dire che tale funzione può essere deviata dalla propria destinazione originaria, qualora la formazione in questione sia mal condotta. Dalle parole di A. Mindell: “Esiste un corpo inconscio, “un corpo che sogna” che è contemporaneamente corpo e sogno e indica la personalità globale con tutti i suoi canali. Chiamiamo “sintomo” i l segnale che giunge attraverso il corpo e “simbolo” quello che si manifesta attraverso il sogno”.

Fritz Perls, in “L’ Io, la fame e l’aggressività”, spiega come il bambino cominci ad acquisire autonomia già con la dentizione, quando può masticare e destrutturare da solo il cibo, assimilarlo e farlo proprio. In termini psicologici, il ‘destrutturare’ vuol dire scomporre l’esperienza, masticarla. In tal modo, è p o s s i b i l e a t t i v a r e un processo elaborativo interno che consente di non incorporare passivamente i messaggi genitoriali, ma di assimilarne le parti buone e rifutarne quelle cattive.

L’aggressività è intesa, in senso etimologico (adgredior), come energia dell’ ‘andare verso’ e afferrare, prendere, impossessarsi dell’esperienza. La rabbia, dunque, è l’emozione che ci permette di affrontare ciò che è pericoloso per noi o di respingerlo. Per questa ragione, la repressione della rabbia nel bambino gli impedisce di sfruttare energie vitali indispensabili. Il bambino, quindi, porterà alla bocca e inghiottirà tutto ciò che gli sembra ‘buono’, desiderabile, suscettibile di soddisfare i bisogni, rifiutando e sputando ciò che considera ‘cattivo’.

Nelle fasi iniziali della vita, quindi, nessuna altra funzione vitale svolge un ruolo importante nella crescita quanto l’alimentazione. Soddisfare la fame produce un sentimento di sicurezza e di benessere; nell’allattamento il bambino prova il primo sollievo dal disagio fisico, e il contatto ‘caloroso’ con la pelle della madre gli dà la sensazione di essere amato. Durante l ’ a l l a t t a m e n t o , sperimenta sensazioni piacevoli nella bocca, nelle labbra e sulla lingua, che poi cercherà di produrre, in assenza della madre, succhiandosi il dito. Così, le sensazioni di sazietà, di sicurezza e di amore sono indivisibili nelle prime esperienze del bambino.

Hilde Bruch sostiene che – quando la madre non risponde in maniera adeguata ai messaggi del figlio – questo perde ben presto la capacità di discriminare fame e sazietà. Vi sono madri che alimentano il proprio figlio tutte le volte che piange, perché sono incapaci di immaginare altri bisogni. Si sviluppa in tal modo il nesso simbolico in cui il cibo rappresenta amore, sicurezza e soddisfazione del bisogno; in questo caso, il cibo sarà utilizzato in maniera inadeguata ed esagerata allo scopo di risolvere tutti i problemi della sua esistenza.

In età adulta, quello che per alcune persone è un ‘buco nero’, per altre è un ‘vuoto incolmabile’ e mangiare diventa il modo per riempirlo e riempirsi, per non sentire il vuoto affettivo e relazionale circostante. Quando è una carenza affettiva ad aver segnato e caratterizzato l’infanzia, quando non si riesce a percepire il calore e l’amore di chi sta attorno, ingerire una grande quantità di cibo può essere un modo appreso per ‘scaldarsi’ e gratificarsi.

Se immaginiamo l’espressione della sofferenza che si sviluppa lungo un continuum che va dalla condizione ‘sana’ alla patologia, possiamo osservare manifestazioni d i d i s a g i o solo quantitativamente differenti; dalla ‘normalità’, ove sono sempre possibili fasi di sofferenza seppur episodiche o rivelate limitatamente nel tempo, fino ai Disturbi della Condotta alimentare.

H. Bruch afferma che i Disturbi della Condotta Alimentare sono espressione esterna di disagi inerenti al Sé, al senso di inadeguatezza e alla bassa autostima che successivamente, nelle fasi critiche di passaggio, arrivano a manifestare disturbi nella sfera alimentare. In genere, afferma, tali pazienti sono state bambine compiacenti, brave, obbedienti, che ad una certa età incominciano a diventare oppositive e ribelli.

L’Analisi Transazionale individua ingiunzioni del tipo: ‘Non essere te stessa’, ‘Non sentire’, ‘Non appartenere’ e Spinte del tipo: ‘Sii perfetta!’, ‘Sforzati!’, ‘Sbrigati!’. Si osserva, in questi casi, un Processo di Copione del tipo ‘finché’. Per esempio: ‘Finché non sarò magra non potrò essere felice’.

Schematicamente, di seguito sono r a p p r e s e n t a t e l e S p i n t e Comportamentali applicate al cibo: ‘Sii forte!’ diventa ‘Mangia anche ciò che non ti piace’ ‘Sii perfetta!’ diventa ‘Mangia solo ciò che ti fa bene’ ‘Compiaci!’ diventa ‘Mangia tutto quello che ti do, tutto quello che dico io’ ‘Sforzati!’ diventa ‘Mangia fino alla fine, anche se non ti va, non lasciare niente’ ‘Sbrigati!’ diventa ‘Mangia veloce, presto’

Secondo Renate Göckel, gli attacchi di fame, dal punto di vista simbolico, hanno varie valenze. Per esempio, dalle parole di alcune pazienti: ‘Devo tapparmi la bocca perché quello che ho da dire veramente potrebbe essere o risultare aggressivo o distruttivo, quindi minacciare il rapporto che ho in corso’. Oppure: ‘Ho bisogno di colmare il terribile vuoto che mi porto dentro e che identifico come sintomo di fame anche se so che non è così’. In altro modo: ‘Potrebbe servire a ‘placarmi’ in qualche modo sollevandomi momentaneamente dall’ansia di dover dare delle ragioni profonde per questo senso di sgomento e di scontentezza di me e degli altri’.

Anche sulla base di questi elementi, l ’ a u t r i c e r i t i e n e c h e i d i s t u r b i dell’alimentazione producono lo stesso risultato: creano distanza. I n f a t t i , “ L’ a n o r e s s i c a s i e r g e psicologicamente su tutti gli altri; la bulimica offre agli altri un’immagine di sé diversa dalla realtà, una sorta di finta facciata; l’obesa costruisce intorno a sé un’impenetrabile barriera protettiva”.

Sulla base delle sue osservazioni, queste donne non riescono a formulare richieste o rifiuti per paura di non essere più amate. Per questa ragione, mettono distanza tre sé e gli altri ed evitano che le persone si avvicinino. Hanno paura del contatto in tutti i sensi.

A tal proposito, fa esplicito riferimento alla loro difficoltà a lasciarsi andare alle emozioni, abilmente nascoste dietro la propria maschera. L’autrice chiarisce le tipiche idee che ricorrono nel dialogo interno delle sue pazienti affette da un disturbo della condotta alimentare. Tali idee, rigide, ‘universali’ ed assolute, sono:

•“Se fossi magra tutto sarebbe diverso”

•“Se fossi magra molti problemi sarebbero risolti di colpo”

•“Non devo deludere nessuno.”

•“Tutto deve sempre andare in fretta.”

•“E’ meglio lasciar perdere quel che non riesco a fare bene.”

•“Se non avessi i miei attacchi di fame la mia vita sarebbe a posto.”

•“E’ grave commettere un errore.”

•“E’ meglio andar sul sicuro piuttosto che correre un rischio.”

•“Una volta che inizio a mangiare non riesco più a smettere.”

•“E’ importante quel che pensa la gente.”

•“La cioccolata fa ingrassare, l’insalata fa dimagrire.”

•“Solo quando sarò magra potrò: praticare uno sport, fare una sauna, mostrarmi in costume da bagno, avere una relazione con un uomo, andare a ballare, flirtare con g l i uomini, indossare pantaloni vistosi, andare in vacanza da sola, chiedere un aumento, dire di no quando sono s o v r a c c a r i c a , s b o c c i a r e sessualmente, essere egoista, vivere secondo i miei gusti, guidare una m o t o c i c l e t t a , competere con le altre donne, dire di no alle offerte, cercare un nuovo lavoro, trovarmi un altro uomo, andare in una bettola, andar fuori a mangiare da sola.”

•“Finché sarò grassa non posso permettermi si essere egoista perché devo compensare la mia grassezza.”

•“Finché sarò grassa devo essere contenta se qualcuno è disposto ad avere a che fare con me.”

Appare chiaro, dunque, come la repressione forzata dei sentimenti e delle emozioni generi, oltre che sofferenza psicologica, sintomi fisici. In questo senso, la psicoterapia della Gestalt ha rappresentato una risposta all’obiettivo di ricercare il senso del bisogno emergente all’interno della relazione.

“Considerando il disagio psichico come un disturbo della competenza relazionale che si esprime nelle diverse interazioni, la psicoterapia della Gestalt ritiene che esso possa essere risolto solo all’interno di una relazione in grado di ripristinare la spontaneità dell’organismo. Spontaneità che va ricercata nell’esperire la relazione, nella modalità di fare, o non fare, contatto”.

Se il comportamento umano è inteso come ‘tensione per il contatto’, la sofferenza delle manifestazioni iperfagiche può essere vista come conseguenza della mancanza di tale contatto.

È possibi le indagare la modal i tà relazionale che sta alla base del disturbo, ricercando nel qui ed ora come tale modalità si presenti, e come questa si ripeta di fronte agli eventi quotidiani.

“L’idea non è tanto comprendere i perché della sofferenza ed affrontarli, quanto lavorare sul come da questa sofferenza emerga, nel presente, una modalità comportamentale così disfunzionale. […] Per fare ciò, l ’ o s s e r v a z i o n e fenomenologica rappresenta uno strumento quanto mai adatto. Essa si traduce nello stare, con consapevolezza, al confine di contatto, là dove l’esperienza si crea e, nello starci, giungere alla ‘novità’ dell’esperienza nel momento stesso in cui essa si genera, essendone parte”.

In questo senso, dalle parole di Margherita Spagnuolo Lobb, il cibo, in quanto sostituto di un ‘Tu’ inarrivabile, diventa oggetto da introiettare, e l’eccitazione verso un ‘Tu’ reale si interrompe. Il bisogno non è soddisfatto né riconosciuto, e il cibo introdotto non è assimilabile, perché non realmente desiderato e perché ingoiato senza alcuna elaborazione.

Schematizzando, il ciclo di contatto si può così osservare: Bisogno → Eccitazione → Mancanza di sostegno → Vuoto → Cibo → Blocco dell’eccitazione → Bisogno → …

Secondo il modello del Ciclo di Contatto così come analizzato da Spagnolo Lobb, quindi, la difficoltà è soprattutto nella sotto-fase immediatamente successiva a quella di pre-contatto (orientamento), cioè quando dovrebbero iniziare a portare a termine un’azione con un obiettivo specifico. Ciò che accade è che l’Organismo interrompe il contatto e applica le varie resistenze (confluenza, introiezione, proiezione, retroflessione ed egotismo).

Obiettivo terapeutico auspicabile, dunque, riguarda i l ricontattare l’eccitazione collegata al bisogno e re-indirizzarne l’energia; far emergere un’aggressività sana che dia la possibi l i tà al paziente di poter destrutturate gli stimoli in arrivo, chiedere all’ambiente e fornire un sostegno del campo. E’ in tal senso, quindi, che non sono funzionali indicazioni, spiegazioni e strategie, ma “il terapeuta deve arretrare sullo sfondo per evitare di essere egli stesso introiettato e lasciare che il paziente avanzi nel campo, diventando figura”.

Il fine ultimo è quello di far riemergere il bisogno inibito, “Favorire lo sviluppo dei denti, rendendo cosciente l’impazienza, che poi diviene fastidio e si trasforma in aggressività. Il volere tutto e subito, il ‘Sette chili in sette giorni’, deve trasformarsi in paziente masticazione del cibo fisico e psicologico”. Lo stesso Fritz Perls, chiarisce a questo proposito che “Il cibo in psicoterapia della Gestalt è la metafora dell’Altro e della relazione con l’Altro”.

L’abbuffata, il vomito o i sintomi alimentari vengono l e t t i dunque all’interno della dialettica ‘lo-Tu’ come espressione di una particolare modalità di contatto con l’Ambiente. “I soggetti con disturbi del circuito anoressico-bulimico, attraverso l’abbuffata e il vomito o dicendo no al cibo, rifiutano l’Altro in quanto hanno sperimentato, sin dai primissimi anni di vita, un’insufficiente fiducia nella relazione e in ciò che ‘proviene’ dall’esterno: non riescono a fidarsi di tutto ciò che proviene dalla realtà esterna poiché il loro vissuto personale, a livello evolutivo, fu […] troppo poco sostenuto da importanti figure di riferimento, o scalfito per inaffidabilità e contraddittorie affermazioni”.

In proposito, Spagnuolo Lobb riprende la riflessione sul ruolo della dinamica relazionale nella sofferenza legata alle modalità apprese, osservate nelle donne iperfagiche. “Le loro intenzioni ed esperienze precoci si sono fatalmente incontrate con le reazioni ‘confuse’ delle figure di riferimento e di conseguenza essi esperiscono la ‘vicinanza’ dell’Altro con diffidenza e temono continuamente che qualcuno possa ingannarli e imbrogliarli (ed invaderne i confini). Questi soggetti si declinano nel mondo come se fossero angosciati da un Ambiente inaffidabile (e invasivo) da cui vorrebbero allontanarsi per acquisire autonomia: si dibattono oscillando drammaticamente tra l’angoscia di essere risucchiati dall’Altro e il bisogno di essere in relazione con l’Altro”.

L’obiettivo terapeutico più rilevante, per lei “[…]è quello di sperimentare confini più solidi, idonei all’energia che sperimentano. La relazione terapeutica è dunque vissuta come esperienza di contenimento”.

La ricerca di una cura ha visto le persone divenire soggetti sempre più passivi e vittime di un sistema che, se da una parte fornisce grossa pressione nella direzione del ‘Prendersi cura di sé’, dall’altra non garantisce un adeguato sostegno a chi non ne ha ancora compreso il ‘come’.

E’ possibile individuare delle linee di i n t e r v e n t o s u b a s e a n a l i t i c o transazionale:

•Un aspetto fondamentale riguarda l’alleanza: in un percorso con tali pazienti non ci si può focalizzare troppo presto sul contratto, in quanto in questi casi, esso diventa un punto di arrivo. Si tratta, infatti, di pazienti che si avvicinano alla terapia in maniera ambivalente e quasi mai scelgono autonomamente di fare terapia, per cui è fondamentale non avere f r e t t a e lavorare a lungo sull’alleanza terapeutica, perché quello che per gli operatori è un s i n t o m o , p e r i p a z i e n t i rappresenta l’unico mezzo che permette l’integrazione. Bisogna, quindi, fare attenzione a non colludere con la Spinta ‘Sbrigati’.

•N e l m o d e l l o d i A n a l i s i Transazionale, il terapeuta non si interessa del peso o della dieta, anche se non è del t u t t o disinteressato. Infatti, ciò che v e n g o n o c o n s i d e r a t i comunemente sintomi della malattia rappresentano, al tempo stesso, ‘la loro salvezza’. Insistere sul cambiamento del peso corporeo, così come fanno i genitori, ostacola fortemente l’alleanza terapeutica.

•Bisogna accogliere il silenzio di certi pazienti: si dice che c’è un equazione tra il parlare/non parlare e mangiare/non mangiare e, quindi, accettare questo silenzio iniziale del non vedere c a m b i a m e n t i e contemporaneamente non avere u n a f o r t e r i c h i e s t a d i cambiamento.

•Si possono usare tutte le tecniche berniane: Illustrazione e Spiegazione soprattutto.

•B i s o g n a u s a r e p o c o l’interpretazione, soprattutto riguardo ai conflitti interni. Infatti, le interpretazioni di paure e des ider i incons c i vengono esperite dalla paziente come una ripetizione della storia della sua vita; ‘qualcun altro’ le sta dicendo quello che lei realmente sente, mentre la sua esperienza viene minimizzata e invalidata. Al contrario, il terapeuta deve essere interessato a ciò che lei pensa e sente, per mostrarle che ha diritto ad essere una persona autonoma e ad avere le proprie idee riguardo alla sua malattia.

•Tali pazienti utilizzeranno l’identificazione proiettiva facendo, così, provare al terapeuta ciò che provano loro (Identificazione Complementare). È importante controllare il controtransfert per identificare le sensazioni di i m p o t e n z a , f a l l i m e n t o , eccitamento, possesso, etc che essi suscitano. Bisogna operare l’Analisi del controtransfert sia Funzionale (in quale Stato dell’Io sono?) sia Storica (Cosa mi sta facendo vivere?). Per questa ragione, è preferibile che ad occuparsi del problema del peso sia un operatore diverso dal terapeuta.

•Bisogna, poi, evitare e stare attenti sia all’Identificazione C o n c o r d a n t e c h e a l l ’ I d e n t i fi c a z i o n e Complementare, che implicano il fallimento della terapia.

•Va fatto un uso controllato della confrontazione, in quanto tali pazienti non la reggono a sufficienza.

•È utile sottolineare gli aspetti positivi che riguardano la paziente e il suo vissuto.

•Tenere un setting rigido su orari, sedute mancanti, etc.

•Fare attenzione alle distorsioni cognitive: bisogna educare pedagogicamente alle emozioni, spiegare proprio cosa sia la rabbia, cosa la tristezza, il dolore, la felicità, perché esse a livello propriocettivo (B0) hanno un difetto di traduzione delle tensioni, di confluenza, non riconoscono le e m o z i o n i , n o n l e s a n n o individuare e le trasformano tutte i n f a m e , i n b i s o g n o d i r i e m p i m e n t o . A n c h e s e quest’ultimo aspetto è molto evidente nel mondo bulimico, è anche presente nel mondo delle anoressiche.

In ultima istanza, è interessante capire qual è il meccanismo che spinge queste donne a chiedere aiuto e a decidere di modificare spesso radicalmente la propria vita. Renate Göckel lo racconta così:

“Un giorno […] arriva il cosiddetto ‘ultimo avvertimento’. […] A questo punto molte donne sono pronte a mettere in discussione la propria esistenza fino a quel momento. E’ l’inizio della ‘svolta’. Imparano a trattare se stesse e la propria vita in modo diverso. Lentamente e con cautela imparano ad usare i gomiti e la voce in modo da farsi ascoltare”.

BIBLIOGRAFIA

Bruch I., Disturbi della Condotta Alimentare. Feltrinelli, Milano

Cuzzolaro M., Anoressie e bulimie. 2004. il Mulino, Bologna

A cura di Antonio Ferrara e Margherita Spagnuolo Lobb. Le voci della Gestalt. S v i l u p p i e i n n o v a z i o n i d i una psicoterapia. Franco Angeli, Milano, 2008