L’oggetto transizionale nella pratica quotidiana
Donald Winnicott nel 1951 teorizzò l’oggetto transizionale, identificandolo come uno strumento importante per lo sviluppo fisico, mentale e relazionale del bambino.
L’esempio più famoso di oggetto transizionale ci è offerto da uno dei personaggi dei Peanuts di Schultz: Linus e la sua inseparabile copertina.
L’autore definisce l’oggetto transazionale come un’area di transizione in cui il bambino acquista consapevolezza del mondo che lo circonda.
Pian piano, il bambino separa il me dal non-me, non è più fuso con l’ambiente esterno, ma ne comincia a percepire i confini.
Verso la fine del primo anno di vita, quindi, il bambino sviluppa una forma di attaccamento nei confronti di qualche oggetto che non è disposto a cambiare con nessun altro e che appartiene comunque al suo ambiente circostante.
In concreto, l’oggetto transizionale può essere rappresentato da qualsiasi oggetto, quali una bambola, il ciuccio, il lembo di una coperta, o un orsacchiotto.
Il potere magico di cui è investito l’oggetto può essere compreso esclusivamente dal soggetto che lo ha scelto. Spesso i genitori si ritrovano di fronte a dei pianti inconsolabili dei loro figli, in assenza di esso.
Il ciuccio, preso ad esempio di oggetto transazionale, è un sostituto affettivo per alleviare il senso di disagio scaturito dalla prolungata assenza della madre, per superare momenti di ansia e inquietudine.
Il ruolo dell’oggetto scelto è, quindi, fondamentalmente, quello di alleviare la paura di sentirsi solo, offrendo calore, conforto e un senso di sicurezza.
Grazie ad esso, il bambino, infatti, comincia ad avere un mondo interno, fatto di pensieri, emozioni e ricordi, costruendo una forma di fiducia di base interiore.
I fenomeni transizionali possono essere riscontrabili anche nella vita adulta: si manifestano infatti nell’attività ludica, nella creazione artistica, nella religione e nel sogno. Costituiscono, di conseguenza, espedienti di collegamento tra la realtà esterna e il mondo interno.