Mare: stupore, psicologia e poesia
Lorenzo Rodella
Le vacanze estive sono, nell’immaginario comune di moltissimi italiani, indissolubilmente legate al mare. Quell’immensa distesa d’acqua salata, come ebbe a dire Jacques-Yves Cousteau, “[…] once it casts its spell, holds one in its net of wonder forever”1. Gli occhi che incontrano per la prima volta l’infinito, liquido, corrispettivo del cielo, difficilmente ne potranno, da quel momento in poi, farne a meno. Ogni senso partecipa a questa simbiosi con l’elemento acqua: il suono delle onde, con la loro tipica cadenza; la vista dell’azzurro, del blu, del verde; il profumo di iodio; il sale e la sabbia sulla pelle; il gusto – salato appunto – che ci ritroviamo in bocca. La bellezza che il mare ci regala – un presente che mi sento di comparare, per caratteristiche, a quello dell’arte o dell’amore – aumenta la nostra salute psico-fisica (Overbury et al., 2023; Severin et al., 2022; White et al., 2020); in parole povere, ci fa stare meglio. Paesaggi verdi e altre distese d’acqua non marina – o entrambe le cose – sembrano fare qualcosa di simile (Ibidem); tuttavia, credo che, anche se de gustibus non disputandum est, molti lettori converranno con me sul carattere elitario del mare – e, forse, di qualche mare in particolare – nell’emersione dell’esperienza sanificatrice di mente e corpo, che l’acqua – in tutte le sue declinazioni – porta con sé. Sebbene ogni specchio e corso d’acqua abbia, senza ombra di dubbio, un suo fascino – penso, ad esempio, ad alcuni laghi di montagna, come il Lac Vert (Lago Verde) in Valle Stretta, una vallata della Val di Susa, la cui bellezza è elevata dal panorama montano circostante –, l’unicità del mare lo rende insostituibile e, per un torinese d’origine come il sottoscritto, un desiderio da voler esaudire il prima possibile, più volte possibile. Senza nulla togliere all’acqua dolce, la sensazione – di tutti e cinque, anzi sei, i sensi – dell’acqua salata è alia, un’altra cosa, è un trasportarsi altrove, uno svuotamento, totale, della mente. Il mare stanca perché non siamo abituati a quella pace, a quel cullare così dolce, a quella vita così viva. Archetipicamente legato alla vita e alla nascita, il mare ci affascina e ci intimorisce, con le sue profondità, ancora oggi, in gran parte inesplorate. In una scissione di intenti, metafora dell’intera esistenza, la sicurezza della riva e dell’acqua bassa lascia a volte il posto alla volontà di esplorare, in acque meno sicure, il cui fondo può essere solo intravisto o immaginato. Come scrisse la grande poetessa
Emily Dickinson in una lettera diretta ad Abiah Root: “The shore is safer, Abiah, but I love to buffet the sea – […]”2. Il potere immaginifico del mare fa sì che quest’ultimo appaia, in maniera più o meno preminente, sotto le più svariate – diverse e uguali allo stesso tempo – fattezze, nelle opere di molteplici artisti del passato e del presente: dipinti, poesie, prose, sculture. E non si può che rispondere al richiamo del mare, come se l’acqua in grande quantità attirasse, con forza gravitazionale, quella contenuta in noi. Forse, nell’ora del trapasso, questa attrazione si fa ancora più forte, e diventa un augurio, una speranza, come nella poesia di Masefield, Sea Fever: “[…] is a wild call and a clear call that may not be denied; / and all I ask is a windy day with the white clouds flying, / and the flung spray and the blown spume, and the sea-gulls crying. […]”3. L’inconscio – psicoanalitico – ha le caratteristiche del mare (vedi, ad esempio, Jung, 2012): la sua imprevedibilità, la sua difficile piena comprensione, la sua inesauribile vitalità. In quel moto, ora pacato, ora furioso, si ritrovano i moti dello spirito, l’alternarsi delle emozioni – la cui natura è, almeno in prima battuta, inconscia. E, badate bene, non si tratta di antropomorfizzare il mare, anzi, piuttosto il contrario: gli affetti sono quanto di più vicino ai primordi della vita cosciente possa esserci, ciò che ci lega indissolubilmente agli altri animali non umani (cfr. Panksepp & Biven, 2014). Il mare diventa così, idealmente, una metafora, un simbolo – come già detto in precedenza –, della vita stessa.
1 “[…] una volta lanciato il suo incantesimo, ti terrà per sempre nella sua rete di meraviglia”.
2 “La riva è più sicura, Abiah, ma a me piace combattere con il mare – […]”.
3 “[…] è un richiamo alto e selvaggio a cui non si resiste; / e non chiedo altro che un giorno di vento, e nuvole in volo, / e l’aria fitta di gocce e spuma, e il richiamo dei gabbiani. […]”.
Riferimenti
Jung, C. G. (2012). Simboli della trasformazione (trad. it.). Bollati Boringhieri. (Volume originale in lingua tedesca; Prima pubblicazione: 1952).
Overbury, K., Conroy, B. W., Marks, E. (2023). Swimming in nature: A scoping review of the mental health and wellbeing benefits of open water swimming. Journal of Environmental Psychology, 90, 102073. https://doi.org/10.1016/j.jenvp.2023.102073.
Panksepp, J., & Biven, L. (2014). Archeologia della mente: Origini neuroevolutive delle emozioni umane (trad. it.). Raffaello Cortina. (Volume originale in lingua inglese; Prima pubblicazione: 2012).
Severin, M. I., Raes, F., Notebaert, E., Lambrecht, L., Everaert, G., & Buysse, A. (2022). A Qualitative Study on Emotions Experienced at the Coast and Their Influence on Well-Being. Frontiers in psychology, 13, 902122. https://doi.org/10.3389/fpsyg.2022.902122
White, M. P., Elliott, L. R., Gascon, M., Roberts, B., Fleming, L. E. (2020). Blue space, health and well-being: A narrative overview and synthesis of potential benefits. Environmental Research, 191, 110169. https://doi.org/10.1016/j.envres.2020.110169.