Media Digitali: tenere fuori dalla portata dei bambini

di Angela Atzori

media digitali bambini

Introduzione


In seguito allo sviluppo tecnologico degli ultimi anni, in Italia, come del resto, nel mondo intero, si assiste ad un incremento della diffusione di tablet, smartphone, pc, tv dallo schermo digitale e altro.
Considerando i dati forniti dall’ISTAT (2018) grazie alla ricerca effettuata da un Gruppo di lavoro congiunto Istat-FUB (Fondazione Ugo Bordoni), si osserva che se nel 1997, la percentuale di italiani che possedeva un cellulare era piuttosto esigua, pari al 27,3% , nel 2016 era notevolmente incrementata raggiungendo il valore del 95% . In base ai dati forniti da una ricerca pubblicata in PEW RESEARCH CENTER (2018) si ha la conferma che la tecnologia mobile si è diffusa rapidamente in tutto il mondo e si stima che oggi più di 5 miliardi di persone dispongano di dispositivi mobili e oltre la metà di queste connessioni sono smartphone. Nello specifico in 18 economie avanzate intervistate, dispone di smartphone una mediana del 76%, rispetto a una mediana di solo il 45% nelle economie emergenti.
Come sostiene la pediatra Jenny Radesky (2016) l’innovazione tecnologica ha trasformato i media ed il loro ruolo anche nella vita dei neonati e dei bambini piccoli tanto che sono sempre di più quelli che utilizzano quotidianamente le nuove tecnologie, persino nelle famiglie economicamente svantaggiate. I bambini di oggi di conseguenza hanno un accesso ai media digitali che è sicuramente maggiore rispetto a qualsiasi generazione precedente. Nella ricerca condotta da Dominigues e Montanari nel 2017, la maggior parte dei bambini aveva iniziato ad utilizzare i media digitali prima di un anno di età e a due anni di età la maggior parte dei bambini utilizzava quotidianamente un dispositivo mobile. Dallo studio condotto da Kabali HK e colleghi (citati in
Beena Johnson, 2020) che includeva 422 genitori di bambini di età compresa tra 1 e 60 mesi, è emerso che il più giovane ad utilizzare un dispositivo mobile, aveva addirittura 6 mesi.
L’uso pervasivo di questi media coinvolge dunque tutti i bambini, anche quelli in età precocissime, inferiori ai due anni di vita. Questo aspetto della realtà che sta diventando una normalità, quasi o ormai consolidata, è sotto gli occhi di tutti: quanti di noi infatti possono affermare di non aver mai visto un bimbo, magari di due anni o anche meno, intento a fare tap su uno smartphone, su un tablet, oppure completamente concentrato di fronte alla tv mentre i genitori o chi per loro si dedicano ad altro?
Secondo Cubelli e Vicari (2016) per molti genitori questi strumenti digitali sono utili per impegnare, distrarre, accudire i loro figli e per dedicarsi al lavoro o agli altri compiti domestici.
Ma quali effetti hanno sullo sviluppo cognitivo, linguistico, emotivo-affettivo del bambino? Quali sono le conseguenze per le condizioni di benessere e di salute?
Queste domande sono oggetto di interesse da diverso tempo della comunità scientifica. Psicologi, pediatri, neuropsichiatri ed altri esperti dello sviluppo infantile, si interrogano e orientano i loro studi in modo sempre più attento e profondo sull’impatto di tablet, smartphone ed altri dispositivi a schermo digitale ( non solo quindi della tv), sulla salute e sullo sviluppo degli infanti da 0 a 6 anni concentrandosi in alcuni casi nello specifico nella fascia d’età inferiore ai due anni.
Già nel 1999 l’American Academy of Pediatrics (AAP) aveva emesso delle raccomandazioni sui media (in quel caso ci si riferiva alla tv) scoraggiandone caldamente l’utilizzo in particolare da 0 a 2 anni e consegnava ai pediatri il compito di discutere con i genitori, durante le visite di mantenimento della salute/benessere dei piccoli, i “media limits”, ossia di stabilire dei limiti proprio sul loro uso in quella fascia di età (Brown, 2011). I motivi sottostanti a tale raccomandazione, risiedevano nel fatto che l’AAP sosteneva che ci fossero potenzialmente più effetti negativi in questa fascia di età, rispetto a quelli positivi. Uno studio longitudinale condotto da Zimmerman e Christakis, (2005) constatava che la visione della tv prima dei 3 anni aveva modesti effetti negativi sullo sviluppo cognitivo e dunque gli autori, suggerivano una maggior aderenza alle linee guida dell’AAP secondo cui i bambini di età inferiore ai 2 anni non dovrebbero guardare la tv.
Nelle nuove raccomandazioni dell’AAP (2016) è messo nero su bianco di evitare qualsiasi tipo di media digitali (a parte videochat) nei bambini di età inferiore ai 18 mesi e dai 18 ai 24 mesi si raccomanda un uso limitatissimo selezionando con accuratezza i contenuti da vedere solo in presenza di un adulto, evitando perciò che i bambini utilizzino i media in totale autonomia e solitudine. Mentre dai 2 ai 5 anni si raccomanda di limitare l’uso dello schermo a massimo un’ora al giorno, sempre sotto la supervisione del genitore, purché la scelta ricada su contenuti di alta qualità (Radesky, 2016).
Anche l’OMS allo stesso modo, nelle nuove linee guida del 2019 inerenti l’attività fisica, il comportamento sedentario e il sonno per i bambini sotto i 5 anni, raccomanda il divieto assoluto degli schermi per i bambini da zero a due anni e per quelli della fascia di età 2-4 anni raccomanda di non lasciarli mai per più di un’ora al giorno a guardare schermi televisivi o di altro tipo come smartphone o tablet.
È evidente che negli ultimi anni si assiste ad un incremento (seppur ancor contenuto) degli studi sugli effetti che seguono ad un’esposizione precoce ai diversi dispositivi digitali. Sebbene la letteratura internazionale si sia concentrata essenzialmente sulla tv, poiché diffusa da più tempo rispetto a tablet, smartphone, computer, ha fornito molte informazioni sull’ impatto di uno schermo sullo sviluppo cognitivo. Alla luce di ciò, e come suggerisce Anderson (2017) poiché l’esperienza di guardare tv è simile a quella degli altri strumenti digitali, è possibile basarsi anche su queste ricerche.

Rischi per lo sviluppo e la salute


Prima di elencare gli effetti negativi conseguenti all’esposizione ai media digitali, è importante sapere che la comprensione sostanziale della televisione con contenuti diretti ai bambini, non compare prima dei due anni di età e che in questo periodo essi imparano più da presentazioni di vita reale che dal video (Anderson, 2017). I neonati e i bambini molto piccoli hanno difficoltà a trasferire il nuovo apprendimento da uno schermo, che è una rappresentazione in 2D, alla vita reale che è invece una rappresentazione 3D (Beena Johnson, 2020). La ricerca di Anderson del 2005 (citato in Stephanie Pappas, 2014) ha messo in luce che la visione televisiva non è riuscita costantemente ad insegnare ai bambini di due anni, quanto l’interazione dal vivo.
Secondo Anderson (2017) la visione dei dispositivi a schermo digitale dovrebbe essere negata nell’età inferiore ai due anni perché presenta associazioni perlopiù negative soprattutto per il linguaggio e le funzioni esecutive. Per i bambini di età prescolare, si riscontra ugualmente un impatto negativo. L’impatto può essere positivo solo con la visione di programmi di tipo educativo. È stato affermato che i mass media per i bambini favoriscono un lassismo di pensiero, riducono le competenze cognitive e competono con attività più produttive dal punto di vista dello sviluppo (ibidem). L’impatto negativo dei media digitali sul linguaggio è stato confermato altresì da Brown (2011), il quale illustra che, sebbene gli effetti a lungo termine dell’impatto dei media sulle abilità linguistiche, siano ancora sconosciuti, non lo sono quelli a breve termine e anzi come lo stesso Brown defisce, sono “preoccupanti”: I bambini di età inferiore a 1 anno e 2 anni che guardano più tv o video, hanno ritardi nel linguaggio espressivo.
Anche gli studi di Radesky (2016) hanno mostrato associazioni tra visione eccessiva della tv nella prima infanzia e ritardi linguistici, cognitivi sociali ed emotivi, probabilmente secondari anche alla diminuzione di interazione genitore-figlio. Inoltre secondo la pediatra (ibidem) un’età più precoce di inizio di fruizione dei media, maggiori ore cumulative di utilizzo, contenuti non educativi, sono tutti predittori significativi di scarso funzionamento esecutivo nei bambini in età prescolare. Chassiakos e colleghi (citati in Cannoni, Scalisi e Giangrande, 2018) hanno dimostrato che trascorrere molte ore davanti alla tv in età precoce possa indurre problematiche cognitive linguistiche emotive e sociali, per una ridotta interazione tra pari e con i genitori.
Nello studio condotto da Cannoni, Scalisi e Giangrande (2018) che ha coinvolto 473 genitori, si è indagato l’uso quotidiano dei dispositivi mobili (in particolare tablet e smartphone) in bambini di
5-6 anni ed è emerso ad esempio che più della metà degli utilizzatori occasionali ha iniziato ad utilizzare i dispositivi digitali tra i 4 e i 5 anni, mentre la maggioranza degli utilizzatori abituali, ha iniziato in età più precoci, inferiori ai due anni. Dunque da questi dati sembrerebbe che i bambini che utilizzano i media digitali prima dei due anni, avrebbero maggiori probabilità di diventare degli utilizzatori abituali negli anni successivi. Come confermato da un’altra ricerca: “L’esposizione a schermi digitali durante la prima infanzia può creare assuefazione e può portare ad un uso eccessivo nella vita futura” (Beena Johnson, 2020).
Un recentissimo studio di coorte condotto da Haffler e colleghi nel 2020 e pubblicato su Jama Pediatrics, ha esaminato l’associazione tra esperienze social media e digitali, fattori perinatali e i fattori demografici, nei primi 18 mesi di vita, e ha scoperto che l’esposizione alla tv o ad altri schermi, portavano ad una minore interazione genitore-figlio ed erano associati a maggiori sintomi simili al disturbo dello spettro autistico (ASD), di contro, una minore esposizione ai media digitali e una maggior interazione caregiver-bambino basata sul gioco, erano associati a una minor presenza di sintomi di ASD a 2 anni di età. A fronte di questa ricerca, e pur suggerendo la necessità di ulteriori studi indirizzati alla valutazione dei fattori esperienziali nei primi anni di vita e della successiva diagnosi di Disturbo dello spettro autistico, Haffler e colleghi suggeriscono che i pediatri
istruiscano a fondo i genitori sulle raccomandazioni dell’American Academy of Pediatrics per evitare la visione degli schermi digitali nei bambini di età inferiore ai 18 mesi.
Anche lo studio condotto da Hermawati D. e colleghi nel 2018 (citato in Beena Johnson, 2020), suggerisce che l’aumento del tempo trascorso davanti allo schermo nei neonati e nei bambini piccoli è associato a comportamenti autistici oltre che a iperattività, ridotta capacità di attenzione e irritabilità. Altri studi suggeriscono un possibile legame tra ADHD (Disturbo da deficit di attenzione e iperattività) e una esposizione precoce ad uno schermo (Brzozowaska & Sikorska, 2016). La ricerca di Cho e Lee (2017) ha evidenziato in bambini prescolari che utilizzano abitualmente lo smartphone, una maggiore tendenza verso comportamenti di isolamento e carenze nell’intelligenza emotiva.
L’uso dei media inoltre è stato associato a obesità, problemi del sonno, comportamenti aggressivi e problemi di attenzione nei bambini di età prescolare e scolare (Brown, 2011). Un recente studio su bambini di 2 anni ha scoperto che l’ICM (Indice di massa corporea) aumentava per ogni ora settimanale di fruizione dei media. L’aumento della durata dell’esposizione ai media e la presenza di un televisore in camera nella prima infanzia specie se avviene nelle ore serali, sono associati ad una quantità di sonno notturno più breve, in quanto sembrerebbe che la luce blu degli schermi riduce la produzione della melatonina endogena, utile proprio nel conciliare il sonno (Radesky, 2016).

Impatto dei media digitali sulla relazione genitore-figlio


Varie ricerche hanno messo in evidenza come il mondo digitale stia impattando negativamente nella continuità comunicativa e affettiva del bambino col caregiver. Brown (2011) ha individuato che per ogni ora di televisione che un bambino di età inferiore ai 2 anni, guarda da solo, trascorre altri 52 minuti di tempo in meno, interagendo con un genitore o un fratello e che senza schermi televisivi i bimbi ascolterebbero più i discorsi da adulti e parlerebbero di più. È plausibile ipotizzare dunque che in assenza di qualsiasi altro dispositivo digitale il bambino sarebbe ancor di più focalizzato sul caregiver. Secondo Anderson (2017) la televisione in background (ossia in sottofondo) interrompe il gioco prolungato dei bambini di 12 e 24 mesi e riduce la qualità e la quantità delle interazioni genitore-figlio fondamentali per lo sviluppo delle abilità cognitive, in particolare del linguaggio e delle funzioni esecutive (cioè memoria, attenzione, problem solving, ecc). In particolare è stato riscontrato (ibidem) che quando la televisione è accesa, i genitori parlano meno ai loro bambini e la qualità della comunicazione è povera. Il minor coinvolgimento dei genitori è conseguente anche all’utilizzo degli altri media interattivi, come gli smartphone.
Radesky (2016) conferma che l’uso intensivo dei media da parte dei genitori, è associato a minori interazioni verbali e non verbali tra genitori e figli. Lo smartphone, ad esempio, quando è usato dal genitore, cattura completamente la sua attenzione, togliendo di fatto al piccino quell’insieme di continui feedback e scambi interattivi che sono fonte di apprendimento e di acquisizione della capacità di autoregolazione (Cassibba e Coppola, 2016). Capita che le madri mentre allattano usano il cellulare (brexting),(Genta, M. L. 2021), facendo venire meno tutto quell’insieme di esperienze visive che giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo sociale ed emotivo nel primo anno di vita. Come afferma Schore (2003) infatti, l’espressione del volto della madre, rappresenta in assoluto lo stimolo più potente nell’ambiente di vita del bambino e l’intenso interesse che il bambino mostra sin da subito in particolare per gli occhi della madre, lo spingono a ricercarlo e a lasciarsi coinvolgere in periodi prolungati di sguardi reciproci. Secondo Schore (ibidem) le interazioni vis a vis anche brevi forniscono ai bambini elevati livelli di informazioni cognitive e sociali. Considerando che la crescita post-natale del cervello è influenzata da eventi a livello intra e interpersonale, quali le esperienze di attaccamento, ossia le interazioni faccia a faccia e che il volto della madre è
importante perché innesca elevati livelli di oppiacei endogeni nel cervello in crescita del bambino che determinano la qualità piacevole dell’interazione sociale, è più che comprensibile quale impatto negativo abbia l’assenza di sguardi materni nei confronti del proprio piccolo.
Le ricerche evidenziano come a causa di smartphone, tv, tablet e gli altri strumenti digitali, la relazione madre-figlio passi in secondo piano e anzi venga addirittura sostituita dalla “relazione” media digitale-figlio. Eppure in letteratura diversi Autori (Freud, Klein, Winnicot, Bowlby, Stern, solo per citarne alcuni) hanno per anni dibattuto sull’importanza del ruolo della madre (o chi per essa) nello sviluppo del bambino. In particolare Bowlby (1969), con la “Teoria dell’Attaccamento” metteva in luce che la madre fosse fondamentale ai fini dello sviluppo della competenza sociale e dell’autonomia del piccolo. Di contro sosteneva che deprivazione materna o discontinuità nella relazione del piccolo col caregiver potessero generare diversi disturbi, come ad esempio di personalità (Bowlby, 1973). “è essenziale per la salute mentale che il bambino faccia esperienza di una relazione continuativa, intima, calda con la propria madre (o con un sostituto di madre che si ponga come figura materna permanentemente) nella quale entrambi trovino soddisfazione e gioia” (Bowlby, 1951: trad. it. 1980, p. 8).
L’esplosione delle ricerche nel campo delle neuroscienze condotte nella “decade del cervello” a partire dal 1994 hanno inoltre permesso di evidenziare il ruolo fondamentale delle relazioni di attaccamento sulla struttura e sul funzionamento del cervello. Secondo Schore (2003) la neurobiologia ha stabilito che il cervello infantile sia proprio programmato per essere modellato dall’ambiente che incontra che essendo mediato dalla figura di riferimento primaria (la madre o chi per essa) influenza la formazione finale dei circuiti del cervello infantile. Lo stesso (ibidem) illustra in modo dettagliato, la funzione fondamentale delle prime relazioni affettive e comunicative sull’organizzazione dell’emisfero destro nel cervello del bambino, che è fondamentale non solo per la gestione dello stress ma anche per la futura capacità di attenzione e di empatia. Secondo Siegel (1999) è proprio all’interno del contesto interpersonale madre-figlio che avviene lo sviluppo del cervello, che il cervello giovane apprende dal cervello più vecchio. È all’interno di questa relazione che le connessioni relazionali diventano connessioni neuronali.

Impatto positivo dei media digitali: è possibile?


Secondo Anderson (2017) una volta stabilità la comprensione, la tv e gli altri media digitali, possono cominciare ad influenzare la conoscenza del bambino e quindi lo sviluppo cognitivo più in generale. Questa comprensione si svilupperebbe dapprima a partire dai 2 anni e mezzo, solo verso i programmi specifici per i bambini piccoli, per poi aumentare ed estendersi gradualmente fino ai 12 anni, verso i programmi tv più complessi.
Secondo Brown (2011) la ricerca ha scoperto che solo alcuni programmi di alta qualità hanno effetti benefici nei bambini di età superiore ai due anni questo perché per essere utili i media, devono essere comprensibili e i bambini devono possedere capacità attentive. Inoltre sempre secondo Brown (2011) i bambini con di età dai 2 anni in su hanno difficoltà a discriminare tra gli eventi su un video e le stesse informazioni presentate da una persona dal vivo. Si presenta inoltre quello che viene chiamato da Brown (citato in Pappas, 2005) “deficit video”, ossia si è scoperto che la tv non insegna ai bambini quanto l’interazione dal vivo, e si ha difficoltà ad esempio nell’apprendimento per imitazione.
Un recente esperimento su piccola scala ha fornito a un gruppo di 18 bambini di 4 anni e provenienti da famiglie a basso reddito un i pod touch carico di software con giochi educativi orientati alle abilità matematiche e di alfabetizzazione. Il gruppo di controllo aveva invece ricevuto dispositivi con software di intrattenimento. Dopo tre mesi di utilizzo solo nel primo gruppo si è riscontrato un guadagno di abilità di alfabetizzazione. Questo risultato indica il potenziale di una “dieta” multimediale di tipo educativo quale intervento precoce per la preparazione scolastica (Anderson, 2017).
Le conseguenze positive di un uso consapevole e di tipo educativo dei media è confermato anche da Radesky (2016), infatti è stato appurato che in America, il programma educativo Sesame Street può migliorare i processi cognitivi, di alfabetizzazione e sociali, nei bambini dai 3 ai 5 anni. Nonostante ciò la pediatra non si esime dal ribadire che sono le interazioni-genitore-figlio, cosi come il gioco non strutturato e sociale a permettere lo sviluppo delle capacità di pensiero di ordine superiore, le funzioni esecutive superiori, la regolazione delle emozioni ecc.

Conclusioni


Diversi studi scientifici hanno dunque dimostrato che l’utilizzo dei media digitali sotto i sei anni di età, e in particolar modo nei primi due anni di vita, sono associati a fattori negativi quali compromissione dello sviluppo cognitivo, ritardo nello sviluppo del linguaggio, comportamento autistico, iperattività, difficoltà di concentrazione, disturbi del sonno, aggressività, obesità e non solo. Alla luce di tutto ciò, le raccomandazioni dell’AAP del 2016 e quelle dell’OMS dovrebbero essere maggiormente divulgate e laddove fossero già conosciute non dovrebbero essere per nulla sottovalutate, ma anzi dovrebbero essere considerate come delle leggi, perché dalla loro osservanza, dipende la salute e lo sviluppo armonico dei nostri bambini. La scelta sta a noi adulti.
Così come in tv, cambiamo canale se sappiamo che verrà trasmesso un programma che non ci piace, allo stesso modo siamo noi che possiamo decidere quale sarà il programma di vita che vogliamo per i nostri figli. Sapendo che per loro l’utilizzo dei media digitali in tenera età comporta una serie di rischi, abbiamo la possibilità di cambiare le nostre abitudini nei confronti del mondo digitale e di conseguenza cambiare il loro futuro.
Inoltre sarebbe importante pensare che delegare a un dispositivo digitale il ruolo di caregiver significherebbe ignorare, sminuire, sottovalutare la peculiarità, l’unicità, la straordinarietà di cui è dotata solo una calda e amorevole relazione umana genitore-figlio.

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