MOBBING: Terrore psicologico negli ambienti di lavoro

di Veronica Lombardi

da Psicologinews Scientific

mobbing

Non ci sto. Non ci starei. Non ci vorrei
stare. Eppure…non posso, non potrei,
non vorrei dovere.

Qualche tempo fa mi ha molto colpito un articolo, apparso su un quotidiano nazionale, che parlava di un caso di un lavoratore sottoposto a vessazioni da parte del datore di lavoro, in quanto la vittima, convivente con una persona immunodepressa avrebbe voluto ricorrere all’istituto dello smart working, appunto per tutelare la salute della persona convivente vista l’attuale emergenza sanitaria da Covid-19. Il datore di lavoro nel non concedere tale strumento normativo, ha costretto il lavoratore da prima a bruciare tutte le ferie ed in seguito lo ha di fatto costretto ad assentarsi dal lavoro per “finte” malattie che lo hanno portato alla fine all’esclusione dal gruppo di lavoro ed in seguito a perdere il lavoro. Oggi, si identifica questo fenomeno come “Mobbing”.

Nel lavoro, si creano alleanze e collaborazioni spesso più basate sulla simpatia, sulle connivenze e talvolta sull’amicizia, piuttosto che sulla vera professionalità. Ma in molti casi, si scatenano antipatie e modalità di reazione decisamente critiche tra colleghi e superiori. Vi sono persone, che a seguito di queste c.d. “ostilità” nell’ambiente lavorativo si sentono afflitte fino al punto di ammalarsi. Questa reazione di disagio, causata da colleghi e superiori, fino a qualche anno fa veniva interpretata considerando l’individuo emotivamente fragile, eccessivamente sensibile alle azioni degli altri, oppure sofferente di una visione paranoica dei fatti.

L a p a r o l a “mo b b i n g ” è s t a t a originariamente usata nel campo del l ’etologia, Konrad Lorenz l ’ha impiegata per indicare il comportamento il comportamento aggressivo di alcuni tipi di uccelli nei confronti dei loro simili, finalizzati all’allontanamento dal gruppo. In inglese, infatti, il verbo to mob significa appunto aggredire.

In ambito psicologico, il primo ad applicare il termine “mobbing” è stato lo psicologo del lavoro tedesco Heinz Leymann. Con questo termine si vuole definire l’insieme di azioni tendenziose, che hanno per unico scopo quello di distruggere un collega o un sottoposto comprendono allusioni subdole, calunnie, umiliazioni, intimidazioni le continue vessazioni fino ad arrivare, in alcuni casi, alle molestie sessuali. Ovviamente il mobbing non comprende quei conflitti occasionali, propri di tutti gli ambienti di lavoro, i pettegolezzi , le invidie esistono ovunque!!

Il mobbing è la messa in atto di una vera e propria attività persecutoria esercitata su un individuo all’interno di un gruppo di lavoro, tesa all’allontanamento dello stesso dal gruppo o dal posto di lavoro.

Le persone oggetto di mobbing sono indistintamente umoni e donne e non si fanno notare per avere tratti tipici della vittima. Le vittime non sono responsabili della loro situazione e sarebbe quindi sbagliato attribure loro la colpa. Un cattivo clima di lavoro, un’organizzazione carente nella distribuzione dei compiti e quadri che non dispongono delle giuste qualità dirigenziali necessarie per lo svolgimento corretto della loro funzione , sono le cause che consentono al mobbing di attecchire.

Da ricerche condotte nei paesi nord europei, è emerso che chi esercita il mobbing sono per il 44% colleghi e colleghe, il 37% i capi il 10% i capi coalizzati coi colleghi e per il 9% i sottoposti.

Ma analizziamo, ora nel dettaglio le fasi del fenomeno in argomento:

I° Fase- La futura vi t t ima viene individuata e vista come persona fastidiosa, iniziano i primi attacchi che a poco a poco si moltiplicano.

II° Fase – tutti si rifiutano di collaborare con la persona colpita , iniziano a circolare false storie sulla psicologia della persona, voci sul suo stato psichico al punto che la vittima non riesce più a controllarle.

III° Fase – La persona colpita diventa un caso, a tal punto che il datore di lavoro deve occuparsene. In questa fase tenta di allontanare la vittima usando ogni mezzo a disposizione, spesso le norme del Diritto del Lavoro. Non è più in discussione né l’origine del conflitto né i possibili responsabili, la colpa viene attribuita esclusivamente alla vittima e le voci si fanno sempre più insistenti.

IV° Fase – La vittima, a causa della disperazione dovuta al mobbing di cui è oggetto, è diventata aggressiva oppure depressa e le voci su un’instabilità psichica si moltiplicano. La malattia psichica di una vittima di mobbing viene vista come la causa e non come la conseguenza dei problemi che si presentano nell’ambiente di lavoro.

In Italia, recentemente, sono stati aperti degli sportelli di consulenza nell’ambito dei sindacati di categoria , ove sono presenti persone formate ad accogliere informaoni e denunce di mobbing. In ambito normativo, gli art. 2087 del codice civile, l’art.582 del Codice Penale anche se non specifici, vengono comunque applicati in caso di mobbing conclamato, che è tuttavia molto difficile da dimostrare, che determina spesso la difficoltà nel denunciare, addirittura, di essere o essere stati vittime di mobbing. Nell’articolo citato in premessa il lavoratore ha invece avuto la forza di denunciare attraverso una lettera aperta poi pubblicata in stralcio, sul quotidiano.

Nelle vittime di mobbing si riscontrano i sintomi psichitici e psicosomatici elencati nelle varie fasi del fenomeno, un senso di disagio psichico nella prima fase, sintomi psicosomatici nella seconda che, nella terza e quarta fase, possono spingersi fino alla depressione, ai comportamenti ossessivi, all’abuso di medicinali, alcol o di sostanze stupefacenti. In queste fasi è alto il pericolo di suicidio. Nella quarta fase, infine, la vittima è esclusa dal mondo del lavoro.

BIBLIOGRAFIA

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