“Non c’è più niente da fare…”
di Fausta Nasti
Il lavoro dello psicologo nelle cure palliative
Molto spesso è con queste parole che si arriva in Hospice, sentendosi dire che si può essere supportati con un po’ di terapia del dolore, perché a casa la situazione sarebbe ingestibile.
Il fine vita, la terapia del dolore, le cure palliative, la morte sono ancora dei grandi tabù…
È comune pensare che parlare di certi argomenti sia traumatizzante, credenza erronea e disconfermata dalla letturatura scientifica, che al contrario dimostra che confrontarsi con il paziente e con il suo caregiver sulla prognosi infausta permette una migliore gestione dei sintomi e una migliore compliance con la struttura e il personale.
La capacità di stare con il paziente in questa fase del ciclo di vita è molto utile, anche più del fare, nel senso che restituisce alla persona e alla sua famiglia il senso di non essere stati “abbandonati”, la possibilità di vivere partecipando al processo di cura.
L’equipe multidisciplinare lavora con la persona e i suoi familiari facendo in modo che ognuno possa “tornare al suo posto”, o meglio permette al caregiver di poter tornare ad essere madre, marito, moglie, padre, figlio, nonno, nel processo di cura, così da poter sperimentare il proprio stato emotivo in un contesto come l’Hospice, dove lo psicologo può offrire la possibilità di essere autentici rispetto al dolore e al senso di perdita che si sta sperimentando.
Non amo particolarmente le classifiche, ma se si pensa che nel rapporto pubblicato dall’Economist Intelligence Unit l’Italia è al 24mo posto tra le 40 nazioni per “qualità della morte” significa che c’è ancora molto da lavorare per favorire una cultura della comunicazione.
“C’è molta vita in un Hospice”
A differenza di quanto si possa pensare, perché ognuno può permettersi di non avere “sospesi” nel bene e nel male, si può chiedere scusa con più facilità, come si faceva da bambini, ci si può abbracciare, si può ancora sognare, si può addirittura prendersi il lusso di fare spazio con chi hai sempre tollerato malvolentieri.
Nel fine vita ognuno saluta i propri affetti come meglio crede, a volte con abbracci e stringendo la mano, come se quella mano riuscisse a donare e trattenere ancora un po’ di vita, a volte ci si lascia attraversare dal rumore del “tamburello” di un bambino di 8 anni che chiede alla mamma di tornare a casa, e una mamma che trattiene le sue ultime energie per rassicurarlo ancora una volta. Altre volte, invece ci si saluta con rabbia per non aver vissuto quel potenziale così distante dalla realtà… insomma, la morte è complessa esattamente come la vita e vale la pena di prendersi un po’ di tempo e di spazio con questi temi, per ripensare al mondo delle relazioni tra vivi e tra vivi e morti, ricercando un nuovo equilibrio tra ciò che è stato e ciò che è oggi.