QUANDO SIAMO DISPOSTI A PRESTARE AIUTO?

quando siamo disposti a prestare aiuto?

In questo articolo vedremo quali sono le circostanze che spingono le persone a prestare aiuto oppure a rimanere passivi di fronte a una situazione di emergenza.

Negli anni Sessanta gli studiosi di psicologia sociale si sono dimostrati incuriositi e preoccupati dall’assenza di aiuto prestato dai passanti “occasionali” durante eventi come l’omicidio di Kitty Genovese.

Kitty Genovese era una ventottenne, gestrice di un bar. Il 13 Marzo 1964 è stata aggredita con due coltellate alla schiena mentre tornava a casa dal lavoro verso le 3 di notte nel quartiere del Queens a New York. Dopo la prima coltellata, la donna è riuscita a scappare per due volte al suo aggressore, ma solo per poco. Molti vicini, svegliati dalle sue urla, si sono affacciati alla finestra e hanno visto l’immagine dell’aggressore che infliggeva la seconda coltellata. Solamente quando l’aggressore è scappato, qualcuno ha chiamato la polizia. Dall’inizio dell’aggressione erano ormai trascorsi 45 minuti.

I giorni dopo, i mass media hanno accusato gli americani di non aver né senso morale in quanto non hanno soccorso la donna.

Latanè e Darley hanno iniziato a chiedersi quali fossero i processi e le circostanze che spingono le persone a prestare aiuto oppure a rimanere passivi.

Essi hanno ipotizzato l’effetto passante, secondo il quale una persona è meno incline a prestare aiuto o soccorso quando sono presenti altri spettatori occasionali.

Secondo i due studiosi, i processi che inducono le persone a non intervenire sono l’influenza sociale, la diffusione di responsabilità e l’inibizione da pubblico.
  1. In primo luogo, le persone si sono viste reciprocamente quando si sono affacciate alla finestra. Nessuna è intervenuta perché guardandosi si sono scambiati l’informazione che quello che stava accadendo non li riguardava. E’ come se si fossero influenzati a non intervenire.
  2. In secondo luogo, il fatto di essere con altre persone che non si assumono la responsabilità di intervenire anche in presenza di una situazione pericolosa, ci induce a non intervenire
  3. Infine, non interveniamo per paura di intervenire in modo inadeguato e, dunque, di essere giudicati in modo negativo dagli altri
Dunque, si può concludere affermando che all’aumentare del numero dei presenti, la probabilità di essere aiutati è minore.

Sono state poi considerate altre variabili che non portavano all’intervento nelle situazioni di emergenza come la pressione temporale e la somiglianza.

Quando si è di fretta, è più difficile elaborare le informazioni che stanno intorno. Una persona che non è in ritardo può fermarsi e offrire aiuto a una persona in difficoltà. Invece, chi ha fretta è più probabile che tiri dritto per la strada.

Poiché la somiglianza porta alla simpatia e la simpatia conduce all’aiuto, siamo più empatici e disposti ad aiutare coloro che sono simili a noi (sia per modo di vestire sia per credenze).

In conclusione, vi sono numerosi fattori o situazioni che favoriscono o inibiscono l’aiuto. L’omicidio di Kitty Genovese è sicuramente un episodio che ci ha aiutato a riflettere su queste tematiche.
BIBLIOGRAFIA

Myers, D.G. (2013). Psicologia sociale. Milano: McGraw-Hill Education