Regole e adolescenza: insofferenza o bisogno?
Le regole e l’adolescenza: insofferenza o bisogno?
Entro in una classe, una prima di una scuola secondaria con circa 16 alunni di 14 anni. È febbraio, l’anno è cominciato da 6 mesi. Tuttavia, ognuno di loro sembra già essere stato profilato dalla maggior parte degli insegnanti, e il loro destino accademico sembra già esser stato scritto.
Entro in classe come psicologa all’interno di un progetto di mentoring e orientamento. È una bella classe di ragazzi vivaci, piccoli e pieni di vita, anche se non passa molto tempo prima di rendermi conto della presenza di due alunni internalizzanti. Se ne stanno in silenzio in ultimo banco, il loro sguardo è assente, la voce flebile dal tono basso. È difficile coinvolgerli nelle attività. Non sembrano incuriositi dalla nuova presenza, o dalle proposte di giochi interattivi di presentazione. Sembrano sfiduciati, diffidenti. La mia attenzione ricade su di loro con non poca angoscia.
Quella dei professori con cui mi confronto, invece, ricade su un’altra alunna. B. è descritta come l’unico elemento “difficile” della classe. Non ci sono altri problemi. B mette in difficoltà i professori, con i suoi modi spavaldi e la sua reticenza al rispetto delle regole. È l’unica che si rifiuta di depositare il cellulare, minacciando reazioni di sfida e appellativi dispregiativi agli insegnanti. <<Avanti alla classe, diventa umiliante!>>, afferma un professore in difficoltà. Il prof decide di ridare il telefono a tutti, invece di richiamare B. al rispetto della regola.
Durante le mie ore di osservazione in classe, B. decide di addormentarsi al primo banco, il cappotto a coprire la testa dalla luce del sole. I professori decidono di sorvolare, <<almeno non da fastidio>>, mi dicono.
I ragazzi comunicano con il comportamento ciò che non sono in grado di articolare in parole. Possiamo provare a chiederci: cosa sta provando a dirci? Accettando che B. si comporti diversamente dai compagni, inviamo il doppio messaggio di inadeguatezza, incapacità, diversità rispetto al resto della classe. Partecipiamo, da figure educative adulte, alla costruzione di un già fragile senso dell’io.
<<è solo una ragazza prepotente!>>, mi viene risposto.
Sta di fatto che, all’ultima ora, entra la professoressa di inglese. Serena, sicura. Si appoggia sulla cattedra svelta chiedendo ai ragazzi di ripetere per l’interrogazione. Chiama ogni alunno per qualche domanda. Anche B.
B. non ha fatto i compiti, ma quello di inglese è l’unico quaderno che le ho visto cacciare dallo zaino in tutto il giorno. L’insegnante le chiede dolcemente di recuperare la traduzione in classe <<tanto non dovresti avere difficoltà a farlo>>. Lo ripete più volte, ma nessun segno di impazienza è rilevabile nella sua voce. La interroga tra un alunno e l’altro. La prof non si scompone quando B. sbaglia, aspetta, rispiega. Qualche domanda che non viene risposta da altri alunni viene rivolta a B., con la fiducia che B. possa conoscere ciò che sfugge ad altri. Non senza fatica, B. riesce a seguire per l’intera ora. Infine si avvicina a far correggere la traduzione all’insegnante.
B. ha rispettato le regole per tutto il tempo. Il bisogno delle regole è un bisogno fondamentale in adolescenza, nella misura in cui, oltre ad un limite frustrante, comunica la presenza di un adulto attento, interessato e tutelante. Non esistono ragazzi asetticamente prepotenti, esistono ragazzi che non sanno parlare ad adulti che non sanno ascoltare.