Spegnere per imparare: il divieto degli smartphone a scuola come occasione di ascolto

Un divieto che divide, ma fa pensare
Il divieto di utilizzo degli smartphone nelle scuole italiane ha diviso l’opinione pubblica.
Da un lato, chi teme un ritorno a un modello educativo rigido e “analogico”; dall’altro, chi vede nella misura una necessaria difesa contro la distrazione e la dipendenza digitale. Spegnere lo smartphone, anche solo per qualche ora, è un gesto simbolico potente: significa creare uno spazio mentale, un momento di tregua in una società che non smette mai di suonare.
Il cervello in crescita ha bisogno di silenzio
Gli studi neuroscientifici degli ultimi anni ci invitano a riflettere su quanto l’iperconnessione stia trasformando il modo in cui impariamo e pensiamo.
Maryanne Wolf, nel suo libro Reader, Come Home, parla della perdita della “lettura profonda”, mentre Manfred Spitzer denuncia una “demenza digitale” che colpisce in particolare i più giovani, esposti fin da piccoli a un flusso continuo di stimoli.
Ogni notifica, ogni vibrazione, ogni controllo istintivo del telefono interrompe un processo cognitivo in corso. E il cervello adolescente — ancora in formazione — non ha gli strumenti per difendersi da questa frammentazione.
Il divieto degli smartphone a scuola, allora, non è un passo indietro nella modernità, ma un tentativo di proteggere un bene fragile: la capacità di attenzione.
Spegnere non significa negare il futuro, ma insegnare a stare nel presente.
Il limite come spazio di libertà
In psicologia, i limiti non servono a reprimere, ma a contenere e orientare.
Un adolescente senza limiti non è libero: è disorientato.
Lo smartphone rappresenta, per molti ragazzi, una fonte di gratificazione immediata e continua. Impedire temporaneamente l’uso del dispositivo in classe non serve solo a “disintossicare”, ma a far riscoprire il valore dell’attesa, della noia, della concentrazione prolungata — tutte competenze emotive che il digitale tende a erodere.
Naturalmente, il modo in cui il divieto viene applicato fa la differenza.
Un “no” imposto senza spiegazione genera solo ribellione; un “no” accompagnato da un dialogo sincero diventa un atto educativo.
Il punto non è controllare, ma accompagnare.
Educare al digitale, non contro il digitale
È fondamentale chiarire: vietare lo smartphone a scuola non deve significare demonizzare la tecnologia.
Viviamo in un mondo connesso, e il futuro dei nostri ragazzi dipenderà anche dalle loro competenze digitali. Ma educarli al digitale non significa lasciarli immersi in esso senza guida.
Forse, per imparare davvero a usare la tecnologia in modo consapevole, serve prima un po’ di distanza.
Spegnere per ascoltare.
Spegnere per imparare a scegliere.
Spegnere per ricordare che la relazione più importante non è quella con lo schermo, ma con l’altro.
Un’occasione per gli adulti
Infine, questo divieto chiama in causa anche noi adulti.
Possiamo davvero chiedere ai ragazzi di mettere via lo smartphone se siamo i primi a non riuscirci?
Forse la scuola ci sta lanciando un messaggio più ampio: non si tratta solo di educare gli studenti, ma di rieducare una società intera a un rapporto più sano con la tecnologia.
E se questo cambiamento parte da un’aula, da un’ora di silenzio senza schermi, ben venga.
Non per tornare indietro, ma per ricominciare a scegliere consapevolmente quando connettersi e quando restare offline.
Bibliografia
- Spitzer, M. (2012). Digitale Demenz. Wie wir uns und unsere Kinder um den Verstand bringen. Droemer Verlag.
- Wolf, M. (2018). Reader, Come Home: The Reading Brain in a Digital World. HarperCollins.
- Carr, N. (2010). The Shallows: What the Internet Is Doing to Our Brains. W. W. Norton & Company.
- Turkle, S. (2015). Reclaiming Conversation: The Power of Talk in a Digital Age. Penguin Press.
- Kardaras, N. (2016). Glow Kids: How Screen Addiction Is Hijacking Our Kids—and How to Break the Trance. St. Martin’s Press.
- Goleman, D. (2013). Focus: The Hidden Driver of Excellence. HarperCollins.
- Newport, C. (2019). Digital Minimalism: Choosing a Focused Life in a Noisy World. Portfolio/Penguin.