Trent’anni di neuropsicologia: l’età adulta di una disciplina fra appartenenze e separazioni
Gabriela di Cesare, psicologa psicoterapeuta Centro Clinico Psicologico GEA; neuropsicologa Centro Disturbi Cognitivi e demenze, Asrem, Campobasso; Giudice onorario Tribunale per i minorenni, Campobasso
Articolo estratto dal numero speciale di PsicologinewsScientific dedicato ai trenta anni di neuropsicologia in Campania
Ripensare la propria storia, rinarrare vicende e percorsi, ricordare fatti e persone è sempre un momento evolutivo per chi si accinge a costruire nuovi significati a partire da ciò che è stato. Tra appartenenze e separazioni agiscono trame narrative che ridefiniscono i contesti nei quali agiamo ogni giorno e permettono di cogliere il senso di un processo mai statico, ma dinamico e trasformativo. Ripensare a l l a s t o r i a d e l l a Neuropsicologia in Campania è ripensare alla storia di ognuno di noi che in 30 anni ha capitalizzato questa esperienza di appartenenza e che ha contribuito a definire una piena identità della specificità professionale.
Negli anni 90, da giovane psicologa piena di curiosità ed entusiasmo, venivo intercettata quasi per caso da D a r i o G r o s s i p e r i n i z i a r e un’avventura che, attraverso le sue radici forti e vigorose, si esplicita o g g i i n u n c o n t e s t o multidimensionale e definito. In una Clinica Riabilitativa in Molise, la Fisiomedica Loretana, in un paesino di poco più di 800 anime (Toro), era n a t a u n a r e a l t à c h e d e l l a Neuropsicologia Campana era figlia e che aveva investito persone e risorse al servizio della comunità, della ricerca scientifica e della innovazione clinica. In Molise la Neuropsicologia non esisteva, la riabilitazione era mera esecuzione di tecniche e la persona soggetto senza nome e senza storia. Dario Grossi con la sua visione sistemica e la sua grande capacità di fare relazione ebbe l’intuizione di costruire una rete di interazioni fra gruppi di clinici che operavano su territori diversissimi fra loro, ma con l’idea condivisa di costruire un nuovo modo di fare riabilitazione, mettendo al centro le persone e i loro contesti. Quella rete seguiva una idea rivoluzionaria per i tempi, orientata a superare i l determinismo e i l riduzionismo tecnico di un modello lineare che già mostrava di non riuscire a descrivere la complessità degli individui. Dario Grossi in Molise costruì un gruppo di lavoro effervescente, con professionalità diverse intersecate che nel mondo della Neuropsicologia erano parte attiva di un gruppo più grande, quello che, in Campania soprattutto, Dario Grossi aveva formato e sostenuto nel percorso nuovo della Neuropsicologia. Era il 1999 quando fui chiamata a prendere il posto di una collega, Gabriella Correra, prematuramente scomparsa (il libro è dedicato proprio a Gabriella, insieme a Renato Angelini), che prima di me aveva spinto la sua curiosità professionale oltre il modello medico lineare, alla scoperta di un modello in cui la centralità dell’individuo risultava imprescindibile per operare nella clinica. Trovai un treno in corsa, con un modello sperimentato e con la voglia di condividere con la comunità scientifica ogni progetto, ogni scoperta, ogni intuizione. Ricordo con gioia, e un pizzico di nostalgia, la formazione a Napoli con Dario e il gruppo campano, la partecipazione a i Congressi con l e nostre pubblicazioni, i nostri contributi. E “Amnesie e disturbi della Cognizione Spaziale” ha rappresentato proprio la definizione di una cornice culturale e p r o f e s s i o n a l e c h e l a Neuropsicologia aveva costruito nei 10 anni precedenti. Era nato un gruppo che aveva c o s t r u i t o appartenenza dove ognuno trovava lo spunto per realizzare propri itinerari da una comune matrice originaria. Riconoscerci e co-c o s t r u i r e s e g u i v a una t a l e naturalezza dove sentirsi una comunità integrata, unita, strutturata r e s t i t u i v a a t u t t i v i t a l i t à e progettualità. L’adolescenza della Neuropsicologia ci vedeva pronti a cogliere i mutamenti di quei tempi, a rispondere ai bisogni dei contesti che pian piano emergevano e ai b i s o g n i che ognuno d i n o i contribuiva a far nascere sui nostri territori.
Erano i tempi della Psicologia giovane che stava definendo man mano i suoi contesti di intervento.
Gregory Bateson afferma che “i contesti non sono altro che categorie della mente” e che, in questo senso, non ci sono semplicemente contesti, ma contesti di contesti. In questa cornice la nostra esperienza professionale nella Neuropsicologia si mostrava su più dimensioni, ovvero sul dove, inteso sia come contesto fi s i c o che come metacontesto, ovvero il modo in cui tale contesto viene vissuto e assume s i g n i fi c a t i . I l c o n t e s t o , etimologicamente ciò che «è tessuto con», è «com-presente»; di fatto rappresenta la situazione in cui un evento avviene o si genera; l’intreccio che si crea, evolve e modifica secondo le relazioni e le connessioni che l’individuo attiva senza essere a conoscenza di come evolverà la storia. La persona co-costruisce la realtà, è «parte di», partecipa, appartiene a un contesto e su questo costruisce una sua storia. Così Bateson ci offre la possibilità di ripensare al ruolo che la Neuropsicologia Campana ha assunto nel costruire non solo una cultura della professione ma anche una cultura dell’appartenenza ad una categoria professionale. Non è un caso che molti di noi, sia in Molise che in Campania, c i impegnammo fattivamente nella politica ordinistica, come su un binario parallelo, attraverso azioni capaci di evidenziare la specificità professionale e superare i limiti dei contesti nei quali la psicologia era stata collocata in tempi remoti. I contesti nei quali abbiamo investito hanno contribuito a definire e differenziare la nostra professione che man mano ha assunto una specificità, il cui senso oggi pare ai più giovani molto più sfumata. La visione circolare degli interventi in p s i c o l o g i a , e q u i n d i i n Neuropsicologia, con una specifica attenzione alla persona, che è centrale e soggetto del proprio ben-essere, ci ha condotto ad offrire non risposte aspecifiche al problema/ malattia ma domande funzionali nel processo di cura del sé, in tutti gli ambiti in cui la psicologia opera. A mio parere è proprio l’appartenenza ad una storia, ad un contesto fatte di persone che si riconoscono in una comune matrice di significati che ha r e a l i z z a t o q u e l l a i d e n t i t à p r o f e s s i o n a l e d i c u i o g g i ripercorriamo i 30 anni. Solo un bagaglio di esperienze forti fatte in contesti di appartenenza sani, evolutivi, capaci di evidenziare in tutti i suoi appartenenti le proprie specifiche peculiarità e le proprie individualità, ha potuto consentire a tutti di declinare quel sistema di valori, conoscenze, pratiche professionali nei propri contesti. È nell’età adulta della professione che ognuno di noi ha costruito nuove realtà, che oggi hanno raggiunto la solidità di un IO professionale individuato e differenziato, proprio come l’individuo procede nella sua evoluzione verso processi di separazione, individuazione e differenziazione. Nel corso degli anni è stata la forza dei legami che abbiamo condiviso a creare percorsi di Neuropsicologia, sia clinica che accademica, che partono proprio dall’appartenenza a questa storia.
Da quella esperienza con Dario Grossi e Michele Lepore nel 2002, e stavolta non più per caso, la c o m p e t e n z a i n a r e a neuropsicologica mi portò a strutturare, insieme ad altri colleghi, un progetto ministeriale volto alla creazione di Servizi innovativi per le Demenze nelle Asl molisane. Quel progetto innovativo oggi esiste ancora ed è diventato il CDCD, unico Centro Disturbi Cognitivi e Demenze del Molise, di cui coordino le attività di Neuropsicologia insieme ad altri due Neuropsicologi, che nel corso del tempo sono entrati a far parte del gruppo campano e della S c u o l a C a m p a n a d i N e u r o p s i c o l o g i a ( S C N p ) . Lavoriamo oggi con la stessa attenzione al contesto, alla persona e costruiamo percorsi di presa in carico e di cura sulla storia dell’individuo. Abbiamo investito tempo, risorse, energie, declinando questa esperienza in altri contesti dove oggi operiamo con indiscutibile autorevolezza e specificità. Mi riferisco senz’altro all’area giuridica e forense, ma anche all’età evolutiva che hanno trovato nello Psicologo – e dunque nella Neuropsicologia – quella competenza e quella capacità di lettura clinica, tanto necessaria alla specificità di questi contesti.
Non nascondo che la costruzione dell’identità professionale oggi è più pressante d i 30 anni f a . I l riduzionismo tecnicistico e la semplificazione della specificità clinica della nostra professione rappresentano una sfida quotidiana i n c u i s i a m o i m p e g n a t i nell’accogliere giovani psicologi e neuropsicologi che si apprestano ad entrare nel mondo della professione adulta. Se il nostro percorso in questi 30 anni ci ha visti impegnati nella definizione della nostra specificità professionale, oggi il nostro impegno deve orientarsi ancor più nel ri-centrare le derive lineari all’interno del modello circolare della Psicologia Clinica. Sostenere i giovani colleghi a fare percorsi evolutivi nella matrice della rete dei legami di appartenenza equivale a superare i limiti della Massa i n d i fferenziata dell’Io familiare/professionale, dove ognuno rischia di restare bambino, incapace di separarsi e creare nuovi contesti più capaci di cogliere la complessità dell’individuo e la specificità della professione.