Un mattino ordinario ai tempi della pandemia
di F.R. Di Mezza
Prendo il caffè e insieme ossigeno.
Nella piazza vuota, la Cattedrale è un disegno elegante davanti alla montagna. Le cupole maiolicate di tesserine gialle e verdi mi sembrano mimose dedicate a Dio, che non è detto che sia uomo! Chi era quel Papa che aveva osato dire che Dio è madre? Mi sembra che il suo pontificato non durò a lungo e una cronaca non affidabile insinuò il sospetto di una morte non accidentale.
L. mi salva da questi pensieri eretici, fa un caffè eccezionale ed ha modi sbrigativi. Buongiorno, come va, qualche aggiornamento locale che, da un anno a questa parte, è immancabilmente sul covid.
Arrivano l’Avvocato, un amico della Cartolibreria- e che Cartolibreria! con tanto di tipografia in un palazzo d’epoca- e un altro uomo, taciturno, dall’aspetto distinto.
“dottoressa ma voi avete fatto il vaccino?” chiede L.?
(il voi è una finezza della lingua italiana che si conserva nel sud: né il tu, che rende troppo vicini, né il Lei, che può creare complicate traiettorie nel discorso e alla fine non si capisce più “questo Lei” chi è. Forse è una questione culturale o, mi piace pensare, di orgoglio: il voi è rispettoso, ma attutisce il dislivello tra persone)
-Sì, ho avuto la doppia dose, come il caffè!
Sorrido già aspettando la domanda successiva
-e come è andata? avete avuto effetti collaterali?
-nessuno, forse un po’ di stanchezza, ma probabilmente non c’entrava con il vaccino
-ah, e meno male va, perché tizio e caio hanno detto che sono stati proprio male, febbre, dolori articolari…però solo 24 ore
-da manuale, insomma! Beh, vuol dire che m’è andata bene
-chissà a noi quando toccherà. Per ora solo colori, chiusure e decreti che non ristorano
È un passaggio perfetto per l’Avvocato! (indubbiamente L. è una barista che sa il fatto suo) Avvocato che raccoglie con prontezza e mannaggia che non posso trattenermi, perché è ora di andare allo studio, ma immagino il ritmo incalzante delle battute e vado via pensando che sono felice di abitare qui, anche se da poco, in un luogo diverso da quello in cui lavoro.
Durante il viaggio in genere mi assicuro il silenzio, evitando la radio o peggio il cellulare. Mi attende una giornata piena di parole, poche le mie, la maggior parte spetta ai pazienti.
Ma stamattina ascolto alla radio una notizia che decido di commentare, scrivendo poche righe sul mio mestiere e sul sapere ad esso connesso, prima di iniziare a lavorare nella clinica.
La psicoanalisi viene definita dallo stesso Freud come un mestiere impossibile il cui esito insoddisfacente è dato per scontato in anticipo, cioè a livello psichico non possiamo aspettarci la guarigione come una sorta di risoluzione completa del malessere, che per altro è connaturato alla buona salute! per dirla con Oscar Wilde.
Inoltre, non esiste un nesso automatico per cui, usando la tecnica canonica, otterremo un miglioramento garantito: è abbastanza intuitivo che se persino la riabilitazione di un arto fratturato richiede tempo e può lasciare residui patologici, immaginiamo la psiche, che affonda le proprie radici nel corpo biologico, di cui solo il cervello possiede circa 100 miliardi di neuroni!
Dopo un anno di pandemia però, abbiamo un’ennesima dimostrazione che anche il “sapere psichico” ha qualcosa di impossibile: infatti, quando proviamo a comprendere ed usare efficacemente ciò che sappiamo del funzionamento mentale, facciamo i conti, inesorabilmente, con risultati altrettanto insoddisfacenti. Pare proprio che la psiche resista a conoscere ed utilizzare pienamente ciò che sa di sé: fraintende, oblia, rimuove, scinde, capovolge…insomma, di sé, non vuole sapere troppo.
Quest’ultima considerazione è particolarmente evidente nell’atteggiamento e nelle misure che stiamo adottando rispetto alle implicazioni “psicopatologiche” del covid.
All’inizio della pandemia se n’ è parlato timidamente, quasi che, invocare queste problematiche rispetto alla morte biologica delle persone, fosse un’offesa rispetto alle perdite subite e alle urgenze organiche da affrontare. Le malattie psichiche correlate al covid? Sono quantomeno un problema secondario.
Eppure, le cosiddette “scienze dure” sanno bene che non esiste una scissione mente corpo, ma un tutt’uno, esiste una persona che si ammala interamente, nella sua globalità, non è che muoiono solo i suoi polmoni! A questo monismo epistemologico dovrebbero conseguire terapie che prediligono l’aspetto più organico o più psichico a seconda delle malattie, ma sempre nell’ottica (che dovrebbe essere chiara ma non lo è!) dell’essere umano come un continuum psicosomatico.
Le molteplici risposte del sistema immunitario all’attacco del virus, risposte che hanno un impatto notevole sia nelle cure che nei vaccini, sono un esempio eclatante. Il sistema immunitario, infatti, è un crocevia inscindibile di fattori organici e psichici e le sue risposte al virus dipendono tanto da fattori biologici che affettivi, relazionali, semplicemente umani.
Ma quanto queste ultime variabili sono prese in considerazione nelle ricerche sperimentali? E quanto nell’assistenza dei malati e di chi li cura, vale a dire medici, scienziati, operatori sanitari?.
In un secondo momento della pandemia speravo in una impostazione più integrata dell’approccio al covid.
E invece, nulla di nuovo. I risultati erano ancora ampiamente insoddisfacenti.
Ho assistito, ammetto con una certa antipatia, ad una specie di ondata “psicofolkloristica”, tutti esternavano aspetti psicologici di quanto stava accadendo, nelle case nelle scuole dai balconi, nelle trasmissioni televisive: il malessere psichico era improvvisamente un sapere posseduto e distribuito da tutti, ai miei occhi un insopportabile vernissage ipomaniacale, più da mostra appunto, che di sostanza.
Ciò risultava inevitabilmente molto nocivo per tutti quelli che di psicopatologia, da covid e non solo, sono veramente ammalati e durante la pandemia stanno soffrendo moltissimo. Alcuni ne sono anche morti. A gennaio 2021 si segnala che con la pandemia c’è stato un aumento del 20% dei suicidi giovanili (Panciera, N., Allarme suicidi, 22 gennaio 2021, la Repubblica.) Oggi i nostri studi privati sono pieni di persone che chiedono aiuto. Noi stessi, dopo un anno di lavoro molto pesante, siamo stanchi e rischiamo di ammalarci se non mettiamo in atto le adeguate protezioni psichiche, una sorta degli scafandri che usano negli ospedali i colleghi, per proteggersi dalla contaminazione fisica. Ecco, ancora: negli ospedali il personale mette gli scafandri, ma raramente gli si offre la protezione psichica che li aiuterebbe a non lasciarsi ammalare dall’effetto mentale del covid, così da essere più lucidi nel proprio mestiere. Nelle corsie si respira aria di depressione cui fa da controparte una subdola sensazione di onnipotenza, a volte davvero stridente con l’umiltà che dovrebbe essere il cuore di chi cura; e poi i disturbi d’ansia e gli inevitabili disturbi dell’attenzione e della concentrazione, dovuti ai ritmi insostenibili che il covid ha imposto, tutte sofferenze evidenti ma per le quali si offre ancora poca assistenza .
Poche ore fa, il Presidente Draghi, che aveva usato con mia grande gioia parole chirurgiche nel definire Erdogan “un dittatore con il quale si può cooperare ma non collaborare”, mi ha profondamente intristito, perché diventava “suo malgrado” l’espressione di quella impossibilità del sapere psichico di cui stiamo parlando. Non è né il primo né l’ultimo che continua a negare che l’essere umano, sempre, è un continuum psicosomatico.
Come si fa a dire che gli psicologi trentacinquenni hanno abusato con scarsa coscienza del vaccino a scapito di persone più bisognose, come se, ancora una volta, la cura della psiche fosse una cosa che non implica grandi rischi di contaminazione per la vicinanza fisica ai pazienti.
Via! Presidente Draghi! Abbiamo lavorato come tutti da remoto a malincuore, stravolgendo, come i docenti ad esempio, il nostro principale strumento di lavoro, la vicinanza in carne ed ossa; appena abbiamo valutato un minimo miglioramento delle condizioni sociosanitarie abbiamo ripreso a lavorare in presenza, semplicemente perché non riuscivamo a concepire una cura che non fosse vicino al letto del malato. Come ben sa, anche i nostri malati hanno bisogno di stendersi sul lettino, che non è solo quello che si vede nei film di Woody Allen, così come i Professoroni che fanno il giro con il corteo di assistenti non sono solo ciò che si vede nelle commedie di Verdone.
Abbiamo, come tutti, fatto moltissimo volontariato.
I giovani psicoterapeuti innanzitutto. Tanti bravissimi e disoccupati, speranzosi che dimostrando la loro voglia di lavorare e la loro competenza, sollecitassero la convinzione politica e sosiosanitaria che c’è bisogno di interventi psichici oltre che organici. Molti si sono contagiati, ammalati, alcuni sono morti, o hanno certamente rischiato e oggi hanno bisogno del vaccino come tutti gli altri operatori sanitari. Se ci fosse consentito, sono sicura che un buon numero di noi, di fronte ad una persona fragile che ha bisogno, cederebbe volentieri il vaccino. Ma questo dovrebbe valere per tutti, non solo per coloro che si occupano della psiche.
Nel frattempo si è fatta ora di ricevere il mio primo paziente.
Il sapere psichico ha risvolti cinici. Pubblico lo stesso pur dichiarando che gran parte di ciò che ho scritto si perderà nei “meandri impossibili” della psiche. D’altronde ben altre menti e penne ci stanno provando con esiti insoddisfacenti. Allora, perché lo faccio?
Perché, come nel mio mestiere impossibile, continuo a pensare che riconoscere i limiti dell’impresa e muoversi in questi è un risultato insoddisfacente, ma auspicabile.
Dunque, come diceva un vecchio ebreo, non rimane che “ricordare, ripetere e rielaborare…ricordare, ripetere e rielaborare ”, finchè non ci gioveremo di un piccolo avanzamento nel nostro funzionamento psichico…