Vita privata e professionale ai tempi dello smartworking: un possibile connubio o una malinconica fusione?
di Rita Tancredi
Il protrarsi dell’attuale stato di emergenza sanitaria causato dalla pandemia COVID-19 non soltanto ha implicato una vertiginosa accelerazione del processo di trasformazione digitale e dei luoghi di lavoro – diffondendo la configurazione di nuove modalità, tra cui lo “smartworking” (anche definito “lavoro agile”) – ma ha anche reso maggiormente sfumati i confini fra vita professionale e vita privata. Se da un lato per aziende e dipendenti il sistema di smartworking si mostra particolarmente vantaggioso in termini economici e produttivi per le prime e in termini di equilibrio psico-fisico per i secondi, d’altra parte si delineano i confini di un efficace rendimento organizzativo e di una spiccata autonomia e gestione individuale.
Perseguire il work-life-balance, al giorno d’oggi, costituisce una delle più grandi sfide a cui organizzazione e professionisti sono sottoposti, poiché con la facilità di accesso a dispositivi aziendali (quali pc, cellulari e tablet) e ai software e agli applicativi di lavoro (quali e-mail, Skype, Zoom e Webex, per citarne solo alcuni) diviene maggiormente complicato “disconnettersi”, circoscrivere i compiti professionali entro il perimetro dell’orario di lavoro stabilito ed evitare che uno squillo telefonico o un messaggio di posta elettronica possano invadere quegli spazi dedicati al tempo libero.
Alla luce di questa prospettiva, è chiaro che il lavoro “flessibile” sta abbandonando le connotazioni tipiche degli obiettivi primari con cui è stato concepito anche pre-pandemia: non più come benefit di una specifica job position, capace di garantire una schedulazione lavorativa di carattere personale, bensì come stato in cui l’individuo è ostacolato nel raggiungimento di obiettivi personali e professionali con una combinazione straordinariamente soddisfacente; e ciò poiché, unitamente ad una flessibilità lavorativa spazio-temporale, spesso da parte di aziende e dipendenti si accompagna il verificarsi di una scorretta gestione dei necessari tempi di riposo.
In tal senso, nell’era della quarta rivoluzione industriale e del Coronavirus piuttosto che parlare di work-life-balance sarebbe più opportuno riferirsi al concetto di work-life-fusion: il connubio degli aspetti legati alla sfera lavorativa e a quella privata sembra assumere carattere illusorio e tradursi in una dilagante e malinconica fusione i cui effetti nel tempo vengono molto frequentemente sottovalutati. La gestione “da remoto” delle risorse umane, se non adeguatamente condotta, potrebbe evidenziare serie e critiche ripercussioni sul benessere psico-fisico dei lavoratori, dal momento che se non si considerano, ad esempio, il prolungato tempo trascorso al pc, il pensiero di dover essere potenzialmente sempre reperibili, l’assenza di una immediata condivisione con i colleghi e di una diretta supervisione da parte del responsabile, etc., nel lungo periodo potrebbero svilupparsi sintomi o disturbi da stress-lavoro-correlato. Di conseguenza potrebbero presentarsi contraccolpi aziendali poiché, piuttosto che configurarsi come la chiave per il successo organizzativo e per il welfare individuale, lo smartworking potrebbe rivelarsi in qualità di potenziale causa scatenante patologie, con eventi come l’elevato turn-over, l’incremento di assenteismo, la diminuzione della produttività, il mancato completamento degli obiettivi d’impresa.
In sintesi, dunque, ciò che sicuramente emerge è: in primo luogo, una seria volontà da parte delle aziende di promuovere la salute e il successo organizzativo nonché la sostenibilità ambientale attraverso approcci quali il “lavoro agile”; in secondo luogo, una necessità sociale da parte dei dipendenti di bilanciare la propria vita, costellata dal lavoro, dalla famiglia e dagli impegni personali. Tuttavia, sebbene la rapida evoluzione digitale abbia di gran lunga agevolato il manifestarsi di condizioni favorevoli per entrambi gli attori, in realtà siamo ancora ben lontani dal panorama tanto atteso. Pervenire al desiderato traguardo di conciliazione individuale tra vita professionale e privata, senza cadere nella trappola della fusione, con il riflesso di performance organizzative ottimali, significa abbracciare il cambiamento culturale, affrontare concretamente la nuova modalità emergente di percepire l’azienda.
In particolare, con riferimento allo scenario descritto, rivolgersi a professionisti del settore, esperti nella gestione delle risorse umane, si profila come possibile e significativa soluzionevolta afronteggiare le vulnerabili dinamiche che la modalità agile porta con sériversando reazioni sull’esperienza emotiva umana. Più precisamente, nella prospettiva di una mirata ed efficace formazione nei confronti dei manager in riferimento alla gestione dei team da remoto (rispettando tempi e pause) e dei dipendenti in merito alla predisposizione di un mindset focalizzato sulla responsabilizzazione e il networking, è più forte l’idea di uno smartworking che offra concreti e reciproci vantaggi: non bisogna dimenticare, infatti, che soltanto attraversando il benessere dei propri collaboratori sarà possibile giungere ad un’effettiva produttività, e dunque al successo economico dell’impresa.
BIBLIOGRAFIA:
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Messina P. (2020). Quali vantaggi dello smart working per le aziende? Scenari e opportunità di business.
Palmieri G. (2021). Smart working e work-life balance: un connubio perfetto.