Cos’è il gioco?
di Veronica Sarno
Sembra una domanda semplice, dalla risposta veloce cioè che si tratta di un’attività che svolgono per lo più i bambini, a volte gli adulti per diletto; tuttavia, questa, pur non essendo una risposta errata, certamente non può ritenersi esaustiva.
Consideriamo il fatto che il gioco è un’attività che ha radici remote, possiamo dire che ogni epoca ha avuto i propri giochi. Il gioco, quindi, è una vera e propria espressione della cultura umana nel qui ed ora, vale a dire nel momento
stesso in cui si sviluppa.
La parola italiana “gioco” riunisce nel suo significato i termini latini “iocus” (scherzo, celia, burla, passatempo, trastullo, cosa di poca importanza, facezie) e “ludus” (letizia, gioia, felicità, manifestazioni pubbliche, spettacoli scenici, gioco di azione, attività sportiva in competizione, con un carattere più serio); in inglese, ancora oggi, si distingue il termine game dal termine play.
Game inteso come gioco, partita, piano coraggioso, cacciagione, punteggio; Play inteso come giocare ludico, conteggio, commedia, divertirsi, suonare.
Il gioco è utile a rilassarci e dilettarci, facendo emergere la nostra creatività e permettendoci di aumentare e migliorare le nostre capacità, fisiche o mentali, a seconda del tipo del gioco intrapreso.
Caratteristica principale del gioco è la scelta volontaria di giocare: la volontarietà della decisione esprime una libertà, scegliamo liberamente di metterci in gioco e giocare, accettiamo di sottostare a regole stabilite a priori, questo tuttavia non risulta stressante.
Abbiamo, inoltre, la possibilità di cambiare di volta in volta le regole del gioco che stiamo per effettuare, regole che tuttavia, una volta stabilite, dobbiamo impegnarci a rispettare.
Il concetto di gioco è stato in particolar modo approfondito in ambito pedagogico quale strumento fondamentale nello sviluppo delle fasi evolutive del bambino.
Attraverso il gioco, in particolare mediante i vari tipi di giochi (giochi senso-motori, giochi simbolici, giochi funzionali, giochi solitari, giochi liberi e giochi guidati) adatti alle varie fasi di crescita del bambino, questi raggiunge le tappe dello sviluppo e del progresso psicofisico, emotivo e logico.
Durante l’età evolutiva, il gioco consente al bambino di esercitare la mente e il corpo, sviluppare la fantasia, imparare a controllare l’emotività, così man mano il bambino giocando impara a socializzare e comunicare con gli altri coetanei e con gli adulti. Il gioco pertanto realizza una tappa fondamentale dello sviluppo complessivo della personalità del bambino ed è per ciò che esso va stimolato, permesso, potenziato.
Nell’arco degli ultimi decenni, diversi studi hanno evidenziato anche gli effetti terapeutici del gioco nei bambini che manifestano disturbi psicologici, ad esempio quali iperattività o disturbi più complessi come i disturbi dello spettro autistico; in questi bambini – coinvolgendoli in determinati giochi – si riesce a stimolare la negoziazione, affinché il bimbo arrivi a svolgere compiti a cui diversamente si sottrarrebbe in maniera perentoria; si permette così, in una fase successiva e per piccoli gradi, di sviluppare la capacità di chiedere e di condividere, ponendo le basi della prima socializzazione, che rappresenta uno degli aspetti di maggiore di difficoltà per questi bimbi.
Lo psicologo, biologo e pedagogista svizzero Jean Piaget, fondatore dell’epistemologia genetica, dedicatosi alla psicologia dello sviluppo, è tra coloro che hanno attributo al gioco caratteristiche fondamentali per lo sviluppo cognitivo del bambino nei primi mesi e primi anni di vita.
In Piaget, infatti, già tramite le attività di esplorazione, manipolazione, sperimentazione, inizialmente del suo corpo e successivamente degli oggetti esterni, i l bambino apprende ad armonizzare le sue azioni con le proprie percezioni, ad afferrare le prime connessioni causa-effetto.
Per quanto riguarda il gioco nello specifico, lo psicologo ginevrino mette a punto una classificazione che lega gli stadi di sviluppo del gioco con la vera e propria maturazione cognitiva (Piaget 1971).
La teoria di Piaget è diventata poi la base per la creazione di un sistema di classificazione e di analisi dei giochi e dei giocattoli, denominato Sistema ESAR, Exercise-Symbole-Assemblage- Regle, sviluppato da Denise Garon, Rolande Filion e Manon Doucet (Garon, Filion, Doucet, 2015) (1).
Questo sistema viene adoperato nelle ludoteche dei paesi francofoni e nella classificazione dei giocattoli nelle ludoteche italiane. In base alla tabella di classificazione ESAR i giochi sono suddivisi in base alle abilità funzionali, a quelle sociali e al tipo di esercizio sensoriale. Tali specifiche sono importanti per gli educatori che proponendo uno specifico gioco sanno quali operazioni mentali dovrà svolgere il bambino e quali abilità dovrà implementare.
In maniera più generale si può asserire che nell’adulto il gioco rappresenta un momento di libertà e di scelta rispetto agli impegni e dalle responsabilità della vita quotidiana e del lavoro; nel gioco la persona adulta spesso ricerca momenti di evasione e rilassamento.
Lo psicologo russo Vygotskij (Vygotskij 1966) individua nel gioco altresì la spinta per l’evoluzione affettiva ed umana del ragazzo, non solo di quella cognitiva come in Piaget.
Lo studioso russo evidenzia come il gioco raffiguri una risposta del bambino alle prese con i propri bisogni anche in relazione al contesto sociale; il gioco ha l’importante attività di affrancare gli oggetti dal loro potere vincolante, ossia, gli oggetti utilizzati nel gioco non propongono vincoli per il comportamento del bambino, all’opposto acquistano nuovi significati: all’interno del gioco il pensiero è separato dagli oggetti reali e l’azione nasce dalle idee più che dalle cose, infatti, ad esempio, un pezzo di legno comincia ad essere una bambola e un bastone diventa un cavallo.
Condensando il pensiero di Vygotskij circa il gioco, possiamo dire che il gioco racchiude in sé, intatte, le inclinazioni evolutive rappresentando esso stesso una fonte essenziale di sviluppo. Gli oggetti, in questo approccio, per il bambino sono liberati dalla loro funzione reale e vincolante e tramite situazioni diverse portano all’acquisizione di nuovi significati.
Per Jerome Bruner, psicologo statunitense, che ha contribuito allo sviluppo della psicologia culturale nel campo della psicologia dell’educazione, il gioco è soprattutto una maniera di progredire nell’apprendimento in un perimetro ben definito, in una cosiddetta situazione “controllata”, in cui, cioè, sono ridotti in modo significativo i pericoli di una violazione delle regole sociali (Bruner 1960, Bruner 1996) (2).
Il giocare viene visto quindi da Bruner come la possibilità di sviluppare maggiormente la propria capacità di adattamento e apprendere nuove strategie di risoluzione dei problemi. Secondo questa visione, nel comportamento ludico si realizzano dei bisogni primari come la spontaneità, la libertà di giocare come prevalenza del giocare stesso sul risultato, la diminuzione del prezzo dell’insuccesso poiché i rischi non sono reali, la sospensione della frustrazione in quanto gli ostacoli sono affrontati con serenità perché considerati non reali.
Attraverso il gioco quindi si acquisiscono nuove combinazioni di comportamenti proprio perché non ci si sente sotto stress e non si ha paura di sbagliare come nella vita reale. Un approccio apprezzabile per di più è dato da Bruner, nei suoi quattro volumi intitolati “Il gioco”, nell’inserire nell’ambito filogenetico al di là dell’ambito psicologico i comportamenti ludici (Bruner 1981).
Il primo a parlare in maniera organica e sistematica del gioco fu Johan Huizinga nel suo saggio del 1939 Homo Ludens, pubblicato in Italia nel 1946 (Huizinga 2002). La sua tesi, innovativa per l’epoca, sostiene che la civiltà umana si accresce nel gioco e come gioco: “Da molto tempo sono sempre p i ù saldamente convinto che la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco, come gioco” (Huizinga 2002, prefazione).
E, più estesamente: nel criterio del valore etico si decide l’eterno dubbio di gioco o serietà. Chi nega il valore oggettivo di diritto e norme morali, non troverà mai il limite fra gioco e serietà. La politica è fissata con tutte le sue radici nel terreno primitivo di cultura, giocata in competizione. E così siamo giunti ad una conclusione: cultura vera non può esistere senza una certa qualità ludica, perché cultura suppone autolimitazione e autodominio, una certa facoltà a non vedere nelle proprie tendenze la mira ultima e più alta, ma a vedersi racchiusa entro limiti che essa stessa liberamente si è imposti. La cultura vuole tuttora, in un certo senso, essere giocata dopo comune accordo, secondo certe regole. La cultura vera esige sempre e per ogni rispetto fair play e fair play non è altra cosa che l’equivalente, espresso in termini di gioco, di buona fede. Il guasta-gioco guasta la cultura stessa. Se questa qualità ludica vorrà creare o promuovere la cultura, allora dovrà essere pura. Non dovrà consistere nel pervertimento o nell’abbandono delle norme prescritte dà ragione, umanità e fede. Non dovrà essere una falsa apparenza dietro la quale si mascheri un disegno di realizzare date mire con forme ludiche appositamente coltivate. Il vero gioco esclude ogni propaganda. Ha in sé la sua finalità.” (Huizinga 2002, p. 248).
Huizinga vede l’attività ludica dell’uomo come il motore propulsore dell’arte, della letteratura, del teatro, del diritto, della scienza, della religione e della filosofia; nel gioco, quindi, rintraccia la possibilità dell’evolversi stesso della società: “L’esistenza del gioco conferma senza tregua, e in senso superiore, il carattere sopralogico della nostra situazione nel cosmo.” (Huizinga 2002, p.6).
Per Huizinga il gioco è quindi anche un modo di rappresentare la situazione dell’uomo rispetto al suo esistere nell’universo. Il gioco mette in equilibrio dinamico realtà e fantasia poiché è immaginario e reale al tempo stesso, vero e falso, è il “come se”, un precipizio tra reale ed irreale.
Il valore profondo del gioco, esplorato da un punto di vista filosofico, il significato e la sua funzione nella civiltà umana, con specifica attenzione alla sua qualità educativa e comunicativa, lascia intravedere il valore estetico del gioco.
Il primo che ha posto l’accento sul gioco nella sua intersezione con l’arte, ponendo quindi l’accento sull’analisi estetica è stato Schiller. Con lui si è fatta largo l’idea dell’arte-gioco, perché l’arte, gioco molto serio, come quello dei bambini, libera dal peso della realtà e insegna la creatività che è propedeutica alla costituzione della propria persona. Secondo Schiller infatti “l’uomo è pienamente tale solo quando gioca” (3).
In definitiva, guardando al gioco da una prospettiva semiotica si possono tratteggiare le proprietà logiche del gioco e le sue regole. Il piacere del gioco, né utile e né fine a sé stesso, sfugge a qualsiasi logica rigida, questa è la sua intima essenza.
Il gioco si declina nel corso della storia dell’umanità in una miriade di giochi diversi.
Nella lingua italiana, come abbiamo accennato, il vocabolo “gioco” oltre che intendere un’attività di passatempo volontaria a scopo puramente dilettevole viene ugualmente adoperato per definire attività ricreative di tipo competitivo, caratterizzate da obiettivi e regole ben delineate, come ad esempio i giochi di società ed i giochi da tavolo.
I giochi possono essere classificati in base a diversi paradigmi: giochi di cooperazione; giochi di rappresentazione; giochi di somma; eccetera.
Un aspetto da considerare nell’evoluzione del modo di giocare e di intendere il gioco è la capacità degli uomini e delle donne di avere una elevata capacità di apprendere e di memorizzare nuove informazioni in maniera inconscia, in assenza quindi di apprendimento consapevole. Questo aspetto del giocare è importante da tenere in considerazione proprio in virtù del fatto che nel corso dei secoli e maggiormente al giorno d’oggi, viste le più ampie possibilità di gioco odierne, giocare è anche un modo di apprendere e di migliorarsi, non solo per i bambini ma anche per gli adulti.
Nell’adulto la necessità di giocare si manifesta con schemi e maniere differenti, cambiando le possibilità simboliche in attività creative che possono essere di scrittura, sportive, musicali, artistiche; facilitando aspetti del viver sociale come quello di confrontarsi e di mettersi alla prova in un terreno altro, diverso dalla realtà concreta, in una sorta di sospensione temporale, dove sono le conseguenze delle azioni ad essere sospese (la cosiddetta “funzione di moratoria del gioco” di Bruner) (4).
Il gioco è necessario per crescere ancora, pur quando si è già grandi, serve ad esprimere sé stessi, far emergere la propria fantasia, la propria creatività, è anche un modo di dare e ricevere gioia.
Il gioco è ugualmente un modo per mettersi in gioco, un modo per ritrovare sé stessi, confrontarsi con i propri limiti, le proprie paure e le proprie capacità di riuscire a vincerle. Giocare è un modo per staccare la spina, rilassarsi ma anche passare del tempo con gli altri.
È tuttavia necessario fare attenzione a non considerare il gioco come l’opposto del lavoro, il gioco è e deve essere in qualche misura impegnativo, affinché risulti interessante e mai noioso, infatti, come afferma Brian Sutton-Smith, uno dei maggiori psicologi del gioco, “l’opposto del gioco non è il lavoro. È la depressione”. (Sutton 1972).
Praticamente il gioco è l’opposto da un punto di vista emotivo della depressione perché è impegnativo, duro, ma ci rende attivi, mentre giochiamo sono all’erta i nostri sistemi dell’attenzione e della gratificazione, dell’emozione e della memoria, tutto ciò ci fa sentire meglio, migliora l’umore; questo rappresenta anche il motivo per cui i giochi digitali hanno successo e talvolta originano una sorta di dipendenza.
Riprendendo Huizinga, il gioco è un’azione, associata ad un senso di tensione e di gioia, accompagnata dalla coscienza di “essere diversi” dalla “vita ordinaria” (Huizinga 2002, p. 35).
Probabilmente oggi nel XXI secolo siamo nel periodo della storia umana in cui esistono più forme e più generi di gioco, per mezzo delle nuove tecnologie ci sono miriadi di giochi, per singolo giocatore, per più giocatori e anche i cosiddetti massively multiplayer, il che rende meno prevedibile e quindi anche più piacevole un gioco prolungato.
Si può scegliere tra giochi veloci di pochi minuti, mini-giochi di qualche secondo, giochi d’azione di varie ore, giochi che riprendono ogni giorno con cadenza regolare, giochi che nientemeno “costringono” il giocatore a giocare per risultare performante ad orari prestabiliti.
Cosa accomuna però tutti i tipi di giochi? La presenza di obiettivi, un sistema di regole, un sistema di feedback e la scelta volontaria di partecipare.
I giochi, nel tempo si sono trasformati, da giochi motori a giochi di logica, giochi da tavola, giochi di carte, fino a plasmarsi grazie alle nuove tecnologie: videogiochi, giochi di ruolo interattivi, giochi di simulazione storica, giochi di simulazione.
BIBLIOGRAFIA
Bruner, S.J., Jolly, A., Sylva, K. (a cura di). (1981). Il gioco: Ruolo e sviluppo del comportamento ludico negli animali e nell’uomo, trad. it., Vol. IV. Roma: Armando.
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De Sanctis Ricciardone, P., (1994). Antropologia e gioco. Napoli: Liguori.
Filion R, (2015), Le système ESAR. Guide d’analyse, de classification et d’organisation d’une collection de jeux et jouets.
Huizinga, J., (2002). Homo ludens. Torino: Einaudi.
Legrenzi P., (2002) Storia della psicologia, Bologna, Mulino.
Millar, S., (1974). La psicologia del gioco. Torino: Boringhieri.
Piaget, J., (1972). La formazione del simbolo nel bambino: Imitazione, gioco e sogno. Immagine e rappresentazione, trad. it., Firenze: La Nuova Italia.
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Schiller, F., (1795). L’educazione estetica dell’uomo, tr. It. di Guido Boffi (2007). Milano: Bompiani.
Sutton Smith B., (2002), Il paese dei balocchi. I giocattoli come cultura, La Meridiana.
Vygotskij, L.S., (1966). Il ruolo del gioco nello sviluppo mentale del bambino, in Bruner, J.S., Jolly, A., e Sylva, K., (1981). Il gioco. Il gioco in un mondo di simboli, vol. 4. Roma: Armando.
Werneck, T., (1991). Consigli pratici per inventori di giochi e per chi volesse diventarlo. Zurigo: Ravensburger.
Winnicott, D. W., (1976). La funzione di specchio della madre e della famiglia nello sviluppo infantile, in Winnicott, Gioco e realtà (pp. 194-199). Roma: Armando.
NOTE
1) Filion R, Le système ESAR. Guide d’analyse, de classification et d’organisation d’une collection de jeux et jouets, versi 2015
2)Secondo Bruner il soggetto ha sia delle strutture a priori sia dei valori e degli orientamenti trasmessi dalla società e dalle figure parentali, operando in modo attivo sull’ambiente circostante
3)Schiller, F., (1795). L’educazione estetica dell’uomo, tr. It. di Guido Boffi (2007). Milano: Bompiani, p.141.
4)Secondo Bruner il gioco costituisce uno stimolo all’apprendimento, in particolare affronta i l tema della “funzione moratoria” della frustrazione che riferita al gioco viene vissuta e affrontata con maggiore leggerezza poiché il fallimento nel gioco non viene avvertito come reale (Bruner 1981).