Il Carattere: Predisposizioni Innate e Interazioni Ambientali
Di Veronica Lombardi
Non esistono sulla terra due persone identiche,
nessuno che abbia le stesse impronte digitali;
neppure due fili d’erba o due fiocchi di neve sono uguali.
Tutti gli individui sono diversi l’uno dall’altro;
ognuno è dotato di punti di forza e debolezza differenti.
Abstract
Teofrasto, filosofo peripatetico, succedendo al maestro Aristotele, guidò la sua scuola di filosofia fino a 288 A.C. Nell’opera I caratteri, egli descrive quelle varianti comportamentali della personalità, che mettono in discussione le definizioni di stabilità per il carattere.
In quel tempo definire il carattere di una persona voleva dire individuare il suo tratto più stabile e costante di comportamento: infatti il termine carattere deriva dal greco Charakter che significa impronta.
Termini come pazzia, morale, prolissità, avarizia, bugiardaggine, scontentezza, loquacità, accompagnano una sorta di classificazione nell’ambito dell’esposizione filosofica di Teofrastro, che abbina, alle sue categorie di caratteri, l’orientamento di un destino (Teofrasto 1994, I caratteri, Garzanti, Milano).
Da questa dimensione di pensiero che segue una modalità di ragionamento non logica, ma analogica, si giunge alle riflessioni etiche di Aristotele, dove le ricerche sul carattere delle persone vengono stigmatizzate per il loro essere inadeguate alla situazione comportamentale di tenuta normale.
Infatti, l’osservazione condotta dai filosofi mette in risalto sui comportamenti difformi, viziosi o ridicoli, in tempi in cui la filosofia era scienza di vita. I tentativi di risposta agli interventi sul destino che determinava i comportamenti umani furono ampiamente descritti oltre che da Aristotele anche da Platone entrambi sostenevano che solo in una vita impostata su un corretto equilibrio tra virtù e piacere fosse possibile trovare il baluardo salvifico della salute dello spirito e del corpo.
Il consiglio degli esseri umani era quello di mantenersi in equilibrio ideale di relazione, tra ambiente e Cosmo, scandendo il tempo e gli umori. Al combinarsi multiforme di questi elementi venivano ricondotte l’organizzazione la stabilità del carattere degli individui (Aristotele, Poetica, La terza, Roma,1983).
Più tardi, i concetti filosofici della costituzionalità del carattere furono ripresi e ampliati dal medico Galeno con la teoria dei quattro umori che pare non debba essere attribuito allo stesso Galeno in quanto, chiari radici di questo pensiero, sono identificabili nella storia della filosofia antica.
In uno scritto anonimo, De mundi constitutione, si trovano concetti in tal senso, fra cui quello preso in prestito da Galeno che afferma “esistono quattro umori nell’uomo che imitano i diversi elementi aumentano ognuno in stagioni diverse, predominano. Ognuno in diverse età, il sangue imita l’aria aumenta in primavera e domina d’infanzia. La bile gialla imita il fuoco, aumenta in estate e domina nell’adolescenza. La bile nera, ovvero la malinconoia, imita la terra ed aumenta in autunno e domina nella maturità. Il flegma imita l’acqua aumenta in inverno e domina nella vecchiaia. Quando questi umori affluiscono in misura non superiore né inferiore al giusto, l’uomo prospera”.
Ancora oggi nello studio del temperamento, l’eredità genetica del carattere e della personalità degli individui, filosofi, psicologi, Biologi, si pongono interrogativi che appaiono perlopiù irrisolti.
Oltre alla determinazione del temperamento ereditato geneticamente e alla formazione del carattere come tratto stabile dominante, la personalità di un individuo, si studiano le eventuali modificazioni di comportamento per scoprire se queste siano frutto di un’educazione sbagliata o di predisposizioni sconosciute come il destino o il DNA.
Due studiosi moderni Pazzagli e Pallanti, dimostrano come l’antica filosofia galeniana sia così forte da riuscire a influenzare ogni riflessione in tema di personalità fino ai giorni nostri (Pazzagli A. e Pallanti S., Natura e carattere, Kos Rivista di psichiatria,1995).
Basti, ad esempio, pensare che la psicoanalisi junghiana fonda la psicologia della personalità sui quattro elementi.
La costruzione del carattere e l’interazione educativa
Per affrontare un argomento così complesso come quello dei temperamenti della struttura del carattere e dell’organizzazione della personalità è importante partire da una funzione psichica embrionale di predisposizione psicologica naturale che è la percezione di sé stessi.
Uno dei molti termini collegati alla percezione di noi stessi viene chiarito per esempio dagli studi di G.W. Allport che nel suo psicologia della personalità afferma “Supponiamo che dobbiate affrontare un esame difficile e critico senza dubbio sentirete un alterazione del battito cardiaco e dei disturbi dello stomaco (io corporeo). Inoltre, sarete consapevoli del significato di quell’esame rispetto al vostro passato e al vostro futuro (identità personale), della vostra orgogliosa partecipazione (stima di sé), di ciò che il successo o il fallimento significherebbe per la vostra famiglia (estensione dell’io), delle vostre speranze o aspirazioni (immagine di sé), del vostro ruolo di risolutore dei problemi in esame (agente razionale) della pertinenza dell’intera situazione per i vostri fini a lunga scadenza (tendenza del proprium)” (Allport G.W.,Psicologia della Personalità, LAS, Roma,1976).
L’individuo possiede una serie di percezioni cognitive e affettive che riguardano sé stesso in quanto oggetto e derivano in parte da predisposizioni innate e in parte dalle interazioni educative, ovvero dei rapporti con geni. Alla nascita, il bambino entra a far parte di un mondo di azioni socialmente interpretata e valutate e manifesta un’innata propensione al passaggio dal biologico al sociale al simbolico.
Nel suo comportamento, è impegnato in una complessa mescolanza di azioni istintive, dirette allo sviluppo dei propri confini fisici sociali e psicologici, al di là della semplice sopravvivenza. Durante la costruzione del carattere, il bambino presta attenzione selettiva i propri simili, alle caratteristiche comportamentali e del linguaggio umano: non è semplicemente un osservatore, ma è coinvolto attivamente.
Per esempio, durante una sequenza di gesti impara ad aspettare il proprio turno e, mentre partecipa al gioco a prendere la base logica e pratica della comunicazione e il riconoscimento dei ruoli.
Il bambino si pone nel ruolo di agente o iniziatore, con un’innata propensione per i tempi legati alla socialità, che in seguito lo porranno nel ruolo di ricevente del carattere che comincia a formarsi. L’interazione sociale, tramite il dialogo, rende possibile il passaggio dal riconoscimento dei reciproci ruoli alla consapevolezza della propria identità e, successivamente del proprio carattere. Egli percepisce la formazione del suo carattere con modalità primitive che si esplicano innanzitutto attraverso i simboli espressivi del gesto e del gioco, per esempio, l’organizzazione del linguaggio inizia con il balbettio che, inevitabilmente, viene abbandonato a favore del raggiungimento della verbalizzazione: quando raggiunto un maggior livello di trasmissibilità inaugura il lungo processo di sfida alle complessità di comunicazione e di relazione.
Poiché la formazione del carattere si attua anche attraverso l’espressione simbolica dell’esperienza della comunicazione, dell’organizzazione del linguaggio, si deve studiare il bambino in rapporto ai differenti ruoli e alle regole sociali con cui entrerà in relazione permanente.
Il gioco allena a questo processo, il bambino impersona, mimandoli, i ruoli degli esseri umani da lui osservati, in particolare i genitori e gli altri membri della famiglia.
Questo mimare gli altri, nel contesto del gioco, ma anche al di fuori di esso rispecchia le regole adulte di rapporto, di interdipendenza dei ruoli sostenute, in senso attitudinale dalle norme ed ai valori.
Da questi processi di simbolizzazione e di mimesi emerge il concetto del proprio carattere, un sistema di significati autoreferenziali una sintesi dei concetti immaginati dal bambino, che si costruiscono in senso culturale e si definiscono nell’interazione sociale.
Qualsiasi tentativo di descrizione sistematica o in senso economico del concetto di carattere è destinato a fallire perché artificiale carente impersonale e irreale.
Il concetto di carattere evolve lungo tutto l’arco dell’esistenza e non cambia col passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Il carattere di un individuo, dunque può essere considerato un perdurante tentativo di sintetizzare le diverse sfaccettature di un unico carattere.
Un bambino di età compresa tra i tre e i cinque anni è teso alla formazione del proprio carattere facendo riferimento alle predisposizioni dei meccanismi innati e dei suoi talenti espressi dal temperamento. È importante aiutare i bambini a costruirsi un buon carattere perché si ritiene che sia una persona realizzata sia realistica, spontanea e schietta, capace tanto di impegnarsi in un problema che di risolverlo, e di opporre un’efficace resistenza alla pressione sociale.
Secondo K. Goldstein e C.R. Rogers, da un punto di vista psicologico sociale la realizzazione di sé stessi è l’unica motivazione umana mentre altre pulsioni quali sesso, la fama e il successo sono solo aspetti o modalità di estrinsecare questa forza fondamentale (Goldstein K., L’indirizzo organismico, in Arieti S.,1987).
Per quanto la necessità di affermazione del sé e del proprio carattere, sia universale e innata la sua espressione varia da persona a persona a seconda del corredo ereditato geneticamente del condizionamento dell’ambiente familiare e sociale.
Secondo Maslow nella scala dei bisogni psicologici l’autorealizzazione occupa uno dei livelli più elevati.
Tuttavia, la possibilità di esaudire questo bisogno passa in secondo piano finché non vengono soddisfatti i bisogni al livello inferiore, quelli di natura fisiologica.
Fra i bisogni ‘superiori’ rientrano anche quelli della bellezza, bontà, completezza, sicurezza, amore e stima. Secondo Maslow le persone che raggiungono un certo grado di autorealizzazione sono pochissime, ciò collima con l’idea avanzata da Jung in base alla quale la realizzazione di sé non può avvenire fino a che la persona non abbia attualizzato tutte le proprie capacità, non abbia cioè raggiunto l’individualizzazione e la consapevolezza delle possibilità insite nel proprio carattere per realizzare una personalità globale.
È necessario porre l’attenzione sul modo di perseguire i propri interessi soddisfare i bisogni, raggiungere i fini, in sostanza di comportarsi all’interno della società come attore che esprime il proprio carattere nella personalità globale.
In questo contesto, il comportamento è il complesso degli atteggiamenti assunti dal singolo individuo in funzione del raggiungimento dei propri obiettivi ma anche, in relazione a sollecitazioni o condizioni provenienti dall’ambiente sociale, ma poiché la maggior parte degli atteggiamenti non è che l’espressione della psiche ne deriva la possibilità di identificare lo studio della psicologia con quello del comportamento.
L’attività psichica si distingue da altre attività dell’organismo umano per il fatto che può essere conosciuto mediante l’introspezione, ogni essere umano è infatti in grado di pensarsi rappresentarsi e dunque esprimere la coscienza di sé stesso.
In sintesi, il carattere è il risultato tra l’interazione fra temperamento e ambiente (familiare e sociale) non è quindi una componente statica della personalità, ma piuttosto una componente dinamica, che si modifica col tempo in funzione alle vicende della vita che ne plasmano gli aspetti. Nell’età evolutiva che si conclude con la maturità esistono ampie possibilità di modificare il carattere mentre con il progredire degli anni tali possibilità vengono meno, ricordiamo che il temperamento e la formazione del carattere, sono alla base della costituzione della personalità che raggiunge la sua espressione con lo sviluppo psico-endocranico-sessuale, tipico dell’adolescenza.
Nel concetto di personalità sono dunque inclusi sia il temperamento sia il carattere, ma vi confluiscono anche altre sfere dell’attività psichica quali, la sfera cognitiva, il pensiero, l’intelligenza, la vita affettiva, la sfera della volontà motivazionale e il rapporto con la propria fisicità corporea.
Bibliografia
-Pazzagli A. e Pallanti S., Natura e carattere, Kos Rivista di psichiatria, 1995.
-Allport G.W., Psicologia della Personalità, LAS, Roma, 1976.
-Aristotele, Poetica, La terza, Roma,1983.
-Cloninger, C.R., Svrakic, D.M., Przybeck, T.R. (1993). A psychobiological model of temperament and character. Arch Gen Psychiatry.
-Caprara, G.V., Gennaro, A. (1994). Psicologia della personalità e delle differenze individuali. Bologna, il Mulino.
-Goldstein K., L’indirizzo organismico, in Arieti S., 1987)
-Goldberg, L. R. (1981). Language and individual differences: The search for universals in personality 1exicons. In L. Wheeler (Ed.), Review of Personality and social psychology, vol.2.
-Eysenck, H. J. (1990). Biological dimensions of personality. In L. A. Pervin (Ed.), Handbook of personality: Theory and research. New York: Guilford.
-Rogers, C. R.; Stevens, B. (1987) Da persona a persona. Il problema di essere umani, Roma, Astrolabio-Ubaldini.