Disforia di Genere e Intervento Psicologico
Con il termine Disforia di genere si fa riferimento all’insoddisfazione o sensazione di disagio nei confronti del proprio sesso biologico.
Negli ultimi tempi la disforia di genere è stata oggetto di attenzione sia nel campo della salute mentale che nella società in generale.
Agli inizi degli anni ’90, si è manifestato un nuovo atteggiamento nei confronti dei fenomeni transgender; il clinico, pertanto, si trova di fronte ad una serie spesso sbalorditiva di individui con esperienze transgender.
Da un punto di vista diagnostico, il Manuale Statistico e Diagnostico dei Disturbi mentali (DSM-5) ha evidenziato come la non conformità al genere biologico di appartenenza non sia un disturbo mentale; il disturbo nasce solo se vi è un disagio significativo associato alla condizione.
Nella nuova classificazione la disforia di genere è stata separata sia dalle disfunzioni sessuali che dalle parafilie.
I professionisti della salute mentale, in base al loro orientamento teorico, possono usare diversi approcci terapeutici con lo scopo non di curare il transessualismo, ma di accompagnare il transessuale nell’esplorazione della propria identità, per garantirgli uno stile di vita stabile con probabilità di successo nelle relazioni interpersonali, nel lavoro e nell’espressione dell’identità di genere.
Fondamentale è che il terapeuta sappia stabilire una relazione autentica in cui la persona possa sentirsi compresa e non giudicata.
All’interno del percorso terapeutico viene data particolare rilevanza all’esplorazione della storia di genere e dello sviluppo dell’identità transessuale per dare l’opportunità al soggetto di ristrutturare cognitivamente eventi significativi, validare le sue emozioni e rafforzare il senso di Sé.
In alcuni casi il transessuale può chiedere di coinvolgere la famiglia nella terapia per esplorare e risolvere conflitti sorti in infanzia.
Un’altra area su cui è bene focalizzarsi in terapia è la transfobia interiorizzata, cioè quell’insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi che una persona può provare nei confronti della propria transessualità.
Le caratteristiche associate alla transfobia interiorizzata sono: scarsa accettazione e stima di sé, sentimenti di inferiorità, vergogna, senso di colpa e l’identificazione con gli stereotipi denigratori. In questi casi l’obiettivo del terapeuta è rendere il paziente consapevole e promuovere l’accettazione di sé
Una volta che sono stati trattati questi aspetti e che il paziente ha deciso come gestire la sua disforia e la sua espressione di genere, la terapia si focalizza sul supporto dell’individuo nell’attuazione del suo progetto.
Sviluppare una relazione terapeutica con transessuali può essere molto difficoltoso, poiché essi vedono il terapeuta come un ulteriore ostacolo sul loro percorso di transizione e sono terrorizzati dalla diagnosi.
La priorità in questi casi è riformulare il ruolo del clinico da “controllore” a uno più adeguato all’alleanza terapeutica, per permettere al paziente di riporre le armi e farsi aiutare.
Lavorare con le persone transgender richiede specifiche competenze psicologico-cliniche che, spesso, gli istituti formativi a cui gli psicologi si rivolgono non forniscono. Questa carenza rappresenta una grande lacuna per tutti quegli psicologi che potrebbero trovarsi ad avere a che fare nel proprio lavoro con tale popolazione
A tal proposito risulta essere molto utile la lettura delle “LINEE-GUIDA PER LA PRATICA PSICOLOGICA CON PERSONE TRANSGENDER E GENDER NONCONFORMING” DELL’AMERICAN PSYCHOLOGICAL ASSOCIATION, per avere più informazioni a riguardo.