La comunicazione genitori-figli: iniziamo dall’ascolto
Cosa vuol dire davvero ascoltare? Quali sono le condizioni per un ascolto attivo? Vediamo cosa può essere utile.
Giada è una ragazzina di quattordici anni. Ha chiesto alla mamma di iniziare un percorso di psicoterapia perchè sta molto male da qualche anno. La madre mi chiama, in allarme, perchè non sa cosa potrebbe fare di diverso per aiutare la figlia. Quando iniziamo il nostro percorso insieme, Giada mi dice che “non ha stima di sè, si sente brutta, ha paura di essere giudicata e questo la porta ed evitare tante occasioni di socialità, ha paura di deludere le aspettative dei genitori, pensa di non essere abbastanza”. Tutti questi pensieri si sono alimentati nel tempo perchè Giada ha avuto difficoltà nell’esprimerli anche in famiglia ed evidentemente nessuno si è soffermato sui segnali che probabilmente Giada ha lanciato negli anni.
Cosa vuol dire ascoltare?
Per parlare dell’importanza dell’ascolto, ho portato l’esempio di Giada perchè è emblematico di quello che può succedere quando, all’interno delle relazioni con i propri figli, non si presta attenzione a ciò che essi cercano di dire o a ciò che, al contrario, hanno difficoltà nel condividere. Sicuramente un ascolto attivo, empatico, non è una cosa così semplice perchè ognuno è preso dai propri pensieri o impegni personali, ma bisogna sempre provarci. Un ascolto attivo passa attraverso l’attenzione data all’altra persona. Provate a guardare negli occhi vostro figlio mentre vi dice qualcosa e a notare l’espressione del suo volto. E’ un’espressione di entusiasmo? di rabbia? di paura? di stanchezza? Poi, per riuscire ad ascoltare, bisogna sospendere il giudizio. Rispondere con frasi che esprimono giudizio sulla persona o che si basano su proprie valutazioni, potrebbero portare l’altro ad assumere un atteggiamento di chiusura anzichè di apertura. Ascoltare, dunque, soltanto per cercare di comprendere ciò che l’altro dice e poi, eventualmente, trovare insieme una soluzione. Quando non vengono riconosciute e accolte certe emozioni, un genitore può essere orientato direttamente alla soluzione. La consapevolezza, invece, porta a cercare una visione condivisa del vissuto del proprio figlio.