
Quiet quitting: il lavoro senza coinvolgimento
Negli ultimi anni, soprattutto dopo la pandemia, si parla sempre più spesso di “quiet quitting”, letteralmente “abbandono silenzioso”.
Ma non si tratta di licenziarsi, bensì di qualcosa di più sottile: rinunciare al coinvolgimento emotivo nel lavoro, svolgendo solo le mansioni minime necessarie, senza slancio o investimento personale.
Un fenomeno sempre più comune tra giovani adulti, ma che riguarda anche professionisti esperti, manager, insegnanti, operatori sanitari.
Cosa spinge verso il quiet quitting?
Molti fattori psicologici contribuiscono:
• Senso di sfruttamento o mancanza di riconoscimento
• Stanchezza emotiva cronica (spesso vicina al burnout)
• Valori disallineati con quelli dell’organizzazione
• Percezione che “dare di più non serva a nulla”
• Ricerca di un equilibrio vita-lavoro che finora è mancato
Non è sempre un segno di svogliatezza: può essere una forma di auto-protezione, un tentativo (più o meno consapevole) di preservare il proprio benessere mentale.
Quali rischi comporta?
• Sul piano individuale: frustrazione, apatia, demotivazione profonda.
• Sul piano organizzativo: perdita di creatività, spirito d’iniziativa, collaborazione.
• Sul piano relazionale: calo della qualità delle interazioni tra colleghi e con i superiori.
Cosa può fare la psicologia?
1. Ascoltare il disagio senza giudizio: il quiet quitting è un sintomo, non il problema.
2. Promuovere ambienti di lavoro sani, in cui il benessere psicologico sia un obiettivo e non un lusso.
3. Lavorare sull’identità professionale: aiutare le persone a ritrovare un senso nel lavoro che fanno.
4. Favorire la comunicazione interna tra lavoratori e datori di lavoro per prevenire il disimpegno.
Il quiet quitting è un segnale forte: ci dice che molte persone non vogliono più sacrificare la propria salute mentale per il lavoro.
Ma ci ricorda anche che serve un nuovo patto tra persone e organizzazioni, fondato su rispetto, ascolto e reciprocità.
Se senti che stai vivendo qualcosa di simile, parlarne con uno psicologo può aiutarti a capire se è solo stanchezza passeggera o il segnale di un malessere più profondo da affrontare.